di Gustavo Esteva*
Entro in punta di piedi in questo libro, con la sensazione di usurpare uno spazio che non mi spetta. Anche qui dovrebbe esserci una donna! Ringrazio Laura Fano Morrissey per avermi offerto la possibilità di questa intrusione, che ho accettato perché la materia di cui tratta non è solo un affare di donne. In realtà, non vedo niente di più importante nel mondo di oggi, sia per le donne che per gli uomini, che occuparsi a fondo, senza riserve, di una questione che non si può etichettare semplicemente come ‘studi di genere’.
Cresce ogni giorno, per fortuna, il numero di persone convinte, come noi, che la più profonda delle crisi che stiamo attraversando, quella che definisce e segna tutte le altre, è la crisi del regime patriarcale degli ultimi cinque mila anni. La forma atroce che ha ormai assunto il capitalismo nella sua agonia ha un carattere fortemente patriarcale e i suoi rantoli sono anche quelli del patriarcato. Entrambi hanno raggiunto il proprio limite.
Sebbene la forma capitalistica di produzione sia ancora dominante e stia generando un’accumulazione senza precedenti, è sempre più evidente il suo esaurimento: perdendo le relazioni sociali sulle quali aveva investito, perde la sua capacità di riproduzione e ricorre sempre più a forme di esproprio antichissime che lo consumano sempre di più. Ciò che in America Latina si chiamaestrattivismo minerario, insieme al nuovo latifondismo urbano e al saccheggio finanziario, porta ad un esproprio di proporzioni mai viste e amplia il suo impatto distruttivo sulla natura e la cultura, fino al punto in cui la specie umana e la stessa vita sul pianeta sono messe a rischio. Come sempre, la violenza e l’oppressione che si intensificano in ogni dove colpiscono maggiormente le donne. Per questo, forse, e per il solo fatto di essere donne, assumono ancora una volta il compito che hanno svolto già in altre occasioni, quella di prendere nelle proprie mani laleadership del cambiamento per fermare il processo di distruzione che noi uomini abbiamo messo in moto e che, non solo mette a rischio le persone, le famiglie, le tribù, il gruppo o la nazione, come in passato, ma l’intera civilizzazione. Però ho usato male il termine. Non si tratta veramente di leadership, una parola che ha un carattere fortemente maschile. Ciò che in alcuni casi abbiamo cominciato a chiamare la femminilizzazione della politica è un processo nel quale le donne guidano la trasformazione in modo molto diverso dagli uomini e riempiono il coordinamento e la guida, quando riescono ad ottenerlo, di un significato completamente diverso.
Sono state soprattutto queste a portare gli zapatisti e le zapatiste verso i sette principi che sono imprescindibili per tutti coloro che occupano una posizione di autorità: servire e non servirsene, rappresentare e non sostituire, costruire e non distruggere, obbedire e non comandare, proporre e non imporre, convincere e non vincere, scendere e non salire. Ho l’impressione che tutti questi punti abbiano un’impronta femminile, più che maschile, e che in ogni caso gli zapatisti e le zapatiste che hanno formulato tali principi li hanno concepiti in chiaro contrasto con le forme di governo a cui siamo abituati, tipicamente maschili, dove i governanti si servono, si sostituiscono, distruggono, comandano, impongono, vincono e salgono…
Si tratta di un libro scritto con voce di donna, che proietta uno sguardo intimo, dal profondo, che ci consente di sentipensar1 nella forma più opportuna ciò che sta accadendo in America Latina. È molto visibile nel mondo il carattere ‘progressista’ di alcuni governi della regione, che cercano di imprimerle un nuovo corso al di fuori dell’orbita degli Stati Uniti. Al contrario, difficilmente si percepisce la reinvenzione dal basso, quella che la gente comune mette in atto nel momento in cui riprende il controllo della propria vita e scopre che il modo migliore per resistere è quello di costruire una nuova società. Il sollevamento di coloro che stanno in basso è sempre più evidente… tuttavia, tende a rimanere invisibile.
In questo processo di cambiamento profondo, che tenta di riorganizzare la società a partire dalla base, le donne hanno acquisito un ruolo sempre più importante, che raramente viene riconosciuto.
Lo rivelano con molta chiarezza le voci delle donne che qui ha raccolto Laura Fano Morrissey.
Perfino nel caso delle immigrate in Italia, chiaramente atipiche e più o meno lontane dai processi di cambiamento, è possibile ritrovare tra le righe, nei loro racconti, le condizioni di oppressione della donna che tutte hanno sofferto nei loro paesi di origine e gli impulsi emancipatori che le guidano.
Si osservano in queste voci le tensioni e le contraddizioni che appaiono in America Latina tra il sistema dominante e le idee indigene di diritto e giustizia, che non fanno ricorso a norme astratte, strutture legali, prigioni o forza di polizia, così come esprimono le tensioni e le contraddizioni tra alcuni femminismi urbani e le lotte che sono guidate dalle donne indigene.
