di Corrado Oddi (Forum Italiano Movimenti per l’Acqua)
- Il Grande comunicatore sembra procedere in modo inarrestabile e a grandi falcate lungo il proprio cammino. Il progetto è quello che proviene in modo limpido dalle sirene neoliberiste che sono egemoni da lungo tempo in Europa, nonostante Renzi faccia finta di litigare con la Commissione Europea; in più è, contemporaneamente, rafforzato e reso meno trasparente da una buona dose di populismo e di propaganda. La triade su cui si muove è decisamente semplice: azzeramento del diritto del lavoro e precarizzazione dello stesso, con l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, il restringimento degli ammortizzatori sociali e l’estensione delle forme di lavoro precario; ripresa di un forte ciclo di privatizzazioni, a partire dalle aziende che gestiscono i servizi pubblici locali e che garantiscono i beni comuni, a cui si associa la continuità dei tagli agli Enti Locali; restringimento degli spazi di democrazia, finalizzando a ciò le riforme costituzionali e la riforma elettorale, con l’obiettivo di rendere centrale il costituendo partito della nazione e ridurre la rappresentanza. Al fondo di tutto ciò non è difficile vedere un’idea strategica su come aggredire la crisi e rispondere ad essa. Anche se non dichiarata, c’è una sostanziale valutazione negativa sul capitalismo italiano e la sua capacità di ricostruire una fase di sviluppo, da cui discende, da una parte, la “necessità” di attrarre il capitale industriale e finanziario straniero, a cui si offre in cambio una nuova subordinazione del lavoro; dall’altra, il fatto di rendere profittevoli e consegnare al mercato settori sinora riservati all’intervento pubblico, dall’acqua alla sanità, dal trasporto pubblico alla scuola, sempre rendendoli appetibili al capitale internazionale, ma proponendo qui anche una possibilità di ricollocazione del capitalismo nostrano. Infine, il ridisegno dell’architettura istituzionale, con il predominio del ruolo dell’esecutivo e la costruzione di un sistema politico basato su uno schema bipartitico e di pura alternanza, guarda a garantire quelle condizioni di stabilità, anch’esse giudicate essenziali ai fini di rendere affidale e attrattivo il Paese. In questo quadro, mi interessa sviluppare un breve ragionamento sul tema del rilancio di un forte ciclo di privatizzazioni e di finanziarizzazione dei servizi pubblici locali, che finora è rimasto un po’ troppo in ombra. In realtà, occorre avere grande attenzione ai provvedimenti messi in campo dal governo con il decreto SbloccaItalia e con la Legge di Stabilità. Essi mirano esplicitamente, attraverso il taglio delle risorse destinate agli Enti Locali da una parte, e dall’altra, prevedendo che i proventi ricavati dalla vendita delle quote societarie di proprietà degli stessi Enti Locali potranno essere utilizzati al di fuori dei vincoli del patto di stabilità, ad accantonare definitivamente il risultato referendario di 3 anni fa, disegnando una prospettiva per cui, in futuro, alcuni grandi monopoli privati – le multiutilities quotate in Borsa – gestiranno la gran parte dei servizi pubblici locali.
- Eppure, se solo si prova ad alzare lo sguardo dal contingente, che dal punto di vista mediatico sembra rendere credibile e già in atto quello scenario, non è difficile cogliere i punti di debolezza e di difficoltà di quest’ipotesi. In realtà, quello che non torna è proprio il fatto che in essa non c’è posto e si elude il tema della crisi, della sua natura e profondità. Detto in altri termini, l’idea di fondo del renzismo sembra ripercorrere la ricetta blairiana, quella del rilancio del mercato e della finanziarizzazione dell’economia, condita con l’ideologia della modernizzazione e dell’innovazione, ma non si confronta con il fatto che essa ha potuto funzionare prima dell’irruzione della grande crisi, quella inauguratasi nel 2007-2008 con il crollo dei mutui americani subprime e poi con il fallimento della Lehman Brothers. È da lì che finisce la “spinta propulsiva” dell’economia del debito che aveva sorretto i decenni precedenti di crescita significativa; ed è sempre da lì che il debito pubblico, anche per dover provvedere al salvataggio del sistema finanziario, inizia a diventare un problema significativo e a “spaventare” i mercati e non riesce più a sostenere la via della crescita economica. E tutto ciò aggravato dalla linea rigorista che, sotto l’egemonia dell’impostazione tedesca, assurge sempre più a dogma intoccabile in Europa, fino a imporre politiche socialmente devastanti per il Sud Europa e a mettere in forte tensione persino la moneta unica. Insomma, debito, alto tasso di disoccupazione e stagnazione economica continuano ad essere elementi costanti della situazione economica del Paese, non vengono scalfiti dalle scelte di politica economica dei governi Monti e Letta, e non paiono aggredibili neanche da quelle che sta mettendo in campo il governo Renzi. L’appuntamento con la ripresa viene spostato di semestre in semestre, mentre il debito continua a crescere e il suo livello diventa sempre più incompatibile con i parametri previsti dal fiscal compact, tant’è che, a meno di un’inversione di tendenza molto seria delle politiche europee, di cui non si intravede alcun segno, non bisogna essere cattivi profeti per immaginare che, con i primi mesi dell’anno prossimo, questi nodi si aggroviglieranno e le “sentenze” dell’Europa e dei mercati non tarderanno a farsi sentire da quel momento.
