di Stefano Catone (*)
«Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana» recita il decimo articolo della Costituzione italiana «ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Ragionare di migrazioni ambientali a partire dalla nostra Costituzione può apparire, a tutti gli effetti, piuttosto bizzarro. Eppure riflettere su noi stessi e sulla nostra storia può aiutarci ad approcciare la questione da un punto di vista differente e – speriamo – capace di rivelare aspetti alle volte trascurati. Nel dibattito odierno, infatti, siamo abituati a parlare di migranti, rifugiati e profughi utilizzando la terza persona plurale: «loro», contrapposti a «noi». Ai tempi della Assemblea Costituente non era affatto così. Nei dibattiti in Aula che vertevano sul diritto d’asilo non di rado si parlava di rifugiati e profughi utilizzando la prima personale plurale. Eravamo «noi» a essere migranti, a essere profughi.
Ha scritto Sergio Bontempelli che «la Carta fondamentale della Francia, approvata il 27 ottobre 1946, dichiarava […] che “ogni uomo perseguitato in ragione della propria azione in favore della libertà ha diritto d’asilo sui territori della Repubblica”, mentre l’articolo 16 della Costituzione tedesca del 1949 stabiliva che “i perseguitati politici godono del diritto di asilo”». La differenza è evidente. Se per Francia e Germania l’asilo coincideva con la protezione dei perseguitati, l’Italia, col suo articolo dieci, col suo «noi», «si impegnava ad ospitare e a tutelare non solo le vittime di persecuzione, ma chiunque non potesse godere dei diritti di uno Stato democratico. L’origine di questa differenza sta proprio nella concezione dei diritti fondamentali fatta propria dai Costituenti. Quelle garanzie che la Carta enunciava nei suoi primi articoli non andavano intese come prerogative del cittadino, ma come libertà fondamentali di ogni essere umano: e proprio per questo, dovevano essere estese anche agli stranieri che non ne beneficiavano nei rispettivi paesi di origine. Con l’asilo, in altre parole, si sanciva l’universalità dei diritti fondamentali, la loro estensione oltre i confini angusti dello Stato nazionale».
In un passaggio molto significativo del dibattito avvenuto durante i lavori della Costituente, gli onorevoli Tonello e Ravagnan riflettevano sull’opportunità o meno di accogliere persone che si fossero dichiarate perseguitati politici ma che in realtà avrebbero potuto essere delinquenti o addirittura autori e responsabili di persecuzioni. Alla fine la Costituente decise di non condizionare il diritto d’asilo: criminali o meno, l’avrebbe deciso il codice penale. In sostanza, non abbiamo messo condizioni e abbiamo scritto un articolo di vedute tanto vaste, che esporta i diritti fondamentali ovunque, perché i rifugiati eravamo «noi».
Non è passato molto tempo, se ci pensiamo. Gli onorevoli Tonello e Ravagnan erano i nostri nonni, eppure oggi ci siamo talmente abituati alla pace – e ci siamo abituati bene – che la guerra, alle nostre latitudini, non sembra poter essere un’ipotesi. Eppure non tutto il mondo è paese. Nel 2018 sono state censite, a livello globale, 70,8 milioni di persone in fuga. È un dato costantemente in crescita (+2 milioni rispetto al 2017, il doppio rispetto a venti anni fa) del quale è necessario sottolineare almeno tre elementi.
Il primo elemento è che la grande parte di persone costrette a vivere lontane dalle proprie case sono persone che subiscono questa condizione da anni. Sono situazioni di crisi oramai strutturale, che non si riesce a risolvere. I due terzi di loro provengono da soli cinque paesi: Siria, Afghanistan, Sud Sudan, Myanmar e Somalia.
In secondo luogo, la larghissima parte di queste persone si rifugia in altre regioni del proprio paese, oppure valica un solo confine nazionale, trovando accoglienza in paesi della stessa regione.
Da ultimo è necessario sottolineare che oltre 40 milioni dei 70,8 citati in precedenza sono sfollati interni. Nella mesta classifica degli sfollati interni, c’è un dato particolarmente “curioso”. 1,7 milioni di questi sono cittadini americani (degli Stati Uniti!) costretti ad allontanarsi dalle proprie case a causa di eventi ambientali estremi. Il dato si mantiene stabilmente oltre il milione dal 2016. Non era mai stato così alto e non può che interrogare anche «noi “occidentali”».
Gli Stati Uniti sono il quarto paese al mondo per sfollati a causa di eventi naturali e non sono nuovi a crisi di questo tipo: negli anni ’30 furono centinaia di migliaia le persone costrette a fuggire dagli stati centrali a causa delle tempeste di sabbia.
Quel che cambia, rispetto agli anni ’30, sono le prospettive climatiche globali. Le previsioni della Banca Mondiale stimano che entro il 2050 saranno almeno 143 milioni le persone costrette a spostarsi all’interno del proprio paese per ragioni legate all’emergenza climatica cambiamento climatico. Di questi 143 milioni, oltre la metà – 86 milioni almeno – risiederanno in Africa Sub-sahariana, area che soffre ormai da decenni fenomeni quali siccità e carestie ricorrenti, desertificazione e degrado del suolo, scarsità di acqua e piogge insufficienti. L’acqua sta diventando una risorsa pericolosamente rara in tutto il mondo, alimentando una vera e propria corsa per assicurarsi rifornimenti stabili. «Secondo una cronologia curata dal Pacific institute, specializzato nell’analisi dell’approvvigionamento idrico, al livello globale il numero di conflitti legati alla carenza d’acqua è passato da 16 negli anni novanta a circa 73 negli ultimi cinque anni», ha scritto Internazionale.
Come accennato in precedenza, tutto ciò non può che interrogare anche «noi». «Dal punto di vista delle precipitazioni – ha dichiarato nel 2018 il meteorologo e climatologo Luca Mercalli -, il trimestre estivo è stato caratterizzato da forte siccità. Ricordiamoci che quella appena passata è la seconda estate più calda mai registrata in Italia. […] Il paragone con il Pakistan viene da uno studio di Paola Mercogliano, una ricercatrice del Cmcc, il Centro euro-mediterraneo per i cambiamenti climatici, in cui si prevede nei prossimi decenni un aumento di 7-8 gradi delle medie trimestrali nel bacino padano». Nel marzo scorso, invece, la siccità che ha colpito la pianura padana ha creato gravi danni all’agricoltura, dalle coltivazioni di riso del vercellese alla filiera del Parmigiano. L’estate del 2019, invece, la ricorderemo per le temperature record raggiunte in alta montagna, mentre a valle, di conseguenza, sono sempre più a rischio le riserve idriche.
Le misure messe in campo tanto a livello nazionale che internazionale, sia per contrastare l’emergenza climatica che per offrire un quadro di riferimento normativo per la tutela dei rifugiati climatici, sono ancora del tutto insufficienti. C’è chi nega l’emergenza climatica, c’è chi la cataloga come un semplice “cambiamento” (mentre quando parla di migrazioni utilizza termini quali “emergenza”, “crisi”, “ondata”), c’è chi ci scherza su («e il povero eschimese si ritrova senza igloo?», ironizza Il Giornale).
Ma siamo sicuri che non saremo noi i prossimi rifugiati esattamente come gli onorevoli Tonello e Ravagnan? Potrebbe essere l’occasione per parlare in maniera compiuta di migrazioni dovute a ragioni ambientali e climatiche.
*Stefano Catone, studioso di migrazioni, appassionato camminatore e autore di diversi testi in materia.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 42 di Novembre – Dicembre 2019. “Il Sol dell’avvenire e l’avvenire del Sole“