di Tommaso Fattori
Vent’anni or sono, la Toscana è stata prima regione a sposare lo sciagurato modello del partenariato pubblico privato per la gestione del servizio idrico integrato, spalancando le porte al peggior capitalismo municipale e alla massiccia depubblicizzazione delle amministrazioni pubbliche. I comuni sono stati trasformati in azionisti di decine di società di capitali e i servizi pubblici locali in società di diritto privato, con l’obiettivo di produrre utili e distribuire dividendi a soci pubblici e privati. Le Spa sono diventate, di fatto, le nuove istituzioni post-democratiche, che elaborano le politiche pubbliche territoriali al posto dei consigli comunali e persino dei Sindaci, nelle chiuse stanze dei consigli di amministrazione.
Allo stesso tempo la Toscana ha visto nascere, all’inizio di questo millennio, i primi embrioni del movimento per l’acqua: nei seminari del Forum Sociale Europeo del 2002, nel Forum Mondiale Alternativo dell’acqua di Firenze nel 2003, nel Forum Toscano, sul cui modello si è poi strutturato, negli anni a seguire, il Forum Italiano. E proprio in Toscana elaborammo collettivamente la prima legge di iniziativa popolare per ripubblicizzare l’acqua, nel 2005, con l’obiettivo di rendere il movimento legislatore e aprire una campagna sociale in tutta la regione.
Come è noto, il percorso da attivisti ‘legislatori’ è continuato con la legge di iniziativa popolare nazionale, che dopo alterne vicende è adesso in discussione in Parlamento, e con una seconda legge regionale, in Lazio, l’unica andata in porto e approvata ancorché rimasta inattuata, un destino analogo a quello del vittorioso referendum del 2011. Ed è proprio la legge elaborata dai movimenti per il Lazio ad essere il cuore della proposta che ho presentato in Toscana nel gennaio del 2018, stavolta in qualità di consigliere regionale, e al momento bloccata in commissione a distanza di oltre un anno. I punti cardinali della norma sono quelli classici, che riassumo: gestione democraticamente partecipata attraverso soggetti di diritto pubblico, senza finalità di lucro, ossia attraverso una pluralità di aziende speciali o consortili vicine ai territori, con obiettivi di tipo sociale e ambientale; previsione di un bilancio idrico di bacino per assicurare l’equilibrio tra prelievi e capacità naturale di ricostituzione della risorsa; istituzione di un fondo per la ripubblicizzazione e di un fondo di garanzia, per sostenere il subentro delle aziende speciali alle Spa, quando si sia giunti a fine concessione; l’assicurazione di 50 litri gratuiti al giorno a persona, in ossequio al principio basilare secondo cui l’accesso all’acqua potabile è un diritto umano fondamentale da garantire a tutti; istituzione di un fondo di solidarietà internazionale destinato a progetti per portare acqua a chi non ne ha, essendo ogni territorio chiamato a fare la sua parte per assicurare l’accesso all’acqua potabile a tutti gli esseri umani.
Dopo la presentazione della nostra legge sono intervenute due novità, che rendono la situazione alquanto paradossale. La prima novità è stata la presentazione, alcuni mesi dopo la nostra, di una proposta di legge da parte del M5S che nelle prime pagine ricopia il testo della legge laziale e poi, però, ripropone una parte essenziale dell’attuale architettura del governo dell’acqua regionale, a partire dall’Ambito Territoriale Ottimale (ATO) unico regionale e dalla famigerata Autorità Idrica Toscana (AIT), contro cui i movimenti si sono battuti fin dalla sua istituzione. La nostra legge, come ovvio, nella seconda parte riporta invece integralmente governo e gestione alla dimensione locale, ossia definisce una pluralità di ATO in relazione ai bacini idrografici, prevedendo le relative autorità di ambito, ossia organismi partecipativi di governo del servizio, e facendo di conseguenza saltare anche l’autorità unica, strumento che ha allontanato ulteriormente le decisioni dai territori, preparando il terreno al futuro gestore unico regionale. La legge regionale del M5S elimina anche il fondo di solidarietà internazionale sostituendolo con un ridondante fondo per i toscani, presumibilmente in ossequio allo slogan degli alleati nazionali: ‘prima gli italiani, prima i toscani’.
La seconda novità è stato l’annuncio da parte del Presidente della Regione di un’inversione di marcia a favore della ripubblicizzazione. Peccato Rossi abbia in mente un modello fortemente accentrato e – almeno per quanto è dato di capire, visto che tutto è rimasto mero annuncio – di nuovo incardinato su un ente gestore di diritto privato, sebbene a totale capitale pubblico. Si prefigurerebbe insomma una non ben precisata e ossimorica “holding pubblica” unica regionale.
