La Remissione del debito e l’antiautoritarismo cristiano

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di Paolo Andreoni

La trappola del debito pubblico, impostasi con il sorgere del capitalismo mercantile prima e del capitalismo finanziario poi, si regge su una banale equazione matematica, in cui due fattori di segno opposto, indicanti un debito verso un credito, si eliminano ed il cui risultato è 0. Se si fornisse ai cittadini un credito pari a un debito, questi potrebbero permettere allo Stato di sanare in breve tempo ogni ipotetica bolla speculativa, senza il rischio di creare inflazione. Si tratterebbe di una soluzione che, oltre a presupporre chiaramente la necessaria assenza di corruzione, è ascrivibile ad un modello politico di tipo socialdemocratico, non subalterno ai poteri forti dell’economia.

Un caso utopico, ormai, nel nostro tempo storico, che prevede l’adeguamento culturale al modello neo-liberista e che palesa una stringente identità tra tale modello e la declinazione (ancora vigente) di socialdemocrazia, la quale (anche nel suo significato classico) non si pronuncia come anticapitalista. Dall’ingresso nell’età globale ad oggi tale orizzonte geopolitico è divenuto dominante e ha potuto estirpare ogni possibile differenza tra questi due orientamenti ideologici, precedentemente nominati. Tale fenomeno può verificarsi perché le banche centrali non svolgono, come invece dovrebbero, un servizio di mutuo soccorso sociale, ma sono delle società private, che impediscono alle nazioni di essere sovrane del proprio denaro. Ciò significa che i popoli prendono in prestito il denaro, che a loro serve per concludere le trattative e gli scambi quotidiani, al fine di condurre un’esistenza dignitosa. Quindi le banche, purtroppo, trattengono sia il debito che il credito, ogni volta che creano o emettono moneta. Questo letale cortocircuito fu definito da Giacinto Auriti, cofondatore della Facoltà di Giurisprudenza di Teramo, come usura al 200% da parte delle banche all’atto dell’emissione, ovvero come usura legalizzata. Stando, infatti, all’equazione iniziale, il debito e il credito teoricamente dovrebbero annullarsi a vicenda, ma essi non si annullano, perché creano ex nihilo un flusso monetario corrente. Il problema della sovranità monetaria, però, che non si riferisce al popolo, ma ai banchieri che se ne appropriano all’atto dell’emissione, è che, quando la moneta viene emessa, si crea solo il debito, poiché anche il lato dell’equazione che dovrebbe essere credito è, in realtà, debito, in quanto proprietà dello stesso soggetto. Dire di voler eliminare il debito, quindi, anche come equazione matematica in senso stretto, sarebbe estremamente immediato, attraverso il bilanciamento dell’equazione. Il fatto che la moneta venga emessa come debito è strettamente correlato alla legge 204 del 1910, che dava alla Banca d’Italia il potere di emettere moneta appropriandosene, anziché accreditarla ai cittadini, e tale prerogativa è stata oggi trasferita alla Banca Centrale Europea. Il ragionamento che vorrei introdurre intende scatenare una complessa riflessione su quelle che sono le radici cristiane dell’Occidente e su come l’espropriazione di fondamentali diritti inalienabili risieda nella struttura autoritaria delle gerarchie di potere. Già nella Bibbia, infatti, possiamo rinvenire la denuncia dell’usura e del prestito ad interessi (Deuteronomio 23, 20), così come il dovere di non defraudare del proprio salario il bisognoso, che non deve essere posto nella condizione di contrarre debiti, colpa, quest’ultima, identificabile con il peccato di fronte a Dio (Deuteronomio 24, 10). Allo stesso modo, nel Vangelo di Matteo (18, 23) incontriamo la Parabola del Debitore ingrato, che mostra come l’ossessione venale della materialità possa corrompere la coscienza morale di un servo, il quale rifiuta di condonare il debito di un proprio pari, impossibilitato a restituirgli una somma di denaro, che in precedenza aveva chiesto in prestito. Nel Vecchio Testamento, poi, viene introdotta, in riferimento alla legge che Mosè aveva fissato per il popolo ebraico, la nozione di Giubileo, che impone una moratoria del debito (Levitico 25, 8). L’imposizione, tra l’altro, a non vendere la terra, perché il regno di Dio pone uomo nella condizione di forestiero e, quindi nessuno teoricamente può esercitare il diritto di proprietà, introduce a quelli che sono i tratti comunitaristici delle Sacre Scritture. L’anno santo del Giubileo, in realtà, viene istituito con la funzione di affermare la pietà del Cristo, l’amore redentore del perdono, che estingue gli odi e i soprusi delle autorità terrene, attraverso la remissione dei peccati, la conciliazione, la conversione e la penitenza sacramentale. Non è un caso che il Giubileo straordinario, indetto da Papa Francesco, che avrà inizio l’8 dicembre e che terminerà il 20 novembre del 2016, abbia come motto «Misericordiosi come il Padre». L’interessante domanda, però, che potremmo porci, è come mai l’attuale Vicario di Cristo, che viene già ritenuto un pericoloso innovatore e che addirittura decide di vestire la povertà come il Santo di Assisi, decide di benedire il golpe delle multinazionali colluse con Expo Milano 2015? Recuperare il Cristianesimo delle origini e intravedere in questo la via nella quale possono darsi le condizioni di possibilità per la costruzione di comunità che si riappropriano dei territori, dei beni comuni e che riconoscono nell’abolizione della sopraffazione dell’uomo sull’uomo l’inviolabilità del creato e delle creature, in esso custodite, obbliga la condanna di ogni gerarchizzazione della violenza, che può anche esercitarsi nel sostegno diretto o indiretto del Capitalismo e dei servi dello stato di diritto. D’ora in poi la rubrica di filosofia cercherà, in ogni articolo, di indagare la complessità del nesso anticapitalismo (anarchico) e Cristianesimo.

 

Articolo tratto dal Granello di Sabbia di Maggio 2015 “Vantiamo solo crediti”, scaricabile qui.

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