SCHEDA 9: La Cassa Depositi e Prestiti

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Non ci sono i soldi?

Secondo i dati della Banca d’Italia, la ricchezza in Italia ammonta a quasi 9.000 miliardi di euro, mentre il debito pubblico è superiore ai 2.000 miliardi. Una qualsiasi azienda che avesse il medesimo rapporto -indebitamento inferiore al 25% del patrimonio- sarebbe considerata florida. Dunque i soldi ci sono e sono tanti. Il problema è che sono tutti privati, inegualmente distribuiti e tutti indirizzati a favorire l’espansione degli interessi finanziari sulla società.

L’esempio più evidente è costituito da Cassa Depositi e Prestiti.

Cos’ era Cassa Depositi e Prestiti

Oltre 20 milioni di persone affidano i propri risparmi alla Posta, attraverso libretti di risparmio postale e buoni fruttiferi postali. La massa di questi risparmi -nel 2014 pari a 250 miliardi di euro- viene raccolta da Cassa Depositi e Prestiti che, dalla sua nascita nel 1850 e fino al 2003, li utilizzava per permettere agli Enti locali territoriali di poter fare investimenti con mutui a tasso agevolato.

Questa era la sua funzione pubblica e sociale: utilizzare il risparmio privato e individuale per finalità di interesse pubblico e generale.

E questa era anche la sua unica funzione, grazie alla quale i Comuni hanno potuto realizzare tutte le opere che hanno qualificato il welfare locale per molti decenni.

Perché viene privatizzata Cassa Depositi e Prestiti

Fino agli anni ’90 del secolo scorso, i Comuni potevano finanziarsi solo attraverso Cassa Depositi e Prestiti. Il sistema bancario e finanziario era totalmente escluso dal settore degli investimenti pubblici. In quegli anni, si afferma anche in Italia l’ideologia neoliberista e le conseguenti strategie di privatizzazione. E’ così che si approvano norme che aprono alla possibilità per i Comuni di finanziarsi direttamente con il sistema bancario. E, tuttavia, resta un problema: se la Cassa Depositi e Prestiti non muta natura e continua a prestare a tassi agevolati, le banche, pur ora potendo, non riescono a penetrare nel mercato degli investimenti pubblici.

Cos’è diventata Cassa Depositi e Prestiti

Nel 2003, Cassa Depositi e Prestiti viene trasformata in Società per Azioni e al suo interno entrano le fondazioni bancarie (allora con il 30% del capitale sociale, oggi ridotto al 18,4%). Da allora, Cassa Depositi e Prestiti muta radicalmente la sua natura. Continua ad effettuare prestiti ai Comuni ma a tassi di mercato e si trasforma progressivamente in una “merchant bank”, che, tra partecipazioni azionarie dettate da ruolo di “operatore per conto del Governo” in società quotate (25,76% Eni, 29,85% Terna, 32,38% Snam,72,5% Fincantieri, 76% Simest, 100% Sace, 100% Fintecna), non quotate (80% FSI, Fondo Strategico Italiano, 16,52% F2i, Fondo italiano per le infrastrutture, 12,5% FII, Fondo italiano d’investimento) e fondi d’investimento di varia natura, è divenuta un colosso dell’economia e della finanza italiana.

 

Cassa Depositi e Prestiti al servizio dell’espropriazione delle comunità territoriali

Nel contesto così mutato, la relazione tra enti locali e Cdp sembra avvicinarsi sempre più a quella di un patto col diavolo. Già con la trasformazione in SpA si sono avute due immediate conseguenze: la fine dei prestiti a tassi agevolati e la loro trasformazione in prestiti a tassi di mercato da una parte, e la spinta decisiva per l’ingresso delle banche nel grande mercato degli investimenti degli enti locali dall’altra. L’attuale situazione di enorme indebitamento degli enti locali e i miliardi di derivati presenti nei bilanci di centinaia di Comuni sono la naturale conseguenza di una scelta strategica in favore della finanziarizzazione delle comunità locali.

Oggi gli enti locali, tra tagli dei trasferimenti, progressive restrizioni dovute al Patto di stabilità, tagli alla spesa pubblica e pareggio di bilancio sono stati volutamente messi in affanno all’unico scopo di persuaderli/obbligarli ad un gigantesco percorso di espropriazione e di privatizzazione, consegnandone beni e patrimonio alle lobby bancarie e finanziarie.

Un processo che avviene attraverso diversi ma convergenti percorsi, che vedono tutti in prima fila la Cassa Depositi e Prestiti.

La quale, oltre a finanziare gran parte delle “grandi opere” infrastrutturali, si propone come partner degli enti locali sia per facilitarne la svendita del patrimonio pubblico (attraverso il FIV, Fondo investimenti per le valorizzazioni, decine di immobili già acquisiti) sia per favorire la privatizzazione dei servizi pubblici locali e la progressiva fusione delle società gestrici in poche grandi multiutility collocate in Borsa (attraverso il Fondo Strategico Italiano e il Fondo italiano per le infrastrutture).

Come uscirne

Come si vede, siamo al paradosso dell’avvio di un gigantesco processo di spoliazione delle comunità locali, portato avanti con finanziamenti provenienti dai risparmi prodotti dalle medesime comunità locali.

Eppure, nonostante le grandi trasformazioni avvenute, è ancora in vigore quanto stabilito dall’art.10 del D.M. Economia del 6 ottobre 2004 (decreto attuativo della trasformazione di Cassa Depositi e Prestiti in SpA), che così recita: “I finanziamenti della Cassa Depositi e Prestiti rivolti a Stato, Regioni, Enti locali, Enti pubblici e organismi di diritto pubblico, costituiscono ‘servizio di interesse economico generale’”.

Occorre far dunque valere quell’interesse economico generale, promuovendo mobilitazioni delle comunità locali e dei Comuni, affinché Cassa Depositi e Prestiti, tanto più in un periodo di crisi sistemica e di necessità di costruire un altro modello sociale, torni alla sua originaria funzione pubblica e sociale, utilizzando i 250 miliardi di risparmio postale dei cittadini per favorire un nuovo ciclo di investimenti a tasso agevolato da parte dei Comuni. Investimenti che devono essere individuati attraverso processi partecipativi delle comunità territoriali e orientati ad obiettivi sociali ed ambientali.

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