di Marco Schiaffino
La vicenda del cosiddetto “dieselgate” è la rappresentazione perfetta della debolezza intrinseca del sistema neoliberista. Il fatto che abbia avuto come protagonista Volkswagen, simbolo di un capitalismo che è stato a più riprese proposto come modello positivo a cui ispirarsi, ancora prima che ironico, è terribilmente significativo. Basta mettere in file la colossale truffa del diesel come carburante pulito, la messa in scena dei regolamenti sulle emissioni e la patetica frode messa in atto dalla dirigenza della casa automobilistica tedesca (con la probabile collusione di chi avrebbe dovuto controllarla) per capire che la favola del “capitalismo dal volto umano” è destinata a rimanere tale. La verità è che il mercato non può essere moderato, almeno fino a quando non se ne rimettono in discussione finalità, regole e limiti.
D’altra parte non c’è bisogno di essere un nobel per l’economia per capire che le regole del mercato sono destinate inevitabilmente a entrare in conflitto con la tutela dell’ambiente, con i diritti e con il benessere delle persone. Lasciato a sé stesso, o peggio ancora spinto in un quadro di competizione esasperata, il mercato si comporta assecondando la sua natura: travolgendo tutto ciò che lo ostacola. Il dieselgate è un semplice esempio che conferma questa regola. Posti di fronte alla contraddizione tra l’obbligo di profitto e il rispetto di regole che avrebbero dovuto proteggere l’ambiente e la nostra salute, i dirigenti di Volskwagen si sono comportati come perfetti soggetti economici: hanno scelto di seguire le regole del mercato e rimuovere l’ostacolo al profitto. Un meccanismo che i poteri economici e finanziari hanno ben presente. Non a caso si stanno attrezzando per fare in modo che casi come questi non possano più accadere.
A risolvere la questione una volta per tutte ci penseranno i vari trattati internazionali di libero scambio (TPP, TTIP, TISA) affrontando il problema alla radice, ovvero creando un quadro giuridico in cui il rapporto tra regole e ricerca del profitto viene risolto in maniera radicale: dando la priorità al profitto. Se questi accordi arriveranno a essere operativi, leggi e regolamenti verranno subordinati agli obiettivi economici, togliendo alla Volkswagen di turno il problema di dover aggirare le regole. Molto più semplicemente, ci penseranno commissioni e corti arbitrali. Grazie al loro lavoro avremo la certezza che nessuna normativa ambientale potrà mai andare a intaccare la “legittima aspettativa di profitto” delle aziende, liberandoci per sempre dal timore che qualcuno possa avere la tentazione di violare le regole. Saranno le regole, più semplicemente, a non violare i profitti.
Un altro tassello nel progetto neoliberista che punta alla trasformazione del pianeta in un grande ring in cui gli individui si confrontano in una competizione economica globale. Un progetto che ha ormai mostrato tutti i suoi (tragici) limiti. Perché in ogni competizione, oltre a un vincente, c’è uno sconfitto. E a uscire sconfitto, nel gioco del grande mercato globale, è il 99% della popolazione. Ce lo ricordano ogni giorno le migliaia di migranti che attraversano i nostri territori per sfuggire alle guerre o alla miseria. Ce lo ricordano i milioni di individui che hanno visto la loro qualità della vita sgretolarsi sotto i colpi della crisi economico finanziaria che da almeno 7 anni fa strage di diritti. Ce lo ricorda l’involuzione democratica del nostro stesso paese che, nel nome dell’efficienza e della competitività, sta facendo a pezzi la costituzione e le dinamiche democratiche.
La manifestazione di Berlino del 10 ottobre in cui 250.000 cittadini europei hanno portato in piazza il loro NO al TTIP, accompagnati da centinaia di eventi simili al di qua e al di là dell’oceano, è il segnale che questo percorso non ha la strada spianata. Allo stesso tempo, rappresenta il segnale che gli uomini e le donne che abitano questo pianeta hanno capito perfettamente qual è la posta in gioco. E, come ha dimostrato lo scorso 10 ottobre, la strada di chi pensa di poter assestare il colpo finale ai diritti nel nome del mercato è tutt’altro che sgombra.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 21 di Settembre-Ottobre 2015 “Finanza & Grandi Opere 2.0”, scaricabile qui.