di Civicamente Samoggia
Parliamo di una valle nella provincia di Bologna ai confini con quella di Modena, si tratta del bacino del torrente Samoggia: 30.000 abitanti, 178 kmq ( Milano ne ha 181), 5 municipi, in ordine di grandezza: Crespellano, Bazzano, Monteveglio, Castello di Serravalle e Savigno. Queste 5 municipalità erano comuni autonomi, che dall’inizio del 2014 sono confluiti in un unico Ente comunale denominato Valsamoggia.
La storia di questa fusione ha avuto per noi, lista dei cittadini “Civicamente Samoggia” (forza politica presente in consiglio comunale con il 20 % dei voti), un percorso conflittuale e difficile.
Un bel giorno i 5 sindaci decidono di lanciare l’idea della fusione in un unico Comune, senza consultare nessun settore della società civile o senza interrogarsi in merito alla necessità dell’operazione, alle esigenze della popolazione o alle conseguenze che questa scelta comportava.
In tutto il percorso è rimasto sempre questo aspetto fondamentale: una scelta aprioristica, ineluttabile, da eseguire il più rapidamente possibile, indiscutibile e che poteva essere studiata solo nelle segrete stanze del potere.
Tutti i 5 sindaci rappresentavano il PD, l’operazione è stata condotta tutta all’interno del loro Partito e ogni proposta di dialogo e compartecipazione è stata sempre negata.
Questo comportamento autoreferenziale ed escludente ha fatto sì che una giovane forza politica come la nostra, prendesse sempre più le distanze dal progetto, e ha reso impossibile qualunque tipo di intervento anche costruttivo in proposito.
All’inizio la nostra posizione non era aprioristicamente contraria alla fusione, ma ponevamo alcune inderogabili condizioni:
-che, prima di iniziare il processo di fusione, si sarebbe potuto consolidare la gestione dei servizi nell’Unione dei Comuni, che peraltro risultava piena di litigiosità e inefficienze sia riguardo al numero dei servizi associati sia all’economicità degli stessi.
-Che fossero coinvolti i cittadini in una discussione che evidenziasse la necessità dell’operazione e le modalità di costruzione del nuovo Ente, in modo da evidenziare e consolidare nuovi spazi di partecipazione democratica.
-Che i tempi non fossero dettati da una fretta irrazionale, ma da un’attenta valutazione dei principali problemi organizzativi ed economici del processo.
Visto che tutto questo non è stato da loro considerato, noi abbiamo deciso di coinvolgere i cittadini dicendo “no a questa fusione”.
Nell’autunno del 2012 la Regione ha indetto un referendum “solo” consultivo; durante la campagna referendaria il PD ha mobilitato tutte le sue forze e le sue risorse: hanno invitato Bersani, D’Alema, perfino, indebitamente, la Camusso (allora Renzi non era nessuno).
Nonostante questo il risultato è stato per loro deludente: ha vinto il sì alla fusione per 166 voti.
Hanno votato il 50% degli aventi diritto e, complessivamente il sì ha ottenuto il 51,47%, contro il 48,53 dei no.
Il dato più grave sta nel fatto che in 2 Comuni ha vinto il no alla fusione, ma hanno deciso di andare avanti per tutti e 5, mentre il presidente dell’Unione (sindaco di Savigno) aveva assicurato che si sarebbe rispettata la volontà di ogni Comune.
Da notare anche che, in seguito, la Regione ha corretto la legge nel senso che, in caso di referendum, il no di un Comune lo escludeva dalla fusione.
Abbiamo poi partecipato alla Consulta per la stesura dello Statuto, dove la maggioranza era rappresentata in modo sperequato. In quella sede abbiamo richiesto che su alcuni temi fossero coinvolti i cittadini, cioè sulla scelta del Capoluogo, sulle forme di partecipazione e infine sulla questione se i consigli dei municipi dovessero avere carattere consultivo oppure godessero di una certa autonomia con funzione deliberativa e con risorse proprie.
Ci hanno detto di no e noi siamo usciti dalla commissione.
Così sono rimasti i municipi che hanno poco potere e strumenti di partecipazione minimi.
Da allora abbiamo assistito a un sempre maggiore accentramento delle funzioni del Comune e a una sempre più dura chiusura a un dialogo con le forze politiche e con i cittadini, inoltre, ironia della sorte, a un impegno per il nuovo Comune, da parte della maggioranza, inefficace.
In un anno e mezzo non sono riusciti a fare una proposta per unificare le tariffe (scuola, rifiuti ecc) e l’Imu; i cittadini devono correre in lungo e in largo per raggiungere gli uffici accentrati e l’efficacia nella risposta alle loro richieste è diminuita (anche 30 Km, con scarso servizio bus), mentre sono aumentati i ritmi e i carichi di lavoro dei dipendenti comunali.
Dicono che tutto questo è stato fatto per avere più risorse da Stato e Regione e per uscire per 3 anni dal patto di stabilità. Un anno è già passato e tutto è rimasto sulla carta; inoltre possiamo dire che le risorse, per quante siano, bisogna vedere come si spendono.
Il fatto è che, a Comuni separati, il PD correva il rischio di perdere due Comuni. Allora avanti, l’unione fa la forza!
Articolo tratto dal Granello di sabbia di gennaio/febbraio 2015: “Enti locali: cronaca di una morte annunciata”, scaricabile qui