La riconversione del fare – n.16, novembre dicembre 2014

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di Riccardo Troisi

E’ ormai difficile negare che gli effetti delle tre crisi sovrapposte (finanziaria, economica ed ambientale), in corso da oltre sei anni con un’ intensità che non accenna a diminuire, e delle gravi conseguenze sociali delle misure ancora completamente liberiste adottate dai governi di una Europa mai così messa in discussione, stanno impattando pesantemente sui nostri territori, dove assistiamo sempre più allo sgretolamento del tessuto produttivo fondato sull’attuale modello di sviluppo.

Occorre dunque chiedersi come si debbano sviluppare sempre più iniziative dal basso che provano a invertire in autonomia questa tendenza, sperimentando progettualità di rigenerazione economica che mettano al centro la dimensione ecologica e sociale. Il percorso di riconversione ecologica e solidale dei processi produttivi è un processo di cambiamento radicale che ha come obiettivo il cambiamento di un modello di società prima che di un modello di economia. La logica del consumo critico individuale è centrale per i cambiamenti degli stili di vista personali, ma non è più sufficiente per invertire la rotta ormai piena di macerie e detriti prodotti dai danni ecologici e sociali di questo modello di sviluppo. In questo contesto il movimento variegato dell’economia solidale, sta provando ad avviare alcune esperienze e progettualità, che hanno come obiettivo la creazione di laboratori territoriali permanente anti crisi mettendo in rete e creando sinergie tra le realtà e le esperienze che hanno come obiettivo quello di centrare la loro attività sull’utilità sociale, per la costruzione di una società a tutela dei beni comuni, una società equa, partecipata e sostenibile. Un’economia che crei ricchezza sociale e benessere sociale per i territori e per le comunità che li abitano. Riconversione dei territori: cosa significa? Per iniziare a tradurre in pratica questo concetto occorre guardare alle migliaia di piccole esperienze che stanno costruendo dal basso una politica “territoriale del fare”: forme endogene di economia e democrazia partecipata costruite in una dimensione locale, quasi sempre non dipendenti dalla spesa pubblica, statale o locale e in assenza di qualunque forma di incentivo. In questa dimensione si ricreano e si riscoprono forme di relazione che rafforzano i legami di solidarietà e sussidiarietà.

Le sperimentazioni più numerose che vanno in questa direzione riguardano il settore della filiera alimentare, o dell’artigianato ecocompatibile, la costruzione di servizi di welfare locale e il ripensamento delle strutture abitative centrato sulla sostenibilità sociale ed ecologica.

1) L’agricoltura urbana e della co-produzione: sull’esempio di molte città, europee e non, stanno crescendo spazi condivisi di generazione e promozione di legami sociali e culturali, in grado di creare situazioni di benessere psico-fisico e relazionale e al contempo occasioni per fare attività fisica e coltivare ortaggi adatti ad una sana alimentazione ( vedi l’esempio dei Jardins Partagés a Parigi o le esperienze della rete internazionale Urgenci).

2) L’agricoltura sociale, come nuova forma di sinergia tra agricoltura biologica rispettosa dell’ambiente e processi di integrazione sociale delle persone in condizione di svantaggio, in un’ ottica di costruzione di un nuovo modello di welfare territoriale non assistenziale.

3) Piccola distribuzione organizzata (Pdo). Molti Gruppi d’acquisto e reti di economia solidale locale privilegiano l’autorganizzazione nella distribuzione dei prodotti preferibilmente locali, anche sfusi, strutturando concrete esperienze di piccola e media distribuzione pure informali. Alcune di queste esperienze, oltre a ridurre sprechi e rifiuti, creano occupazione attraverso la realizzazione di servizi di trasporti e di magazzino, di piccola trasformazione territoriale, i cui costi sono inclusi nel prezzo finale e rimangono a livelli molto bassi rispetto a quelli del mercato. Oltre ai GAS, percorsi di Piccola Distribuzione Organizzata si stanno sperimentando in diversi luoghi, sempre seguendo i principi guida dell’economia solidale: ricerca del ben vivere per tutti i soggetti coinvolti, riconoscimento dell’importanza del lavoro, creazione di reti sul territorio. La distribuzione diventa così un’ulteriore occasione di incontro, e non di separazione, tra chi produce, chi distribuisce e chi consuma.

Esistono forme di distribuzione – talvolta di livello superiore ai GAS, talvolta strutturate con modalità diverse dal GAS – in cui si sostanzia una collaborazione diretta tra consumatori e produttori nel rispetto dei principi generali dell’Economia Solidale (brevemente sintetizzabili in: responsabilizzazione individuale, relazione, resistenza/reazione collettiva).

