Fuorimercato: un’esperienza in divenire

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di Gigi Malabarba

Fuorimercato vuole costituire una realtà economica sostenibile sia dal punto di vista ecologico che sociale, organizza l’apporto quanto più ampio possibile di abilità e competenze specifiche in ogni campo e coerenti con la concezione che la ispira, riconoscendo un valore economico ad ognuna di esse tramite remunerazione o scambio. Fm non intende rappresentare un mercato alternativo, ma un’alternativa al mercato, che connette la produzione, la riproduzione e la circolazione di un’economia altra, tendenzialmente alternativa al capitalismo.  

Siamo partiti dalla soddisfazione dei bisogni fondamentali individuali e collettivi conculcati dalle politiche liberiste per andare oltre la rete di sostegno o la lotta per il semplice ripristino di un welfare in ogni caso insoddisfacente.  Centrale è la tessitura di rapporti con e fra le realtà di consumo critico per affrontare le esigenze di distribuzione di ‘prodotti ad alto valore sociale aggiunto’. Non si tratta solo di essere rispettosi della salute e dell’ambiente attraverso produzioni biologiche o a ‘garanzia partecipata’, ma anche di essere rispettosi dei diritti di chi lavora, dalla produzione alla distribuzione finale.

Ciò significa creare posti di lavoro e lavoro ‘buono’. A RiMaflow in 5 anni di occupazione siamo passati da 15-20 lavoratori e lavoratrici iniziali a circa 100 tra cooperativisti e artigiani, mentre attorno si va articolando una Rete di economia sociale e popolare, urbana e rurale, che ne organizza altrettanti, tra cooperative agricole e Csa, cucine popolari e anche ambiti di produzione culturale. In Puglia, nella filiera auto-gestita del pomodoro ‘sfrutta zero’, ogni nuovo anno sono  in crescita  opportunità di lavoro sia per migranti che per nativi. In generale nelle campagne si registra il maggior numero di esempi di riappropriazione del lavoro.

Nell’evoluzione del dibattito, abbiamo iniziato ad affrontare anche percorsi di costruzione di comunità. Si è trattato in questo caso di affiancare ai Gruppi di acquisto solidale (i tradizionali Gas) i Gruppi di offerta (reti di produttori agricoli o laboratori artigianali o competenze e saperi), pianificando collettivamente l’insieme di una filiera economica popolare: dalla produzione allo stoccaggio/logistica, al lavoro di trasformazione dei prodotti e di costruzione di strumenti o pezzi di ricambio, al mercato o piazza comune/spazio collettivo, allo spaccio, alle cucine popolari. Ossia un campo economico ‘fuorimercato’, in cui è tutta la comunità che si assume la responsabilità di gestire la sfera di sussistenza, con la centralità del cibo.

I riferimenti, con qualche adattamento, vanno dalle CSA (Community Supported Agricolture) del mondo anglosassone, o alla CIC (Cooperativa Integral Catalana) dove tutte le fasi del ciclo economico sono comprese e funzionano in autogestione, con sperimentazioni di de-monetarizzazione con sovra-fornitura di prodotti, banche delle ore, quote di solidarietà, monete sociali, ecc.. A Bologna, attorno alla realtà di Campi Aperti, esistono da anni ambiti organizzati che vanno in questa direzione (come ad esempio la cooperativa di produzione e consumo Arvaia, e più recentemente Camilla, nata da una collaborazione tra Campi Aperti e il Gas Alchemilla), coinvolgendo diverse centinaia di persone e sono tuttora in crescita. In sostanza, è in atto un tentativo di superare almeno embrionalmente la storica separatezza tra città e campagna prodotta dallo sviluppo capitalistico.

