di Antonio De Lellis
Anticipazioni dal libro “Per un Giubileo del Debito. Perché mai l’Europa tace?” di prossima uscita presso la Bordeaux Edizioni
Ne “La vita prima del debito”, di cui questo testo è la naturale prosecuzione, ho cercato di curare i contributi di attivisti, sociologi, missionari, per spiegare, con le parole della logica, della scienza e della bibbia, perché il debito pubblico di diversi paesi, ed in particolare italiano, è in gran parte illegittimo in quanto già “onorato” a favore di un sistema speculativo senza regole che invece impone le proprie a tutto il mondo.
Nei 35 luoghi di presentazione del libro, dai centri occupati alle parrocchie, da Torino a Taranto, ho incontrato persone di diversa estrazione sociale e culturale, rappresentanti di un popolo di cittadini che, drammaticamente coinvolti in questa profonda crisi economica, chiedevano di ricevere ulteriori chiavi di lettura per comprendere “l’economia che uccide” e la “tirannia invisibile” [1].
Nasce così l’idea di un testo che vuole approfondire e arricchirsi di ulteriori contributi di donne e uomini, impegnati, coinvolti e competenti perché l’idea del “giubileo del debito”, nell’ottica di un’economia della custodia e della sobrietà, come da noi proposto, diventi una prospettiva reale.
In un contesto di profonde disuguaglianze e di conflitti sociali, economici e militari diffusi a livello mondiale, il giubileo del debito dovrebbe essere proposto e attuato dai movimenti ecclesiali, sociali e da diverse realtà che desiderano affrancarsi da questo sistema iniquo, per salvare ciò che può essere reinvestito nella costruzione di nuove istituzioni internazionali, sempre nella logica di una democrazia ad alta intensità.
Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza alcuni eventi importanti, successivi alla pubblicazione de “La vita prima del debito”, i quali hanno rafforzato profondamente il percorso che intendevamo proporre e nel cui solco il contributo si inseriva: l’incontro del 28 ottobre 2014 e del 7 luglio 2015 tra Francesco e i movimenti popolari del mondo e la proclamazione del Giubileo e dell’anno della Misericordia (8 dicembre 2015 – 20 novembre 2016).
Perché crediamo sia indifferibile mettere a tema il Debito? Perché ci troviamo in un mondo di debiti.
L’economia mondiale non è mai stata così indebitata. La spia rossa lampeggia già da tempo sul cruscotto di autorità monetarie ed economisti. Nel mondo l’indebitamento è infatti arrivato a sfiorare nuovi record (in percentuale del prodotto interno lordo, il valore è vicino a quello del 1929). Le probabilità che prima o poi si verifichino episodi di default non è irrisoria, anche se al momento questo scenario resta improbabile. In ogni caso, strumenti di intervento e reti di sicurezza non mancano, ma questa ben fornita “cassetta degli attrezzi” non basta a considerare la situazione sotto controllo. Il pericolo di default non è infatti l’unico che un risparmiatore deve prendere in considerazione. «Nessuno sa … se esista un preciso livello di indebitamento in grado di provocare automaticamente un default. Ma ci sono prove chiare del fatto che un forte indebitamento causa rallentamenti della crescita e molti altri problemi. Il momento esatto nel quale gli effetti negativi si materializzano resta però ignoto». [2]
In Italia un rapporto debito pubblico/PIL oltre il 132%, interessi passivi più elevati dei partner europei – 4,7% del PIL nel 2014 – politiche di stretta fiscale che producono da 20 anni un avanzo primario della spesa statale, cioè al netto degli interessi. Un avanzo che finisce sempre ai creditori: banche, le famiglie italiane più ricche e (per circa un terzo) gli investitori stranieri. Una spesa pubblica così elevata è un segnale di cattiva distribuzione della spesa e dell’imposizione fiscale: è una redistribuzione dai poveri ai ricchi, e con gli alti tassi di interessi che abbiamo avuto fino a poco tempo fa ci siamo giocati il futuro delle generazioni più giovani.[3]
Ma la ricchezza complessiva delle famiglie italiane è pari a quattro volte il debito pubblico del Paese.[4] Questo dato stride con la realtà secondo la quale la povertà mette radici in Italia.
Le persone in povertà assoluta, cioè la vera indigenza, però sono aumentate dai 2,4 milioni nel 2007 ai 6 milioni di oggi, circa il 10% della popolazione.[5]
Allora occorre allearsi contro la povertà per la prima volta e questo lo si può fare con uno stile fattivo, caritativo, ma anche con un profilo politico e religioso.
Quando diciamo carità diciamo anche giustizia, ed è importante che il tema della povertà sia al centro della missione della Chiesa. Purtroppo oggi si parla di post-socialismo, di post-capitalismo, ma non si riesce a parlare di post-povertà: la giustizia è il centro delle questioni contemporanee.[6]
Con uno stile politico, assumendo l’incompatibilità degli attori sociali dentro un’Europa fatta di regole che stressano lo stato sociale, riducono l’investimento pubblico, promuovono precarietà nel lavoro, privatizzano i beni comuni.