Queste forme organizzative possono avere la natura di accordi tra un gruppo di GAS e uno o più fornitori oppure essere strutturate in associazione o in cooperativa, oppure essere organizzate e gestite da un ente “super partes”, ecc. Le iniziative di PDO, unitamente ad altri percorsi collettivi (GAS, reti di GAS, sistemi di garanzia partecipativa, ricostruzione di filiere produttive, ecc.), costituiscono passi importanti per il rafforzamento dei circuiti di Economia Solidale – verso la strutturazione di DES e di comunità capaci di futuro.

4) Mercati locali e solidali e dei relativi spazi. Invertire la tendenza alla cementificazione, alla costruzione di megacentri commerciali e alla diffusione capillare della Grande Distribuzione Organizzata che sta uccidendo le piccole attività commerciali di prossimità. L’abitudine ad usare i mercati e gli ambulanti itineranti come canale d’acquisto per molti generi, alimentari e non, ha origine lontane nel tempo e resta diffuso in molte zone e città. Le informazioni disponibili sono limitate ad alcuni comuni, grazie ai dati raccolti per le elaborazioni dei piani del commercio, ma sono significative: il mercato per il settore della frutta e verdura ha quote di acquisti intorno al 20-25%, con punte, in alcuni comuni, di oltre il 30%. Anche per il vestiario la quota di acquisti che si dirige ai mercati risulta importante posizionandosi intorno al 10%, con valori superiori in alcune realtà e se si tiene conto della maglieria intima e dei tessuti. Questi spazi sono oggi a rischio desertificazione a seguito della capillarizzazione della Grande Distribuzione Organizzata ma rappresentano tuttora l’unico mercato di sbocco per quasi 151mila aziende locali. L’offerta di molti di questi spazi, di recente, è stata qualificata dalla crescente presenza di giovani artigiani, agricoltori biologici, operatori del riuso e del riciclo che rappresentano un’opportunità unica per rafforzare le produzioni locali e sostenibili.

5) Comunità solidali. Le forme di democrazia partecipativa economica, ecologica e solidale sperimentate nelle Reti e nei Distretti di economia solidale già esistenti e nella loro moltiplicazione. Più in generale, si segnala l’emergere in varie regioni di leggi e misure amministrative che favoriscono le diverse attività che rispondono ai principi dell’economia alternativa e solidale e che si aggiungono alle leggi già in vigore, nel Trentino, in Toscana, nel Lazio ed in Emilia Romagna. Questi interventi, regionali e provinciali, da condividere con le reti operative in modalità ampiamente partecipata e trasversale, devono essere considerati prioritari in tutto il territorio nazionale, in quanto favoriscono la creazione di posti di lavoro in netta controtendenza con il sistema economico in balia delle crisi e possono contribuire a migliorare sia il rispetto dell’ambiente da parte dell’agricoltura e delle industrie, sia la qualità della vita delle popolazioni.

6) Esperienze degli “Acquisti Verdi e Equi”, privilegiando negli appalti pubblici, al criterio del ribasso dei prezzi, quelli della qualità, dello sviluppo locale e della giustizia sociale, in modo da rendere concreto il sostegno ad ambiente, salute, occupazione e lavoro dignitoso delle popolazioni. Sono da includere i pasti bio-locali e con prodotti del commercio equo e solidale negli ospedali e nelle altre strutture sanitarie.

7) Abitare solidale Per abitare solidale si intendono le diverse forme di convivenza abitativa (Cohousing, ecovillaggi, condomini solidali, vicinato solidale diffuso, social street ) che mettono al centro o cercano di rafforzare al loro interno pratiche di sostenibilità ecologica, sostenibilità economica e sociale. La sostenibilità ecologica prevede: il recupero dell’esistente anche attraverso la ricerca di nuove tecniche costruttive e nuovi materiali; l’attenzione al territorio; l’uso consapevole delle risorse locali e cicli chiusi; l’attenzione alla complessità e risposte tecniche adeguate. La sostenibilità economica comporta i vantaggi dell’essere un gruppo di persone coese rispetto alla gestione economica di un progetto di coabitazione: creare all’interno del gruppo forme di compensazione attraverso una sorta di “banca del tempo” in modo da assicurare chi non ha risorse finanziarie sufficienti; uso del prestito interno fra i soci; creare lavoro attraverso la nascita di microeconomie locali nella filiera dell’abitare; nuovi processi produttivi attraverso l’uso di materiali locali .

Sostenibilità sociale: necessità di attivare relazioni con il contesto sociale del territorio. Preso atto da parte dei soggetti pubblici (istituzioni), locali e non, che l’abitare consapevole è una risorsa importante per il territorio al fine di creare un controllo e una protezione sociale diffusa, individuando percorsi preferenziali e agevolazioni.

Rafforzare l’abitare “solidale”: con le azioni, i piani, i programmi e le politiche abitative e territoriali atti a declinare in forma solidale, integrata e strategica le esigenze e le aspettative economiche, sociali, insediative, ambientali e culturali delle comunità locali.

