di Mario Agostinelli
“Un mondo diverso è possibile, se l’azione dei popoli saprà costruire un altro modello energetico equo e democratico, non più alimentato dai combustibili fossili e dal nucleare, ma basato sul risparmio dell’energia e sull’uso distribuito e sostenibile delle risorse rinnovabili quali sole, vento, biomasse, geotermia, mini idroelettrico e maree. La transizione ad un’economia “leggera” nell’uso delle risorse energetiche richiede una duplice strategia: la reinvenzione dei mezzi (efficienza) e una prudente moderazione dei fini (sufficienza)”. Così si apriva il “Contratto mondiale per l’energia e il clima, per bandire guerre e povertà e fermare i cambiamenti climatici” elaborato nel 2005 da 12 associazioni italiane (tra cui Attac e Arci) e sottoscritto dall’assemblea generale del Forum Sociale Mondiale di Bamako nel 2006. Potrebbe diventare il preambolo della risoluzione finale della COP21 di Parigi: non lo sarà, purtroppo, e nemmeno le conclusioni avranno la stessa limpida assertività.
Basta questa valutazione per sgomentarci per i 10 anni buttati dai governi di tutto il pianeta (quello italiano assolutamente inconsistente) impermeabili alla riflessione e ai messaggi dei movimenti che attraversavano gli appuntamenti di massa che ancora tenevano la piazza. Il successo del controllo sociale delle popolazioni, prima ancora che la ricerca del consenso, ha consentito all’economia liberista di mettere in disparte la cura del pianeta e di proiettare sul futuro un presente dato come immodificabile, che si rivela ad ogni analisi immancabilmente distruttivo.
La politica non si è voluta occupare di cambiamenti che riguardano l’insieme dei rapporti umani e sociali e del grado, ormai insostenibile, di antropizzazione del territorio in tutti i Continenti. Non solo l’attacco alla natura, ma anche l’utilizzo sbilanciato del profitto derivante dalla detenzione del potere esercitato attraverso le novità tecnologiche e il prevalere del processo di finanziarizzazione dell’economia, hanno portato a una crescita esponenziale degli squilibri e delle diseguaglianze in tutte le dimensioni: squilibri considerati, a ragione, la causa principale della grave situazione di difficoltà a livello globale. Difficoltà causate da un impoverimento generale, dal dissesto ambientale, dall’aumento di conflitti armati, al punto da causare il rischio di guerra generale, nel quadro di un ritorno alla “logica dei blocchi”. La logica di tipo geopolitico relativa allo “spazio vitale” è tornata prepotentemente sulla scena, mentre svaniscono le illusioni di un multipolarismo capace di far nascere nuovi modelli di sviluppo in diverse parti del mondo. Così non può che entrare definitivamente in crisi il rapporto di credibilità tra politica e società e tra neocapitalismo e culture dei popoli.
In queste settimane di riacutizzazione di una guerra mondiale asimmetrica in corso da decenni per l’appropriazione delle risorse energetiche, sempre più scarse, e la privatizzazione dei beni comuni naturali, sempre più sottratti ai territori di appartenenza, il papa, leader profetico e responsabile che vive tra noi, ha svolto in Africa la sua missione a difesa di una natura ormai irrimediabilmente lacerata e i terroristi come “zanzare” endemiche a cui andrebbe bonificato il territorio in cui prolificano. Proprio in queste stesse settimane, “zanzare mutanti” con capacità di fuoco terrificante, hanno seminato e annunciano morte con armi vendute loro da sciagurati costruttori che risiedono in Paesi dotati delle tecnologie e degli eserciti più avanzati. Ancora, nelle stesse settimane i detentori di una potenza di distruzione con migliaia di ordigni nucleari, si fronteggiano in una “alleanza” che ingolfa i cieli e non ricorre nemmeno più all’alibi delle bombe intelligenti. Ed è in questi stessi giorni che i governanti di 195 Paesi, non hanno saputo concordare uno straccio di calendario vincolante per rientrare dall’emergenza climatica. Mentre irrimediabilmente si deteriora la biosfera ed è minacciata la specie umana, siamo di fronte alla possibilità che, anziché unire le forze per curare il pianeta, si accelerino pericolosamente le possibilità di quella terza deflagrazione mondiale oltre la quale, diceva Einstein, ci si combatterà solo con le pietre.
Produzione di energia, industria, trasporto, industrializzazione su scala mondiale della catena alimentare e uso del suolo, hanno aumentato la presenza dei gas climalteranti, portando la loro concentrazione in atmosfera da 278 ppm di CO2 equivalente prima della rivoluzione industriale a 400 ppm nel 2015.
Come è noto, gli scienziati dell’IPCC hanno affermato che, se l’umanità continua con l’attuale tasso di emissioni senza prendere misure per ridurlo, la temperatura media globale aumenterà entro il 2100 tra 3,7 e 4,8 gradi rispetto al livello pre-industriale, con conseguenti innalzamenti dei mari, eventi meteorologici estremi (inondazioni, siccità e cicloni, perdita di fertilità dei suoli, ondate di migrazioni). E sulla base di modelli comprovati, la comunità scientifica ha fissato in 2°C l’aumento di temperatura massimo sostenibile.