Si tratta di un libro scritto con voce di donna, che proietta uno sguardo intimo, dal profondo, che ci consente di sentipensar1 nella forma più opportuna ciò che sta accadendo in America Latina. È molto visibile nel mondo il carattere ‘progressista’ di alcuni governi della regione, che cercano di imprimerle un nuovo corso al di fuori dell’orbita degli Stati Uniti. Al contrario, difficilmente si percepisce la reinvenzione dal basso, quella che la gente comune mette in atto nel momento in cui riprende il controllo della propria vita e scopre che il modo migliore per resistere è quello di costruire una nuova società. Il sollevamento di coloro che stanno in basso è sempre più evidente… tuttavia, tende a rimanere invisibile.
In questo processo di cambiamento profondo, che tenta di riorganizzare la società a partire dalla base, le donne hanno acquisito un ruolo sempre più importante, che raramente viene riconosciuto. Lo rivelano con molta chiarezza le voci delle donne che qui ha raccolto Laura Fano Morrissey. Perfino nel caso delleimmigrate in Italia, chiaramente atipiche e più o meno lontane dai processi di cambiamento, è possibile ritrovare tra le righe, nei loro racconti, le condizioni di oppressione della donna che tutte hanno sofferto nei loro paesi di origine e gliimpulsi emancipatori che le guidano. Si osservano in queste voci le tensioni e le contraddizioni che appaiono in America Latina tra il sistema dominante e le idee indigene di diritto e giustizia, che non fanno ricorso a norme astratte, strutture legali, prigioni o forza di polizia, così come esprimono le tensioni e le contraddizioni tra alcuni femminismi urbani e le lotte che sono guidate dalledonne indigene.
Julieta Paredes, femminista indigena boliviana citata da Laura Fano Morrissey, ha affermato che, come la classe sociale caratterizza il regime dominante ed è al tempo stesso denuncia dell’oppressione di una classe su un’altra, la nozione di genere ci permette di analizzare un aspetto fondamentale della struttura sociale ed è contemporaneamente denuncia dell’oppressione della donna. Secondo questo approccio, la società che deve sostituire quella attuale non avrà né classi né generi, perché non sarà basata sullo sfruttamento e l’oppressione reciproci. L’abbandono del genere, così come del sesso economico, ci impone di recuperare un’arte del vivere contemporaneo, che è già possibile scorgere tra le zapatiste e gli zapatisti, come si intravede in questo libro.
Il lavoro di Claudia von Werlhof, Maria Mies e Veronika Bennholdt-Thomsen ci ha permesso da tempo di riconoscere che lo sfruttamento capitalista della donna, tramite il lavoro domestico, è stato un buco nero dell’economia politica, incapace di vedere la femminilizzazione del lavoro come il vero modello dello sfruttamento capitalista.
Di tale miopia soffre oggi la scienza politica, che oppone resistenza a riconoscere la femminilizzazione della politica come risposta al disastro attuale.
Libri come questo che il lettore ha tra le sue mani, possono contribuire a strappare questo velo che occulta.
In un libro di tale indole era impossibile sottomettere a un’analisi rigorosa e dettagliata la storia, la situazione e le prospettive dei paesi di origine delle donne che qui parlano e della regione nel suo insieme.
Però il lettore, in questa dimensione, potrà trovare informazioni utili e scoperte interessanti. Questa analisi è prima di tutto una cornice adatta all’ascolto. Proprio ciò di cui si parla qui.
Dalla postfazione di Gustavo Esteva al libro “Invisibili? Donne Latinoamericane contro il neoliberismo” (Ediesse), di Laura Fano Morrissey.
* Gustavo Esteva vive a Oaxaca, in Messico. I suoi libri vengono pubblicati in diversi paesi del mondo. In Italia, sono stati tradotti: «Elogio dello zapatismo», Karma edizioni: «La Comune di Oaxaca», Carta; e, proprio in questi mesi, per l’editore Asterios gli ultimi tre: «Antistasis. L’insurrezione in corso»; «Torniamo alla Tavola» e «Senza Insegnanti». In Messico Esteva scrive regolarmente per il quotidiano La Jornada ma i suoi saggi vengono pubblicati anche in molti altri paesi. In Italia collabora con Comune-info. Tutti gli altri articoli di Gustavo Esteva usciti su Comune-info sono qui
*Laura Fano Morrissey è antropologa sociale specializzata in America Latina con un Master presso l’Institute of Latin American Studies dell’Università di Londra. Ha lavorato nel settore della cooperazione internazionale per 15 anni, in Inghilterra, Italia e America Latina.
Per gentile concessione degli amiconi di Comune-info.net, con licenza Creative Commons
Tratto dal Granello di Sabbia di Novembre – Dicembre 2014: “Riconversione ecologica”, scaricabile QUI