SCHEDA 2: Enti locali nel mirino della finanza

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Nella guerra che le lobby finanziarie hanno dichiarato alle società civili europee – giustificandola con la necessità di contrastare la crisi del debito pubblico – una battaglia cruciale è quella riguardante gli enti locali, il loro ruolo, i loro beni e servizi. L’enorme ricchezza privata prodotta dalle speculazioni finanziarie, che ha portato alla crisi globale di questi anni, ha stringente necessità di trovare nuovi asset sui quali investire: si fanno ogni giorno più manifeste le mire di conquista dei beni degli enti locali.

Già nel rapporto Guadagni, concorrenza e crescita, presentato da Deutsche Bank nel dicembre 2011 alla Commissione Europea, si scriveva a proposito del nostro Paese : “I Comuni offrono il maggior potenziale di privatizzazione. In una relazione presentata alla fine di settembre 2011 dal Ministero dell’ Economia e delle Finanze si stima che le rimanenti imprese a capitale pubblico abbiano un valore complessivo di 80 miliardi di euro (pari a circa il 5,2% del PIL). Inoltre, il piano di concessioni potrebbe generare circa 70 miliardi di entrate. E questa operazione potrebbe rafforzare la concorrenza. (…) Particolare attenzione deve essere prestata agli edifici pubblici. La Cassa Depositi e Prestiti dice che il loro valore totale corrente arriva a 421 miliardi e che una parte corrispondente a 42 miliardi non è attualmente in uso. Per questa ragione potrebbe probabilmente essere messa in vendita con relativamente poco sforzo o spesa. Dal momento che il settore immobiliare appartiene in gran parte ai Comuni, il governo dovrebbe impostare un processo ben strutturato in anticipo. (…) Quindi, secondo le informazioni ufficiali, il patrimonio pubblico potrebbe raggiungere in valore complessivo di 571 miliardi, vicino al 37% del PIL. Naturalmente, il potenziale può anche essere ampliato.”

La spoliazione degli enti locali è stata avviata da almeno un quindicennio e vi hanno concorso tre fattori principali: il Patto di Stabilità e Crescita, la Spending Review e l’approvazione del Fiscal Compact.

Il Patto di Stabilità e Crescita interno consiste nelle misure, annualmente stabilite, per far confluire gli sforzi degli enti locali verso gli obiettivi di stabilità finanziaria stabiliti dallo Stato in accordo con l’Unione Europea. Quel patto ha vissuto a sua volta tre fasi: una prima di durissima contrazione delle possibilità di assunzione del personale da parte degli enti locali, che ha ridotto drasticamente la qualità dei servizi e ha contribuito a costruire una campagna ideologica sull’inefficienza del “pubblico”; in un secondo momento si è sferrato un attacco alle possibilità e capacità di investimento degli enti locali che, non potendosi indebitare, sono stati costretti e ridurre al lumicino le opere da realizzare; infine, la stessa capacità di spesa corrente trova oramai draconiane limitazioni, mettendo definitivamente a rischio il funzionamento stesso degli enti locali. Classificati da ora in avanti in “virtuosi” e “non virtuosi”, gli enti locali saranno costretti, per entrare nella prima categoria, ad aumentare le tasse locali e le tariffe, a ridurre ulteriormente l’occupazione, a dismettere il patrimonio pubblico e a privatizzare i servizi pubblici locali.

Il secondo fattore è la Spending review, ovvero i drastici tagli lineari che, anziché riorganizzare la spesa eliminando gli sprechi e le corruttele, comportano un’automatica riduzione di tutti i servizi erogabili senza alcuna scala di priorità e senza la benché minima programmazione.

Il terzo fattore è stata l’approvazione del Fiscal Compact,ovvero l’obiettivo sottoscritto in sede europea di portare entro venti anni al 60% il rapporto debito/pil che oggi è pari al 134%. Ciò significa annualmente una riduzione secca di tale rapporto del 3,3%, con un costo di oltre 50 miliardi/anno. Se a questo si aggiunge l’introduzione del Pareggio di bilancio nella Costituzione – di fatto la costituzionalizzazione della dottrina liberista – il quadro è decisamente chiaro.