La COP21 si avvia a ratificare un trattato non giuridicamente vincolante che, secondo una formula più blanda e inconcludente perfino rispetto al protocollo di Kyoto, concorda approssimativamente sulla convergenza verso i 2°C e certifica che ogni singolo paese attuerà volontariamente impegni di riduzione nella direzione condivisa. Estrapolando gli impegni presi sulla carta da 170 Paesi, l’IPCC e Bloomberg hanno stimato che la temperatura crescerà dai 3° ai 4°C.
Come colmare allora il gap drammaticamente lasciato aperto mentre il crescente impegno bellico sottrae risorse alla riconversione e succhia e disperde in atmosfera il carbone organico che andrebbe lasciato sotto la terra o sotto gli oceani? Senza uno sforzo di pace, senza una risposta razionale ai malefici del terrorismo, senza vincoli giuridici nella lotta alla decarbonizzazione, a Parigi non resta che aprire la strada dell’adattamento e della cosiddetta mitigazione: il mercato avrà mano libera e l’economia neoliberista manterrà lo scettro della globalizzazione, nella perversa convinzione che lo sviluppo della tecnologia sia la soluzione dei problemi creati da un assetto politico e da una struttura economica e sociale incompatibile con la sopravvivenza.
Eppure a Parigi tutti considerano assolutamente irrimandabili le scadenze entro cui realizzare la decarbonizzazione, le pratiche più urgenti per la riconversione ecologica dell’economia, la trasformazione della fornitura elettrica in 100% da fonti rinnovabili, il cambiamento delle pratiche agroforestali a rilevante impatto climalterante, la sostituzione della mobilità praticata con veicoli a combustione fossile e a proprietà individuale. Come far emergere la praticabilità di un cambiamento profondo nei modi di produrre le merci, i servizi, l’energia; di consumare; di gestire i rifiuti; di muoversi; di vivere le nostre città; di alimentarsi e coltivare la terra in funzione della giustizia sociale? Occorre purtroppo constatare che non c’è ancora una sufficiente pressione popolare per costringere i governi ad un accordo risolutivo e con un profilo all’altezza dell’urgenza riconosciuta da tutto il mondo scientifico e metabolizzata dalle persone informate. Vorrei sbagliarmi, ma i governi ancora una volta non si faranno carico del passaggio epocale e della minaccia alla pace che si compie anche attraverso la guerra alla natura e non decideranno quindi di adottare modifiche strutturali.
Il cambiamento climatico è direttamente correlato alla crescita del terrorismo. Uno studio della CIA avverte che i paesi di tutto il mondo stanno “andando a lottare su una quantità limitata di acqua, quantità limitate di terra per coltivare i loro raccolti e si stanno riconsiderando sotto questo profilo tutti i tipi di conflitto internazionale”. In parole povere: la guerra e il militarismo alimentano esse stesse il cambiamento climatico e ne sono alimentate. Quanto al terrorismo, oltre a ricordare un introito di circa 500 milioni di dollari all’anno dalle vendite del petrolio che è nella disponibilità dei terroristi di ISIS, come possiamo sorprenderci per gli attentati nel cuore dell’Europa, dato che noi Europa, noi Nato, per le rotte energetiche fossili siamo in guerra prima nei Balcani e poi nel Vicino Oriente e non da oggi? Da un quindicennio ormai combattiamo una guerra asimmetrica che ha causato centinaia di migliaia di vittime e generato un caos geopolitico senza precedenti, proprio perché non si vuole cambiare il modello di consumo e produzione che si alimenta sulla combustione di petrolio, gas e carbone e, soprattutto, non si vuole imitare la natura nei cicli di rigenerazione energetica che questa ci manifesta quotidianamente, territorio per territorio. Non c’è compatibilità tra guerra e ecologia e quando la prima prevale, il senso di impotenza è devastante, come ci ha rivelato drammaticamente Alex Langer. Scommettiamo allora sulla pace. Quella della risposta nonviolenta e creativamente dissuadente e assimilante è una strada che non abbiamo mai percorso: eppure l’alfabeto dell’energia rinnovabile, della sufficienza attraverso il risparmio, della compatibilità con la biosfera, ci suggerisce questa strada unificante, lontana dallo scontro di civiltà. Mantenendo un assetto di guerra alle frontiere, come potremmo ancora distinguere tra rifugiati politici e migranti per ragioni economiche quando si calcola che sono ormai 50 milioni i migranti per motivi climatici?
Mi accorgo di avere troppo spesso rivolto domande. Ma si tratta di una forma retorica per affermare che abbiamo a disposizione reali soluzioni alla crisi più grave degli ultimi cento anni, purché non ci si arrenda all’imposizione di uno sconvolgente rapporto di classe, ancora più duro di quello sperimentato nel rapporto tra capitale e lavoro, perché questa volta la ricchezza spremuta dalla natura (energia e materia) va a discapito della sopravvivenza, in un connubio tra ingiustizia climatica e ingiustizia sociale che dovrebbe far riflettere chiunque voglia ridare senso ai conflitti diffusi per fare organicamente politica.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 22 di Novembre-Dicembre 2015 “System Change NOT Climate Change”, scaricabile qui.