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di: Marco Bersani
Per destrutturare l’economia del debito, occorre affrontare l’architettura monetarista dell’Unione Europea, a partire da uno spartiacque fondamentale: il Trattato di Maastricht1 approvato nel 1992. Perché se è vero che l’Europa Unita è stata da sempre pensata come un progetto neoliberale, è altrettanto vero che, con il Trattato di Maastricht, ogni possibile dialettica tra dottrina liberista e politiche redistributive di tipo keynesiano è stata definitivamente accantonata, per imporre un’integrazione continentale basata unicamente su una “economia di mercato aperta e in libera concorrenza”.
Con Maastricht, sull’onda della caduta del Muro di Berlino, avvenuta solo due anni prima, e nel pieno dispiegarsi della dottrina liberista sulla“fine della storia”, si avvia il processo per la costruzione dell’Unione economica e monetaria europea, basata su Stati che devono avere come unico obiettivo “condizioni finanziarie e di bilancio sane ed equilibrate”.
Si porta così a compimento il tragitto iniziato con il Libro Bianco sul mercato interno (Commissione Delors 1985)2 e proseguito con l’Atto Unico europeo del 19863, con i quali si dette l’impulso decisivo all’integrazione dei mercati finanziari.
Il Trattato di Maastricht fissa vincoli monetaristi ai quali tutte le economie nazionali devono conformarsi: a) divieto di disavanzi pubblici superiori al 3% del Pil; b) divieto di un debito pubblico superiore al 60% del Pil; c) programma di stabilità.
A questi limiti, Maastricht ha aggiunto il divieto per i Paesi membri di ricorrere all’assistenza finanziaria dell’Unione, di altri Paesi membri o delle Banche centrali, obbligando gli Stati a rivolgersi ai mercati per il proprio fabbisogno di finanziamento, consegnandogli di fatto la propria autonomia politica.
Questo ha comportato per gli Stati fortemente indebitati la necessità di remunerare il rischio sopportato dai creditori, concedendo interessi talmente elevati da alimentare la spirale del debito e da impedire, paradossalmente, il rispetto degli stessi parametri di Maastricht.
Solo a questo punto possono essere attivate le procedure di assistenza finanziaria, le quali, tuttavia, più che soccorrere chi le ha richieste, servono a salvaguardare la stabilità della zona Euro nel suo insieme e sono soggette a rigorose condizionalità, le riforme strutturali richieste dalla “Troika” (come avvenuto in Grecia, Cipro, Irlanda, Portogallo, Spagna e Ungheria).
Dall’approvazione del Trattato di Maastricht, tutti i passaggi successivi dell’architettura dell’Unione Europea sono serviti a consolidare questo impianto e a rendere sempre più stringenti i vincoli monetaristi sulle scelte di politica economica e di politica sociale degli Stati nazionali: dal Patto di Stabilità e Crescita (PSC), conosciuto anche come Trattato di Amsterdam e sottoscritto nel 1997, attraverso il quale si stabilì una disciplina ancor più severa sia per i disavanzi di bilancio, sia per le procedure applicative e le sanzioni4; al Six Pack, approvato nel settembre 2011, comprendente un pacchetto di cinque regolamenti ed una direttiva volti ad integrare e modificare l’originario PSC5; al Fiscal Compact, sottoscritto nel marzo 2012, che, nel ribadire la disciplina del PSC, come modificata e integrata dal Six Pack, la radicalizza, aggiungendovi il carico da novanta dell’obbligo per gli Stati contraenti di inserire la “regola aurea” del pareggio di bilancio nel proprio diritto interno, “preferibilmente a livello costituzionale”6 (come l’Italia ha prontamente fatto)7.
Il cuore del Fiscal Compact –art. 3 – impone che il deficit strutturale annuale delle amministrazioni pubbliche debba essere inferiore allo 0,5% del Pil, e che tutti i paesi debbano garantire una convergenza rapida verso questo obiettivo, i cui tempi sono definiti dalla Commissione Europea, senza possibilità, se non in circostanze eccezionali, di discostarsi dagli stessi.
Un articolo ideologico senza alcuna giustificazione economica. Infatti, come con grande efficacia hanno argomentato in “Cosa salverà l’Europa. Critiche e proposte per un’economia diversa” a cura di B. Coriat, T. Coutrot, D. Lang e H. Sterdyniak (autori del Manifesto degli economisti sgomenti) : “ (..) il livello del deficit pubblico dovrebbe essere considerato come legittimo non in base a una regola quantitativa immutabile fissata in anticipo, ma perché permette di raggiungere un livello di domanda soddisfacente determinando un livello di produzione che non causi disoccupazione di massa, né un aumento dell’inflazione. Non vi è alcuna garanzia che il saldo di bilancio desiderato garantisca l’equilibrio. (,,) Inserire il pareggio di bilancio nella Costituzione equivale a prescrivere per gli uomini calzature numero 42 e per le donne 40”.
