di Francesco Carchedi
Negli ultimi anni si inizia a delineare un fenomeno nuovo che interessa le comunità straniere immigrate nel nostro paese. Infatti, nel loro interno si sono progressivamente costituite bande e strutture criminali che operano nell’illegalità per produrre ricchezza illecita. Si tratta di gruppi strutturati che possiamo definire di stampo mafioso, in quanto usano pratiche intimidatorie e minacce – nonché violenza di diversa natura – per portare a termine i loro obiettivi economici. Le vittime principali di questi gruppi di criminalità organizzata sono in primis i rispettivi connazionali, e solo secondariamente, in misura minore, cittadini di altre comunità e cittadini italiani. Questi gruppi criminali rappresentano uno segmento numericamente marginale nel panorama generale della presenza straniera in Italia, e non riscuotono nessun consenso all’interno delle stesse comunità. Anzi, ne sono i naturali oppositori.
Evidenziare questo fenomeno, quindi, non vuol creare facili equazioni che portano a criminalizzare i cittadini stranieri, ma evidenziare la presenza e l’operatività illegale di queste strutture criminali che compiono reati di particolare gravità, come la tratta di esseri umani (per sfruttamento sessuale, lavorativo e di accattonaggio forzoso), nonché il traffico internazionale di droghe ed altri reati di natura transnazionale. Le vittime sono generalmente i loro connazionali: donne e uomini vulnerabili, e non di rado anche giovani e finanche minori.
Le organizzazioni criminali di origine straniera nascono e si sviluppano storicamente, come dimostra l’esperienza degli Stati Uniti e del Canada paesi di più “vecchia” immigrazione, con il progredire dei processi di insediamento delle comunità immigrate e, ancor più a causa di inadeguate politiche sociali che non riescono a favorire l’inclusione progressiva dei cittadini di origine straniera. In Italia, come in altri paesi europei, le comunità straniere presentano èlite scolarizzate, gruppi non scolarizzati ma svolgenti occupazioni dignitose e gruppi più vulnerabili, tutti protesi a migliorare le loro condizioni di vita. Motivo di base che li ha spinti ad emigrare. A fianco a queste fasce di cittadini stranieri operano gruppi malavitosi che hanno scelto l’emigrazione per attuare comportamenti illegali.
Queste persone spesso erano già delinquenti nel paese di origine e dunque trasferirsi in Italia – come qualsiasi altro migrante – ha significato continuare a svolgere le stesse attività in un’area geografica diversa. Inoltre, ci sono coloro che seppur emigrati per migliorare le condizioni di vita lavorando, a un certo punto sono scivolati nei circuiti delinquenziali e si sono aggregati agli altri. Tali connubi hanno strutturato ancora di più i delinquenti di importazione. Questi gruppi per non essere concorrenziali con la malavita nostrana – e soprattutto con le organizzazioni mafiose – sono operativi, come sopra accennato, nel settore della tratta di persone o traffico di stupefacenti a livello transnazionale, poiché è maggiormente congeniale alla loro capacità criminale, essendo in grado di muoversi all’interno di due o più spazi geografici: ossia l’Italia e il paese di origine, e spesso anche in altri paesi intermedi o di transito.
Per quanto riguarda la tratta di esseri umani la loro specializzazione è multi-settoriale, poiché sono in grado di gestirne l’intero ciclo: dal reclutamento alla fornitura di documenti falsi per l’espatrio, dal viaggio/trasferimento all’ingresso nel territorio italiano, fino al successivo sfruttamento della prostituzione (il caso delle donne romene, nigeriane e russe) e della manodopera irregolare richiamata dai rispettivi paesi di origine (il caso degli indiani del Punjub, dei romeni, bulgari e polacchi). Alla tratta di esseri umani si sono associate, secondo un ulteriore grado di sviluppo criminale, le pratiche estorsive a danno di connazionali, la concessione di prestiti usurari (come nel caso dei cinesi o dei nigeriani) e, infine, il traffico internazionale e lo spaccio di stupefacenti.
Tali sodalizi criminali riescono così a costruire unità operative (con differenti gradi di strutturazione) nelle aree di origine e di destinazione, arrivando a creare, nelle loro forme più evolute sotto il profilo criminale, un continuum operativo-organizzativo fra il paese di origine e quello di destinazione nel quale sono presenti. Infine, salta agli occhi, almeno per certe organizzazioni criminali più radicate, la loro capacità di infiltrarsi entro il contesto sociale dei connazionali. Quanto più, infatti, tali infiltrazioni sono pervasive tanto più queste associazioni criminali si trovano nella condizione di esercitare forme cogenti di potere sulla comunità alla quale appartengono. La comunità di riferimento, cioè quella formata dai connazionali, diventa il luogo privilegiato delle loro scorribande criminali, assoggettando spezzoni di comunità ai loro interessi mafiosi. In questo senso riproducono su scala minore quello che le organizzazioni mafiose nostrane fanno a un livello superiore, cioè intimorire i rispettivi concittadini allo scopo di derubarli, estorcergli risorse, espropriargli beni e strumenti di lavoro.
