Piattaforme e rendita fondiaria. Le mani (di Airbnb) sulla città

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di Gerardo Marletto (Università di Sassari)

La crescita esponenziale di Airbnb è forse uno dei tratti più distintivi di come è cambiato il turismo negli ultimi anni. Nata nel 2007, Airbnb negli ultimi cinque anni ha più che decuplicato il suo fatturato:  da “solo” 200 milioni di dollari nel 2013, a ben 2,8 miliardi nel 2017. Certo, molto meno rispetto agli oltre 10 miliardi di fatturato che hanno registrato – sempre nel 2017 – i due grandi gruppi delle piattaforme internet turistiche: Expedia e Booking.

Tab. 1 – Le principali piattaforme internet turistiche

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Ma se uno guarda all’impatto sulla crescita della rendita urbana, Airbnb è senza dubbio il “numero uno”. Infatti il modello di business di Airbnb (e del  suo principale concorrente Homeaway) è completamente diverso da quello delle altre piattaforme turistiche. Booking, Hotels, Kayak, Carrrentals, ecc., sono fondamentalmente degli intermediari; non generano nuova rendita urbana, ma ne estraggono una parte (in larga parte sottraendola alle aziende turistiche). A parte il fatto di essere su internet, si tratta dello stesso meccanismo dei tour operator e delle agenzie di una volta.

Airbnb invece opera in modo completamente diverso: non estrae una parte della rendita urbana esistente, ma genera nuova rendita urbana. Entrando direttamente nel mercato delle residenze – più esattamente, in quello degli affitti di brevissimo periodo – fa salire i valori immobiliari, cioè i prezzi, prima degli affitti o poi delle compravendite. Con effetti che si propagano dalla singole unità immobiliari effettivamente offerte su internet, all’intero quartiere dove queste si trovano. E siccome la copertura urbana di Airbnb si estende ben oltre le zone turistiche – dove invece si concentrano alberghi  e pensioni – la crescita della rendita urbana diventa pervasiva, ben oltre le aree centrali. E così, dove arriva Airbnb diventa più conveniente affittare ai turisti piuttosto che ai residenti, i quali – per effetto della crescita dei valori immobiliari – sono espulsi da parti sempre più grandi delle città turistiche.

Arrivati a questo punto, qualcuno potrebbe obiettare che così si racconta solo la faccia negativa della “airbnbzzazione”, nascondendo quella positiva, cioè quella dei residenti che integrano i loro redditi affittando a dei turisti una stanza del loro appartamento. Del resto è proprio così che si presenta Airbnb: un pezzo di sharing economy – una piattaforma di scambio tra pari (peer-to-peer) – che consente a tutti noi di viaggiare a basso prezzo, entrando nelle case di altri come noi che, ospitandoci, trasformano il nostro viaggio in una “esperienza turistica” più genuina, più a contatto con la vita reale. Ma se (forse) era così agli albori di Airbnb, ora tutto è cambiato.

Ormai dal 50 al 90% degli annunci su Airbnb sono interi appartamenti, offerti per gran parte dell’anno e  occupati mediamente per 3-4 mesi l’anno1. Una realtà incompatibile con la “balla” che ad affittare ci sia qualcuno che in quell’appartamento ci vive, un residente, uno come noi. Altro dato – che ancora di più smentisce l’idea che dietro gli annunci di Airbnb ci siano comuni cittadini – la diffusione di operatori che gestiscono più appartamenti. A Roma questi coprono circa il 50% dell’offerta di appartamenti, a Londra il 42%. Del resto lo sa anche chi viaggia; quando va bene ci si relaziona con qualcuno che ti dà le chiavi e poi non si vede più, altrimenti neanche quello: la porta viene aperta da lontano (con uno smartphone) e le chiavi si trovano dentro, e tanti saluti alla propagandata “esperienza reale”…

Tab. 2 – Airbnb in alcune città del mondo

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 Come s’intuisce anche dalla tabella precedente, la “airbnbzzazione” delle città è un fenomeno mondiale, studiato anche a livello accademico2 . Proprio grazie a queste ricerche è ormai evidente che in tutte le realtà toccate da questo fenomeno si ritrovano alcuni tratti comuni:

