Credits: NATO di Anti T. Nissinen
del Comitato NO GUERRA NO NATO GENOVA
L’Italia non è un paese sovrano non solo per motivi economici e politici, ma anche “rozzamente” militari. Può sembrare strano, ma mentre fioccano le proteste contro il “soft” power della finanza mondiale (soft si fa per dire: il potere economico può uccidere più di un bombardamento…), proteste che sono ormai cavallo di battaglia anche della destra estrema, non si parla, né tanto meno si agisce, contro un potere ben più “ruvido”, concreto e visibile: quello esercitato dagli USA che, direttamente o sotto copertura della NATO, mantengono in Italia ben 113 basi o postazioni, che godono di extraterritorialità e hanno licenza di uccidere, senza dover temere nulla, come si è visto platealmente nel caso del Cermis.
Per chi non lo ricordasse, un aereo americano partito da Aviano, infrangendo tutte le regole, passò in volo così basso da tranciare i cavi della funivia del Cermis. Questa bravata provocò la morte di una trentina di persone. I colpevoli furono giudicati negli USA da un tribunale americano che comminò loro una pena ridicola, 6 mesi di reclusione.
Questo fatto dovrebbe dimostrare, anche ai più boccaloni, quanto sia asimmetrica l’”alleanza” atlantica. Nessuno che abbia un minimo di onestà intellettuale può negare che la NATO è uno strumento dell’impero americano per combattere il multipolarismo. Con la caduta dell’Unione Sovietica, è venuta meno la ragion d’essere della NATO che era stata pensata proprio in funzione “difensiva” antisovietica e, infatti, anche secondo gli accordi che Washington aveva preso con Gorbaciov, si sarebbe dovuta sciogliere.
E invece la NATO è ancora lì, e il suo principale nemico è proprio il mondo multipolare in cui gli USA non potranno più essere la polizia del mondo. Il fatto “nuovo” (ormai vecchio di qualche decennio) è che non vi è nessuna forza rappresentata in Parlamento che si opponga a questo stato di cose. D’altra parte in Europa solo la Francia cerca di praticare una politica estera e militare indipendente dagli USA, il che non significa che sia un’alternativa al carattere imperialistico di quella politica: significa solo che le classi dominanti francesi cercano anche di giocare la propria partita, senza appiattirsi totalmente sugli interessi americani. Ma in ogni caso sono sempre i popoli a pagare il conto.
Ad Aviano e Ghedi-Torre “ospitiamo”dalle 70 alle 80 bombe atomiche (B61 che saranno presto sostituite dalle B61-12 di nuova generazione, molto più potenti) che in realtà, in base al trattato di non proliferazione firmato dall’Italia nel 1969 e ratificato il 24 Aprile 1975 con legge n°131, non devono starci e di cui si deve pretendere la rimozione. Nel caso di un conflitto esteso tra la NATO e le due principali potenze del mondo che ad oggi hanno una politica estera autonoma rispetto a Washington (Cina e Russia), l’Italia sarà sicuramente un bersaglio strategico se continuerà a mantenere le testate nucleari americane sul proprio territorio. Ad aprile di quest’anno è stato inaugurato l’HUB di guerra di Napoli, comandato da un ammiraglio USA nominato dal Pentagono, capace d’intervenire in qualsiasi momento nei teatri di guerra (vedi Libia e Siria). L’investimento è di 200 milioni di euro, tutto denaro pubblico che va ad aggiungersi ai 70 milioni che quotidianamente spendiamo per le missioni di “ pace” all’estero.
In Sicilia c’è il MUOS (sistema di comunicazione satellitare) le cui radiazioni costituiscono un permanente pericolo per la salute pubblica e danneggiano la flora e la fauna di una delle più belle riserve naturali di sugheri d’Europa. L’Italia, secondo le parole del ministro Pinotti, sta incrementando le spese anche se non è ancora in grado di portarle al 2% del PIL (come chiede Trump): nel 2016 eravamo al 1,4% del PIL, pari a circa 30 miliardi. In una situazione di disoccupazione e precariato diffusi, la guerra paradossalmente offre ai giovani un modo di guadagnare e avere un posto sicuro. In totale violazione della legge 185/90, che proibisce la vendita di armi a paesi in stato di conflitto, abbiamo già fatto affari con l’Arabia saudita per 37 miliardi di euro, vendendo bombe costruite nello stabilimento di Domusnovas in Sardegna che hanno già fatto 7000 morti, per la metà civili e 20.000 feriti e migliaia di sfollati.