- Ovviamente, non solo non si può avere una visione deterministica di quel che succederà, come se tutto fosse già scritto, ma proprio il fatto che siamo in un contesto non stabilizzato e non pacificato, in un quadro denso di contraddizioni, ci dice che l’esito di questa situazione è aperto a diversi sviluppi e per nulla univoci. Per esempio, non si può certo sottovalutare il diffondersi di sentimenti xenofobi e razzisti, di una sorta di guerra tra “penultimi e ultimi” e tantomeno la crescita di una destra con tratti lepenesti e autoritari. Ma, allo stesso modo, dopo una fase in cui il Paese, dopo la vittoria di Renzi alle elezioni europee, è parso un po’ frastornato e ripiegato, dando in qualche modo credito alla sua “inarrestabile” avanzata, si avvertono segnali importanti di risveglio e di opposizione sociale. Non mi riferisco solo alla grande battaglia in corso sul lavoro e contro la manomissione dell’art.18, in cui la CGIL, nonostante i molti errori degli anni passati, sembra iniziare a fare i conti con il dato che oggi non esiste più una rappresentanza politica del lavoro. Ancor più, la giornata del 14 novembre segnala, nella sua diversità di approccio e discorso, le potenzialità di mettere in campo un ragionamento e un’iniziativa che guarda all’insieme del mondo del lavoro per come esso si è trasformato, quello di una realtà complessa, che mette insieme “vecchie” composizioni di un lavoro stabile sempre più minacciato e nuova precarietà che connota l’intera esperienza della vita. Allo stesso modo, continua ad essere in campo un variegato movimento che lotta per difendere i beni comuni, da quello per l’acqua a quello per la scuola pubblica, animato in primo luogo dagli studenti, e che rappresenta un importante riferimento per la ripresa di una prospettiva e di un orizzonte alternativo alle attuali politiche governative.
- Quello che a me pare più evidente – e di cui sono sempre più convinto – è che solo un’ampia e plurale coalizione sociale può provare a mettere in campo rapporti di forza capaci di incrinare seriamente la narrazione renziana. Una coalizione sociale ampia, non solo e non tanto nel senso nella capacità di coinvolgere forze e soggetti di ispirazione e collocazione diversa, ma soprattutto perché si pone esplicitamente il tema di costruire connessioni e un’idea di unificazione dei temi su cui oggi si agisce il conflitto e si manifesta l’opposizione alle attuali politiche. L’altra sua caratteristica di fondo è quella di essere plurale, anche qui non semplicemente intendendo il fatto, abbastanza scontato, che essa deve essere composta da soggettività diverse, ma soprattutto che è bene che le stesse mantengano la propria autonomia e specificità rispetto alle questioni su cui intervengono e i percorsi che hanno definito. Insomma, tradotto in modo più esplicito, quello di cui abbiamo bisogno è la costruzione di una “coalizione sociale del lavoro e dei beni comuni”, che, proprio per le cose dette prima, non può essere pensata come luogo (o peggio ancora contenitore) in cui tutti i potenziali soggetti interessati si ritrovino, ma piuttosto come un processo per cui si individuino le questioni su cui si può mettere in campo una convergenza tra gli stessi, lasciando che poi ciascun soggetto porti avanti le proprie iniziative e percorsi che connotano la propria identità e finalità. In questo senso, la mia opinione è che oggi il tema unificante su cui è pensabile e realistico porre le basi per quest’operazione è quello della democrazia e della sua espansione. Proprio perchè, a contrario, e per dirla in modo un po’ sloganistico, la democrazia sostanziale diventa tendenzialmente incompatibile con la fase di finanziarizzazione del capitalismo, anzi la sua riduzione è condizione e ingrediente fondamentale della risposta neoliberista alla crisi, mentre mettere al centro la questione della democrazia e della sua effettività costituisce un terreno forte di unificazione delle varie soggettività e di elaborazione di un’idea alternativa di modello produttivo e sociale. Solo per esemplificare, proporsi di costruire un’iniziativa forte volta a rilanciare la democrazia e la rappresentanza nei luoghi di lavoro, da una parte, e contrastare le controriforme istituzionali, contrapponendo ad esse l’ampliamento delle forme di democrazia diretta e partecipativa, come i referendum e le leggi di iniziativa popolare, dall’altra, potrebbe costituire una piattaforma assai significativa per produrre un salto di qualità dei vari conflitti oggi in corso. Non mi sfugge la difficoltà di procedere in questa direzione e proprio per questo ragiono di caratteristiche inedite con cui dar vita ad una coalizione sociale innovativa, a partire dalle forme che dovrebbe assumere. Nè che tutto ciò, in qualche modo, ha a che fare, sia pure in modo laterale e indiretto, con il tema sempre più ineludibile della progressiva messa in campo di una soggettività nuova di rappresentanza politica. Ma questo è un altro ragionamento e se si darà il caso occorrerà tornarci sopra in modo specifico e in termini approfonditi.
Tratto dal Granello di Sabbia di Novembre – Dicembre 2014: “Riconversione ecologica”, scaricabile QUI