Ulteriore evoluzione rappresentano i progetti di ‘cucine popolari’ in collegamento con tutta la filiera produttiva autogestita: qui si cerca di intervenire sul versante della sussistenza e del diritto all’alimentazione e a un cibo sano per tutti, rompendo il meccanismo dominante che consente solo ai redditi alti di ‘comprare biologico’ e, più in generale a chi ha un reddito, di poter ‘comprare’ tout court. Si tratta cioè di rispondere anche a una esigenza di solidarietà di classe dentro la crisi, partendo dai bisogni elementari della popolazione, attraverso appunto cucine popolari ma anche ambulatori auto-gestiti con distribuzione di medicinali gratuiti, occupazioni per esigenze abitative, sostegni all’accoglienza dei migranti, ecc.

La scelta dell’ambito ‘alimentare’ non è quindi casuale, ma rappresenta il perno di un’economia altra e di nuove relazioni sociali: partire dalle esperienze più avanzate nella produzione contadina e dal ‘consumo critico’ per sviluppare i successivi passi in direzione comunitaria.

Fuorimercato si può definire una rete sociale di mutuo soccorso, finalizzata alla costruzione dal basso di istituzioni economiche in rottura con le leggi del Mercato e costituita da esperienze sociali e politiche di auto-organizzazione, autonome, che esercitano forme di appropriazione collettiva in contrapposizione alle forme di dominio capitalistico.

Si tratta di realtà in cui – in base a contesti diversi e con accentuazioni diverse – è possibile mettere in discussione le gerarchie sociali, l’organizzazione del lavoro, i meccanismi di dominazione materiali (di genere, di etnia e simbolici) e di organizzazione dei rapporti sociali (valori d’uso in luogo di valori di scambio, sperimentazioni di scambio senza uso di denaro, ecc.). Spazi sottratti al Mercato e al potere costituito che costruiscono relazioni di potere alternative, dall’autogestione all’autogoverno, ossia istanze fondate sulla democrazia diretta.

Un potere popolare, quindi, che si costruisce dal basso, dalla fabbrica o dalla comunità, dalla produzione o dal territorio, che aspira a togliere l’egemonia a quelli in alto, al loro Stato e alle loro leggi. Un processo costituente di nuove istituzioni che sorgano dal movimento in sostituzione di quelle esistenti, cioè quelle del potere costituito che, quando tocchi interessi forti e crei esempi pericolosi, ossia quando dai fastidio, reagisce. In questo caso ci si deve difendere innanzi tutto creando un consenso nel territorio e essendo parte del più generale conflitto sociale e di classe che moltiplica e collega tra loro esperienze di autogestione anche dal punto di vista materiale, economico e non solo politico, e garantisce anche una ‘protezione’ di fronte agli attacchi burocratici – amministrativi sostanzialmente repressivi.

E’ la stessa perdita di riferimenti per le sconfitte dei progetti alternativi che rende ancor più necessario non solo linguaggi diversi, tempi di maturazione diversi, ma anche una centralità delle pratiche con valenza di alternativa economico-sociale immediata: reti territoriali, orizzontali, ‘fuorimercato’, che costituiscano nel concreto – e non solo nei discorsi – luoghi potenziali di contro-egemonia. 

Come far avanzare, e su quali terreni, l’autonomia economica e il potere popolare in società capitalistiche avanzate?

L’isolamento in micro realtà o micro poteri locali o viene tollerata in quanto marginale o è destinata con ogni probabilità a una fine certa o al suo riassorbimento nell’ambito del sistema. Quindi queste sperimentazioni devono darsi forme di resistenza organizzate. Margini certamente maggiori esistono relativamente ai fondamentali dell’esistenza, ossia i beni comuni come l’acqua, il cibo, la terra.

Costruire Fuorimercato come organizzazione nazionale vuole essere un contributo in questa direzione, lavorando in direzione di uno ‘spazio’ e di un movimento, senza staccarsi mai dalle proprie radici e dando costantemente risposte alle domande della propria comunità. 

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 33 di Marzo – Aprile 2018: “Fuori dal mercato