Inoltre, la Holding italiana Leonardo (ex Finmeccanica) maggiore gruppo industriale hightech italiano e principale fornitore di armi del governo, accresce il suo fatturato su industrie come Oto Melara produttrice di sistemi d’arma terresti e navali, la Wass leader mondiale nella produzione di siluri, la Mbda leader mondiale nella produzione di missili, l’Alenia Aermacchi coinvolta nella produzione di aerei da guerra (come il caccia d’addestramento M-346 fornito ad Israele). Leonardo gestisce anche l’impianto di Face di Cameri (NO) scelto dal Pentagono quale polo dei caccia F 35 schierati in Europa.
Nel 2016 l’export italiano di armi è aumentato di oltre l’85% rispetto al 2015 raggiungendo i 14,6 miliardi di euro. Tra gli altri, ricordiamo la vendita di 28 cacciabombardieri al Kuwait che ha fornito all’Italia un maxi-contratto da 8 miliardi di euro. Un altro pericolo che proviene dagli USA è la realizzazione di nuove testate nucleari di piccola potenza capaci di offrire ai comandi nucleari un numero più alto di opzioni, ma che potrebbero rendere più probabile una guerra nucleare in Europa.
I soldi per andare in guerra si trovano ma quando si tratta di finanziare la ricerca e lo sviluppo dei settori non colpiti dalla crisi sembrano non essere mai abbastanza: energie rinnovabili, efficienza energetica, agricoltura sostenibile, riassetto del territorio, cultura subiscono ogni anno dei tagli di finanziamenti dai ministeri. A ciò si aggiungono i danni che le sanzioni applicate contro la Russia su dictat degli USA hanno arrecato al nostro tessuto economico. Secondo la versione ufficiale, il pretesto per tali sanzioni sarebbe che la Russia avrebbe applicato una politica espansionista allargandosi in Crimea e intervenendo in Ucraina. In realtà la Crimea è insorta spontaneamente perché non poteva accettare di essere sottoposta al governo neonazista insediatosi nella capitale grazie a un colpo di Stato orchestrato dalla CIA. Il popolo di Crimea ha così supportato un referendum per tornare in Russia, mentre in Ucraina l’esercito russo non ha ancora messo piede. Tuttavia, essendo sottoposti all’autorità della NATO (ossia degli USA) abbiamo dovuto piegare la testa. Secondo Banca Intesa l’Italia ha perso 6,1 miliardi di dollari di fatturato a causa delle sanzioni alla Russia. Bloccate le spedizioni di ortofrutta (72 milioni), le carni (61 milioni), latte formaggi e i derivati (45 milioni). Se avessimo al governo persone intelligenti, coerenti, non corrotte, si potrebbe sfruttare questa occasione per recuperare la nostra autonomia in politica estera, restituire al mittente le testate nucleari e smantellare le basi militari d’occupazione sul nostro suolo. Per i nostri ragazzi, per la pace.
E’ molto difficile legare le lotte sociali alla causa dell’autodeterminazione dei popoli. Il legame in realtà è strettissimo, ma è lontano dall’esperienza vissuta dalle persone. Si rivela solo in certe occasioni, come nel caso della base americana di Vicenza, oppure del MUOS presso Messina. E tuttavia è indispensabile conoscere e capire che lo sfruttamento economico necessita di una cornice istituzionale, giuridica e militare senza cui non sopravvivrebbe. Vogliono farci credere che il capitalismo è una formazione “naturale”, governata da leggi eterne. Niente di più falso. Il capitalismo si è affermato in società già profondamente divise tra sfruttati e sfruttatori. Non è il capitalismo ad aver creato i meccanismi del dominio di una minoranza sulla maggioranza, questi esistevano già. Li ha trasformati, affinati, perfezionati. Ma in ultima istanza lo strumento militare è quello decisivo per stabilire le gerarchie tra le classi sociali di un paese, e tra i diversi paesi del mondo.
Per l’Italia uscire dalla NATO, ed espellere le sue basi (comprese anche quelle solo USA) è parte integrante del cammino da compiere per costruire un futuro di libertà, di prosperità e di pace, per noi e per le generazioni future.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 31 di Novembre-Dicembre 2017: “Lavoro e non lavoro”