Il Fiscal Compact rafforza inoltre la regola per cui il debito di ogni paese deve rimanere o ritornare al di sotto del 60% del Pil. Un paese, il cui rapporto debito/Pil superi il limite previsto, dovrà obbligatoriamente ridurre tale rapporto di almeno un ventesimo della differenza ogni anno.
Per un Paese come l’Italia, che viaggia con un rapporto debito/Pil abbondantemente sopra il doppio del 60%, significa una riduzione della spesa pubblica pari ad oltre 50 miliardi di euro l’anno per i prossimi venti anni.
Oggi, di fronte agli effetti delle politiche liberiste rese ineluttabili dall’architettura monetarista dell’Ue, avanzano in tutto il continente spinte “populiste” in chiave nazionalista, spesso con radici fasciste e razziste, mentre per contrastare queste ultime le correnti politiche del liberalismo e della socialdemocrazia rinserrano le proprie fila in difesa dell’establishment.
Dal punto di vista dei movimenti sociali, la lotta radicale contro le oligarchie economico-finanziarie che governano l’Unione Europea non può mai far perdere di vista l’obiettivo di un nuovo spazio pubblico europeo, come dimensione necessaria, dentro i processi di globalizzazione, per garantire diritti, beni comuni e democrazia. Ma proprio per questo, un nuovo spazio pubblico europeo può essere costruito solo a patto di rivoltare alle radici l’attuale Unione Europea.
Stracciare Maastricht -e l’architettura monetarista da allora messa in campo- diventa condizione necessaria perché si riapra un processo costituente che, dal basso e attraverso la democrazia partecipativa, definisca valori, diritti e orizzonte di una nuova dimensione continentale.“Se invece la costruzione europea –come scrive Alessandro Somma– non riuscirà a liberarsi di Maastricht, allora non resterà che liberarci della costruzione europea. Altrimenti imploderà rovinosamente, riportandoci alla fase più buia del Secolo breve”8.
Perché 25 anni di deriva liberista sono più che sufficienti.
1 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A11992M%2FTXT
2 Il completamento del mercato interno: Libro bianco della Commissione per il Consiglio europeo (Milano 28-29 giugno 1985) Com/85/310/def.
3 L’Atto unico europeo (AUE), firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 da nove Stati membri e il 28 febbraio 1986 dalla Danimarca, dall’Italia e dalla Grecia, costituisce la prima modifica sostanziale del trattato che istituisce la Comunità economica europea (CEE).
4 Con il PSC, il deficit annuale consentito scese all’1% del Pil, precisando che i bilanci nazionali dovevano tendere al pareggio o ad un surplus, in modo che la soglia del 3% potesse essere rispettata anche nelle fasi negative del ciclo.
5 Le novità riguardano essenzialmente gli Stati euro: si rafforza la parte di sorveglianza preventiva con l’applicazione di sanzioni -deposito fruttifero – nel caso di squilibri macro-economici significativi o deviazioni rilevanti dall’obiettivo di medio termine; si estende la procedura per i disavanzi eccessivi (e relative sanzioni: deposito infruttifero, ammende) anche al debito, mentre prima si applicava solo al deficit; si stabilisce che il debito, se eccessivo, deve ridursi annualmente ad un ritmo pari a 1/20 della differenza tra il livello corrente e la soglia del 60%; viene introdotta la regola del “reverse majority voting”, per cui le proposte della Commissione si intendono adottate se non sono respinte a maggioranza dal Consiglio.
6 Il Fiscal Compact prevede anche un meccanismo “automatico”, in base al quale se la Commissione stabilisce che un paese ha raggiunto, ad esempio, un “deficit strutturale” pari a tre punti percentuali del Pil, questo dovrà mantenere un “deficit strutturale” limitato al 2% l’anno successivo, amputando in tal modo la domanda – taglio delle spese e aumento delle imposte- di un punto del Pil, indipendentemente dalla situazione sociale che attraversa. Infine, nel caso un paese superi i limiti prescritti, viene sottoposto ad una Procedura per deficit eccessivo (Pde), ovvero deve presentare un Programma di riforme strutturali alla Commissione e al Consiglio, i quali dovranno approvarlo e monitorarne l’attuazione
7 Art.1, commi 707-729, Legge di stabilità 2006, in applicazione della Legge n. 243/2012
8 Alessandro Somma, Rottamare Maastricht, Derive Approdi, Roma, 2016
Estratto dal libro “Dacci oggi il nostro debito quotidiano” di Marco Bersani (DeriveApprodi 2017)