Tuttavia le contraddizioni, ancora una volta trasversali, non finiscono qui. Se da una parte tutti ribadiscono che l’obiettivo sarebbe la ripubblicizzazione, dall’altra si moltiplicano le proroghe delle concessioni agli attuali gestori, ossia alle Spa che si afferma di voler superare. Proroghe esplicitamente richieste e approvate da Sindaci del PD, come il fiorentino Nardella, e del M5S, come il livornese Nogarin, che ha addirittura sostenuto e approvato un’incredibile proroga fino al 2031. Quattro delle sei concessioni toscane sono state dunque prorogate, nel corso del 2019, agli attuali gestori privati, e guarda caso ciò avviene proprio adesso che le scadenze erano vicine nel tempo e si sarebbe potuto pianificare la transizione alla gestione pubblica, con costi contenutissimi, sul modello di Parigi. Insomma, a parole si afferma di voler ripubblicizzare e nei fatti si posticipa la ripubblicizzazione ad un futuro lontano e improbabile.
Sarebbe tuttavia un errore non vedere i notevoli passi avanti compiuti in questi 20 anni. Intanto esiste e resiste un movimento dell’acqua: un forum toscano, un forum italiano. Se agli inizi del 2000 eravamo ancora sparuti Don Quijote che sembravano lottare contro i mulini a vento – e il vento neoliberista spirava con massima forza, prima della crisi – nel frattempo siamo cresciuti fino a vincere un referendum, per quanto largamente tradito, e la battaglia per l’acqua bene comune è diventata maggioritaria nel paese. I movimenti sono riusciti a dettare l’agenda, a dimostrazione che la lotta paga. Nessuno oggi in Toscana osa più sostenere la bontà della privatizzazione del servizio idrico, e neppure cerca di sostenerne la necessità in base a inesistenti obblighi europei, al debito pubblico o a chissà cos’altro; i nemici della ripubblicizzazione oggi si nascondono, barano, giocano con le parole o ancor peggio giocano con le proroghe mentre giocano con le parole. Nel dibattito in Consiglio regionale né il presidente Rossi né esponenti del PD hanno osato affermare che, siccome il 60% delle azioni è in mano ai comuni, allora non ci sarebbe nulla da ripubblicizzare, ossia la cantilena che ci siamo sentiti ripetere per anni.
Nessuno osa più dire che i privati portano i soldi per gli investimenti ed è ormai evidente a tutti che il modo più costoso per anticipare i capitali necessari per gli investimenti, in un servizio capital intensive, è proprio il ricorso al capitale azionario privato e al capitale di terzi, attraverso l’indebitamento con le Banche, come è puntualmente successo. Insomma, sembrano svaniti nel nulla i mantra ossessivi degli anni passati. Due decenni in cui i movimenti e la sinistra così detta radicale hanno fatto battaglie in difesa dei servizi pubblici rimasti tali e per la ripubblicizzazione di quelli privatizzati mentre, dall’altra parte, centrodestra e centrosinistra uniti privatizzavano allegramente tutto. E se oggi anche tanti nostri concittadini che votavano per i privatizzatori hanno evidentemente cambiato idea, questa è una nostra vittoria. Certo, qualche favola autoassolutoria resiste, come quella raccontata da Rossi che, nell’annunciare l’ipotesi della presunta ripubblicizzazione, ha affermato che ormai “non serve più un partner privato industriale”, come se mai fosse servito. Sarebbe stato più onesto ammettere l’evidenza, ossia che la privatizzazione è stata fallimentare sotto tutti i profili: gli azionisti si sono intascati profitti per centinaia di milioni di euro grazie alle bollette dei cittadini e alla remunerazione del capitale investito (che resta tale, seppur camuffata sotto altro nome); tariffe fra le più care d’Italia; investimenti ben al di sotto del necessario; età media delle tubature sempre più alta, e via di questo passo. L’unica cosa che ha funzionato benissimo, nel modello pubblico-privato, è stato il generare profitti per pochi attraverso la vendita di un bene di tutti.
Aggiungo un’ultima considerazione. Le nostre leggi possono essere finalmente approvate dal Consiglio regionale della Toscana e dal Parlamento nazionale: i movimenti possono divenire legislatori e ottenere, dopo una ventina d’anni di lotte e impegno costante, conquiste storiche. Ma questo avverrà solo se il dibattito non resterà chiuso entro il perimetro delle assemblee legislative, in altre parole, solo se ripartirà una nuova stagione di conflitto per la ripubblicizzazione dell’acqua e per i beni comuni.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 39 di Marzo – Aprile 2019. “Si scrive acqua, si legge democrazia“