8) Rigenerazione delle aree dismesse. Molte realtà e movimenti stanno occupando spazi o aree dismesse di proprietà pubblica o abbandonate dal privato, dandogli nuova vita economica e sociale e trasformandole in “beni comuni” grazie ad una sinergia dal basso che crea reti e servizi legati all’economia solidale, oltre che per imprese che svolgono una attività a tutela dei beni comuni o che affrontano una transizione verso un modello ecologico e sociale qualitativo nelle proprie attività.

9) Economie popolari nella gestione dei rifiuti urbani e dell’usato locale. La raccolta e la rivendita di beni e materiali recuperati dal flusso dei rifiuti urbani costituisce da sempre un ammortizzatore sociale naturale e unica occasione di reddito per ampie fasce della popolazione a rischio di marginalità economica e sociale e oggi, con la crisi, il fenomeno è in netta espansione. Il settore dell’usato locale impedisce inoltre che milioni di oggetti in buono stato finiscano in discarica, aggravando la crisi ambientale dei nostri territori. Questo settore è però vincolato da alcune normative burocratiche che stanno riducendo l’attuazione e l’impatto di queste esperienze che potrebbero esprimere pienamente le loro potenzialità sociali, culturali, economiche e ambientali garantendo l’aumento della percentuale di raccolta differenziata dal 5% al 10% e l’inclusione sociale di migliaia di operatori, che della loro attività potrebbero così finalmente fare un vero progetto di vita.

10) Riconversione della finanza. Gran parte del mondo bancario e finanziario ha perso di vista il proprio scopo sociale, trasformandosi da un mezzo al servizio dell’economia e dell’insieme della società in un fine in sé stesso per “fare soldi dai soldi”. La finanza deve essere parte della soluzione, non del problema. In questo, come in altri ambiti, non parliamo più di iniziative residuali ma di un vero e proprio modello alternativo che si sta dimostrando per molti versi nettamente migliore del sistema finanziario tradizionale. In Italia esperienze come Banca etica e le Mag sono un elemento concreto di cambiamento. A queste vanno aggiunti i tentativi di creazione di monete complementari ed alternative che ripensano la funzione del denaro legandola ai processi produttivi del territorio.

Una delle considerazioni necessarie da fare in merito alla esperienze di riconversione descritte, è che spesso sono il risultato di pratiche “isolate” rispetto al modello di sviluppo economico e sociale del territorio, e in pochi casi queste riescono ad essere pensate in maniera sinergica e progettuale. L’esempio dei Distretti di economia solidale (Des) è il tentativo più organico di rappresentazioni di questi modelli su un territorio. Per fare un salto in avanti su queste progettualità di riconversione locale occorrerebbe iniziare a sperimentare proposte di pianificazione dal basso che costruiscano progettualità di rigenerazione locale orientati a questi modelli.      

Gli interventi organici di rigenerazione dovrebbero essere il nuovo orizzonte per avviare in alcuni territori, oltre alle iniziative puntuali, interventi con progetti pluriennali e plurisettoriali, orientati alla riconversione. Un tentativo molto in fieri verso questa direzione è il Progetto Re-Block di Tor Sapienza Da circa un anno un gruppo di organizzazioni territoriali assieme all’Università Roma Due di Tor Vergata sta provando a elaborare un piano di azione locale di rigenerazione efficiente ed efficace degli insediamenti urbani attraverso pratiche di economia alternativa e solidale. L’area di riferimento è il complesso Morandi a Tor Sapienza, caratterizzata da un’ alta densità abitativa e dalla presenza di edifici di edilizia pubblica in forte stato di degrado. L’azione ha come obiettivo il miglioramento della qualità di vita dei residenti in questa area delle periferie romane con alta concentrazione di disagio sociale, attraverso l’attivazione di un processo partecipativo che proponga progettualità di sostenibilità ambientale e sociale e riqualificazione del territorio a partire da interventi sulle strutture abitative fino alla progettazione di alcuni interventi di riqualificazione socioeconomica con particolare attenzione al contesto di riferimento.

L’idea è quella di elaborare, attraverso percorsi partecipati, un nuovo patto locale che definisca piani di zona territoriali, dove siano definiti dal basso i valori che devono regolare la convivenza sociale in tutte le sue forme. Pertanto è dai territori che occorre iniziare a ripensare anche l’idea di una nuova domanda e offerta per rigenerare l’economia. I recenti disordini e conflitti che hanno travolto l’area, (novembre 2014) con sollevazioni dei residenti contro tutte le presenze di stranieri, non fanno che confermare l’urgente necessità di avviare progetti simili e ispirati a criteri analoghi in tutte le aree periferiche e comunque da tempo emarginate.

Tratto dal Granello di Sabbia di Novembre – Dicembre 2014: “Riconversione ecologica”, scaricabile QUI

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