Questi sodalizi mafiosi portano avanti, a velocità differenziate a secondo le loro tradizioni criminali, progetti espansivi che, almeno in via teorica, rappresentano un elemento di oggettiva concorrenza con le organizzazioni mafiose italiane, anche se, ad oggi, l’egemonia di queste ultime non pare essere in discussione. Infatti, al momento, le associazioni criminali straniere sembrano accontentarsi di una collocazione subalterna, ponendosi al servizio di quelle autoctone. In tal senso, i malavitosi stranieri agiscono sotto l’ombrello strumentalmente protettivo delle associazioni mafiose italiane. In cambio, essi possono svolgere le loro attività criminali più peculiari, come sopra accennato. Resta il fatto che il fine delle organizzazioni criminali straniere è acquisire il controllo interno delle comunità di connazionali, per poi compiere – una volta consolidatesi – un salto di qualità, accedendo agli ambiti illeciti nei quali le organizzazioni mafiose autoctone sono stabilmente inserite. Ragion per cui le mafie italiane monitorano e valutano attentamente l’evolversi di quelle straniere, facilitando oppure ostacolando la loro possibile evoluzione.
In sintesi, la configurazione assunta da queste organizzazioni criminali nel contesto nazionale deve tenere conto di una serie di elementi: a) la forza di attrazione nei confronti dei nuovi aderenti sulla base di pregresse tradizioni criminali; b) la loro capacità di infiltrazione nel tessuto socio-economico delle rispettive comunità di appartenenza e, infine, c) il grado di autonomia che il gruppo criminale acquisisce nei confronti delle associazioni mafiose autoctone.
Una di queste organizzazioni criminali, tra quelle maggiormente strutturate, è sicuramente quella nigeriana. è operante in Italia da almeno un trentennio. Essa si configura, almeno all’origine, come un fenomeno correlabile in larga parte ai processi di immigrazione provenienti dalla Nigeria sin dai primi anni Ottanta. Ai gruppi iniziali, col passar del tempo, si sono aggregati altre piccole componenti che li hanno rafforzati e ne hanno permesso un certo sviluppo evolutivo: non solo in termini quantitativi, ma anche, e soprattutto, in termini qualitativi (ovvero professionalizzando il corrispondente modus operandi criminale, strutturando così negli anni uno schema identitario-comportamentale man mano più definito). Altri gruppi criminali di origine nigeriana si integrano e si affiancano in contemporanea ai precedenti, in quanto espressione diretta di comportamenti devianti e illegali che nascono e si sviluppano ex novo, anche se in maniera discontinua e non lineare, nella specifica area di insediamento migratorio.
La criminalità nigeriana – con la sua composita struttura organizzativa – gestisce a vari livelli una filiera illegale che appare efficace e funzionale a forme differenziate di arricchimento. La filiera criminale si dipana all’interno di uno spazio geografico-territoriale multiplo che comprende sia le aree di localizzazione delle comunità immigrate in Italia, sia quelle della Nigeria meridionale da dove partono i migranti, nonché quelle di altri paesi esteri già meta di passate/recenti migrazioni.
La nostra tesi è che la parte più importante, o per meglio dire la base strutturale sulla quale poggia la filiera da cui scaturiscono successivamente le altre modalità di arricchimento illegale, è la gestione della tratta di esseri umani. Gestione oltremodo complessa, ma altamente redditizia, che si perpetua, quasi in maniera ininterrotta e sostanzialmente con le stesse caratteristiche di fondo, dalla metà degli anni Novanta. Al centro di questa filiera è posizionata, ad un livello medio-alto, la Maman; ovvero una figura femminile con significativi poteri decisionali, in grado di influenzare direttamente o indirettamente le condotte dei membri dei sodalizi criminali nigeriani. E’ la Maman che, in modo concreto (e con una cadenza quotidiana), rappresenta uno snodo importante nella gestione della tratta e di conseguenza anche dei proventi economici che ne scaturiscono. In questa attività essa è protetta dai maman-boy (le sue guardie del corpo) e talvolta “venerata” dai cultisti (membri di culti pseudo-religiosi), in quanto può assumere anche un ruolo para-sacerdotale.
I proventi della tratta rappresentano, per i gruppi criminali nigeriani che operano in Italia, la principale fonte di accumulazione di capitali illeciti da reinvestire nell’economia legale e illegale, determinando così un accrescimento della ricchezza e dello status criminale degli attori coinvolti. Una parte considerevole di questa ricchezza torna in Nigeria e viene impiegata nell’acquisito di immobili, di imprese redditizie e in investimenti ad alto rendimento. La criminalità nigeriana, dunque, utilizzando lo sfruttamento servile della prostituzione ricava il denaro necessario ad acquistare ingenti partite di droga. Una volta rivendute il denaro viene a moltiplicarsi e a creare ulteriori ricchezze.
Queste vengono ancora una volta re-investite in armi e dunque aumentano ancora maggiormente il loro valore iniziale. Le armi e la droga sono strumenti di arricchimento che producono congiunzioni e alleanze strategiche tra criminalità organizzata e gruppi terroristici, i cui obiettivi tendono a convergere necessariamente al fine di non creare conflitti cruenti. In quest’ottica le alleanze tra queste diverse organizzazioni diventano una forma prioritaria per prevenire inevitabili tensioni.
La pericolosità di questa organizzazione – ed anche di quelle albanesi, cinesi e russe, ma anche romene e moldave – non va sottovalutata, come fu fatto con la camorra, l’ndrangheta o la sacra Corona Unita, poiché lo stereotipo dell’organizzazione mafiosa era soltanto quella di Cosa Nostra siciliana. Tale sottovalutazione ha ridotto la capacità di contrasto, in quanto si pensava che fossero mafie minori fino a quando si è scoperto, al contrario, che erano soltanto organizzate diversamente ma le pratiche di intimidazione e di arricchimento illecito era sostanzialmente le stesse.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 24 di Maggio-Giugno 2016 “Il Grande Esodo“