L’insieme di draconiane misure nei confronti degli enti locali ha un unico scopo: metterli con le spalle al muro dal punto di vista economico per persuaderli/obbligarli ad un gigantesco percorso di espropriazione e di privatizzazione, consegnandone beni e patrimonio alle lobby bancarie e finanziarie. Un processo che avviene attraverso diversi ma convergenti percorsi. Cosa posseggono infatti gli enti locali? Territorio, patrimonio e servizi, ed è su questi che si sta giocando, e sempre più lo si farà nel prossimo periodo, la guerra contro la società.

Il Territorio è da tempo strumento di valorizzazione finanziaria, attraverso due diverse modalità. La prima è la continua cementificazione del suolo, favorita da una norma criminale che consente di utilizzare gli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente dei Comuni: in pratica, anche solo per garantire l’ordinario funzionamento dell’ente locale, gli amministratori sono invogliati a consegnare porzioni di territorio alla speculazione immobiliare, arrivando al paradosso che, mentre fino a qualche anno fa erano i costruttori a fare la questua negli uffici comunali per ottenere cambi di destinazione d’uso di terreni, oggi sono i sindaci a inseguire i costruttori per poter firmare convenzioni che consentano di mettere in cassa i relativi oneri. La seconda modalità è quella dei grandi eventi e delle grandi opere: che siano basi militari (Muos di Catania, Dal Molin di Vicenza), mega-progetti infrastrutturali (Tav, autostrada Orte-Mestre), o “eventi” (Expo di Milano, Olimpiadi di Roma), l’unico obiettivo è la consegna del territorio alla valorizzazione finanziaria e alla speculazione immobiliare.

Il Patrimonio pubblico in mano agli enti locali ha, come abbiamo visto, dimensioni enormi (421 miliardi). La sua svendita, cominciata da tempo, trova ora una sua più sistematica applicazione con il ruolo assunto nella stessa dalla Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), che si propone agli enti locali come partner per la valorizzazione degli immobili da vendere, fissandone un prezzo e impegnandosi ad acquisirli per poi immetterli nel mercato.

I Servizi pubblici locali sono da molto tempo sotto attacco e a rischio privatizzazione. Su questo terreno, come riconosce la Deutsche Bank nel citato rapporto all’inizio, la straordinaria vittoria referendaria del movimento per l’acqua nel giugno 2011 ha complicato molto i piani. Tuttavia le grandi lobby finanziarie non desistono, e oggi, con il decreto “Sblocca Italia” e la Legge di stabilità appena approvate, tornano all’attacco: lo fanno di nuovo con l’aiuto di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), attraverso l’ingresso nelle società che gestiscono i servizi con il F2i (Fondo per le infrastrutture, partecipato al 16% da Cdp) e/o il FSI (Fondo Strategico Italiano, interamente controllato da Cdp), per favorirne fusioni societarie e il rilancio in Borsa.

Come si evince da questa analisi, sotto attacco è la stessa funzione sociale degli enti locali come luoghi di prossimità degli abitanti di un territorio. Si comprende meglio, a questo punto, anche il senso profondo della progressiva riduzione degli spazi di democrazia, che vede nell’accentramento istituzionale da una parte e in una furbesca campagna contro la “casta” e relativa riduzione della rappresentanza dall’altra, il progressivo distanziamento dei luoghi della decisionalità collettiva dalla vita concreta delle persone. L’obiettivo è chiaro: se ciò che è in atto è un mastodontico processo di spoliazione delle comunità locali, diviene necessario rendere loro sempre più ardua qualsiasi forma di organizzazione e di protesta, trasformando in rassegnata solitudine quella che potrebbe altrimenti divenire lotta per la riappropriazione sociale.

Oggi sindaci e amministratori sono posti di fronte ad un bivio cruciale: devono decidere se essere gli esecutori ultimi di un processo di privatizzazione che dalla Troika discende verso i governi e scivola giù fino agli enti locali o se riconoscersi come i primi rappresentanti degli abitanti di un determinato territorio e porsi in diretto contrasto con quei processi. Ma, indipendentemente dalla consapevolezza dei propri sindaci e amministratori, le donne e gli uomini di ogni comunità locale di questo Paese devono sapere che la lotta collettiva e generalizzata contro la trappola del debito, per una nuova finanza pubblica e sociale, per la riappropriazione sociale dei beni comuni, è interamente nelle loro mani. E che da essa dipende il destino della democrazia reale.

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