Con uno stile religioso, perché la religione appartiene a pieno titolo alla sfera pubblica. E’ un fattore cruciale di solidarietà e di coesione sociale nell’età post-secolare. La religione è un’alleata contro il disfattismo della ragione. [7]
Ma la povertà non è più importante delle disuguaglianze. Mentre il mondo diventa più ricco, la disuguaglianza inevitabilmente si profilerà come un problema molto più vasto rispetto alla povertà. Purtroppo, però , il dibattito sulla disuguaglianza si è concentrato a tal punto su quello nazionale da oscurare il ben più grande problema della disuguaglianza globale. Questo è un vero peccato perché i paesi ricchi potrebbero fare la differenza in tanti modi, ad esempio fornendo assistenza medica e scolastica gratuita online, più aiuti allo sviluppo, una riduzione del debito, l’accesso al mercato e un maggiore contributo alla sicurezza globale. L’arrivo di persone disperate sulle coste dell’Europa a bordo di barconi è un sintomo della loro incapacità in tal senso.[8]
Con l’intento di saldare il pensiero cristiano con quello dei movimenti popolari e con un’altra politica, mi accingo a darvi il benvenuto in queste pagine, mi auguro calde e appassionate.
Auguro al lettore anche di accettare la sfida del cambiamento, non a parole e illusorio, ma reale e prima di tutto personale. L’unico vero cambiamento, sempre possibile, è quello che possiamo mettere in pratica verso noi stessi e verso il mondo circostante, che possiamo raggiungere anche attraverso la scrittura.
Con l’apporto di economisti, professori universitari, giornalisti, attivisti dei movimenti e biblisti, a cui va il mio sentito ringraziamento, vi faremo compagnia in questo viaggio dentro un possibile futuro senza debiti, ovvero senza il più perverso e invasivo dei poteri.
“Mentre stiamo andando in stampa apprendo con soddisfazione che…” l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato l’accettazione delle nuove regole per guidare le ristrutturazioni del debito sovrano. Nel corso di una votazione a New York del 10 settembre, è stato adottato l’insieme dei nove principi con 136 voti a favore, solo 6 contrari e 41 astensioni. Tuttavia, l’attuazione dei principi è a rischio in quanto la maggior parte del debito internazionale è disciplinato da Stati Uniti o dalla legge britannica. Regno Unito e Stati Uniti sono stati tra i sei paesi che hanno votato contro. Gli altri quattro paesi che hanno votato contro sono stati Canada, Germania, Israele e Giappone.
Commentando il voto, Tim Jones, responsabile delle politiche di Jubilee Debt Campaign, ha detto:
“Questa potrebbe rivelarsi una svolta storica. La stragrande maggioranza delle nazioni ha parlato per una modifica del sistema del sovra-indebitamento. Dalla debacle del debito greco, a quella in Argentina tenuta in ostaggio dai fondi avvoltoio, dalla crisi del debito in Giamaica e in Salvador, il bisogno di cambiamento non è mai stato più chiaro. E ‘scandaloso che il Regno Unito abbia scelto di privilegiare i creditori invece delle persone in tutto il mondo votando contro questi principi. “
La votazione ha adottato nove principi che devono essere rispettati in caso di ristrutturazione del debito sovrano: la sovranità, buona fede, trasparenza, imparzialità, equità di trattamento, di immunità sovrana, legittimità, sostenibilità e ristrutturazione di maggioranza. I principi provengono dai negoziati nel corso dell’ultimo anno, a cui la maggior parte dei paesi dell’Unione europea si è rifiutata di prendere parte.
Le discussioni si sono svolte a seguito di un voto in settembre 2014 per stabilire un quadro giuridico multilaterale per la ristrutturazione del debito sovrano, passato con 124 voti a favore, 11 contro (fra cui quello del Regno Unito) e l’astensione della maggioranza dei paesi dell’UE.
Ucraina e Islanda sono state tra i paesi che hanno votato a favore dei principi, mentre nel settembre 2014 si erano astenute. Entrambe hanno sofferto la crisi del debito negli ultimi anni.
[1] Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium n. 54-56, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013
[2] Guido Plutonio, Il Sole 24 Ore Esperto Risponde pag. 5, 18 maggio 2015
[3] Mauro Gallegati, Il Manifesto, inserto di Sbilanciamoci n. 63, venerdì 24 aprile 2015
[4] Il Sole 24 Ore, n.129, pag.4, 12 maggio 2015
[5] Cristiano Gori, Un’alleanza contro la povertà in Italia, Il Sole 24 Ore , pag. 27, 12 maggio 2015 (dati Istat – Luca Tremolando: Sono più di 7 milioni gli italiani poveri di questi oltre 4 milioni vivono in condizioni di povertà assoluta – 17 luglio 2015 Sole 24 ore)
[6] Gustavo Gutiérrez, Prima i Poveri, in L’Osservatore Romano pagina 7, 13 maggio 2015
[7] Habermas Jùrgen , Gian Enrico Rusconi, Habermas e il rapporto tra fede e ragione, in Osservatore Romano, pagina 5, 13 maggio 2015
[8] Kenneth Rogoff, L’ipocrisia dell’Europa si chiama disuguaglianza, Il Sole 24 Ore , pagina 20 di mercoledì 13 maggio 2015
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 21 di Settembre-Ottobre 2015 “Finanza & Grandi Opere 2.0”, scaricabile qui.