1. Mercato residenziale e mercato turistico diventano vasi comunicanti;

2. Si estende l’area della turistificazione (fenomeno studiato nel dettaglio a Barcellona3  e a Sidney4 );

3. Aumentano i valori immobiliari (come dimostrato sia da una ricerca comparativa su Parigi, Amsterdam, Berlino e Bruxelles5, che da uno studio sul caso di New York City6 );

4. Si riducono le locazioni residenziali (è stato stimato che a Parigi oltre 20mila appartamenti siano spariti dal mercato degli affitti);

5. Col tempo il mercato degli affitti turistici diventa preda di investitori finanziari.

Di fronte a processi di questi portata non stupisce che nel mondo si sia andato diffondendo un movimento contro Airbnb (e altre piattaforme simili). In alcuni casi la reazione è stata addirittura istituzionale: a Barcellona, Berlino, Amsterdam, New York City, Los Angeles, Parigi, Bruxelles, sono state le municipalità ad attivarsi per mettere un freno a questi processi di trasformazione urbana. In alcune città si è discusso persino di messa al bando (Barcellona, Palma di Majorca), in altre di moratoria (Berlino).

Molto più diffusi sono gli interventi per regolamentare le modalità di affitto: divieto di affitto di interi appartamenti per meno di 30 giorni a New York City; limite al numero massimo di giorni di affitto all’anno (90 a Londra, 30 ad Amsterdam); divieto ai gestori multipli (di nuovo New York City). Il caso di Parigi è forse il più interessante: sulla base di una legge nazionale del 2014 gli affitti turistici senza licenza commerciale sono consentiti solo a chi risiede nell’appartamento affittato per almeno 4 mesi l’anno; ai non residenti è invece vietato affittare per meno di un anno senza licenza.

A dimostrazione definitiva che di fronte non abbiamo una moltitudine di piccoli proprietari di case, ma una delle imprese  che dominano il mercato globale del turismo globale, la reazione non si è fatta attendere. Nelle singole città, Airbnb si oppone all’accesso delle amministrazioni comunali ai propri dati, strumento essenziale per rendere effettiva la regolazione degli affitti turistici (e la sanzione delle infrazioni). A livello europeo, come dimostra un recente rapporto di Corporate Europe 7, Airbnb ha avviato una fortissima pressione affinché tutte queste nuove norme locali siano dichiarate illegittime. In particolare, Airbnb invoca l’applicazione a proprio vantaggio delle direttive in tre distinti ambiti: e-commerce, servizi e protezione dei dati. E un successo Airbnb l’ha già ottenuto: alla fine di aprile l’avvocato generale della Corte di Giustizia assegnato al caso sollevato da un tribunale francese – in attesa di una decisione definitiva che dovrebbe arrivare entro la fine dell’anno – ha già evidenziato che Airbnb non è un operatore immobiliare, ma un erogatore di servizi digitali e in quanto tale non dovrebbe essere sottoposto a norme nazionali e regolamenti comunali che riguardano il mercato degli affitti8.

Note: 

[1] Tutti i dati sugli annunci di Airbnb sono tratti da insideairbnb.com 

[2] Si possono vedere, ad esempio: Lee D. (2016). How Airbnb Short-Term Rentals Exacerbate Los Angeles’s Affordable Housing Crisis: Analysis and Policy Recommendations e Stabrowsky F. (2017). ‘People as businesses’: Airbnb and urban micro-entrepreneurialism in New York City 

[3] Gutiérrez J. et al. (2017). The eruption of Airbnb in tourist cities: Comparing spatial patterns of hotels and peer-to-peer accommodation in Barcelona 

[4] Gurran N. e Phibbs P. (2017). When Tourists Move In: How Should Urban Planners Respond to Airbnb? 

[5] Dredge D. et al. (2016). The impact of regulatory approaches targeting collaborative economy in the tourism accommodation sector: Barcelona, Berlin, Amsterdam and Paris 

[6] Sheppard (2016). Do Airbnb properties affect house prices? 

[7] Corporate Europe (2018). UnFairbnb: How online rental platforms use the EU to defeat cities’ affordable housing measures   

[8] Reuters (30 aprile 2019). Airbnb should be free to operate across Europe: EU court adviser

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 40 di Maggio – Giugno 2019. “Una città per tutti

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