di Roberto Spini
Di ritorno da Parigi, dove si è tenuta dal 19 al 23 agosto l’Università estiva dei movimenti sociali organizzata dalla rete degli Attac di Europa, tante sensazioni restano addosso. Intanto l’impressione di essere stati testimoni di una grande occasione di incontro: oltre duemila partecipanti registrati dall’organizzazione, arrivati da 44 paesi. Partecipanti in modo attivo, non solo spettatori, nella natura dell’università estiva di Attac, dove non si ascolta ma anche imparare ad ascoltare gli altri fa bene, come sostiene il comandante ex Marcos ora Galeano).
L’università estiva è stata ospitata nelle strutture dell’Université Paris VII – Diderot Les Grands Moulins.
Ascoltare gli attivisti francesi di Attac è stato importante per rinnovare le lotte e le resistenze, per aprire degli “altri possibili”. In effetti vista la partecipazione massiccia, questo incontro è stato un vero successo, che dimostra come sia ancora viva la dinamica di quello che in altri tempi avremmo definito il movimento altermondialista. Nel programma di questi cinque giorni di incontri, c’erano nove grandi forum – dibattiti, 150 seminari e workshop, una trentina di attività esterne e di serate culturali.
Questa L’Università estiva è stata l’occasione di scambi e dibattiti intorno a diversi temi di attualità: molto sentite dai locali le mobilitazioni contro il progetto di accordo transatlantico (TTIP, che i francesi in modo più vellutato chiamato Tafta, le politiche di austerità nell’Unione europea, le lotte e le alternative di fronte al cambiamento climatico. Ma anche i conflitti in Ucraina, Palestina, Iraq e Africa, le dinamiche dei nuovi movimenti in Europa e nel mondo. Personalmente ho cercato di contribuire a due attività, orientate alla città e al territorio: un seminario sulle forme di democrazia, in cui si è spaziato dall’Europa ai municipi (e ho fatto cenno all’esperienza delle liste di cittadinanza); un workshop sul ruolo delle banche pubbliche di investimento nel governo dei beni comuni, in cui ha trovato spazio il racconto di quella che è, e di quella che potrebbe essere, la funzione della Cassa Depositi e Prestiti.
L’Università estiva si è chiusacon una sessione che ha unito resistenti di ieri e di oggi, con la partecipazione di partigiani francesi, femministe, autonomi tedeschi del Blockupy Francoforte, movimenti di base americani.
Durante una pausa, girovagando nei dintorni, mi imbatto nella sede di Eau de Paris. Che scemo! Mi trovo nella città che è il simbolo europeo dei movimenti che si battono contro la privatizzazione dell’acqua (e di cui abbiamo anche molto abusato nella campagna referendaria di quattro anni fa) e non ci avevo minimamente pensato. Per chi non se lo ricorda: dal primo gennaio 2010 il servizio di distribuzione e depurazione delle acque di Parigi è stato ripubblicizzato, grazie a particolari condizioni favorevoli, inserite in un processo politico di lungo corso: fra il 2009 e il 2011, infatti, arrivavano a scadenza i contratti di concessione dei tre operatori privati (nelle mani di Suez e Veolia).
Da un documento raccolto in un seminario della rete europea dei movimenti per l’acqua cerco di capire che sviluppi ha preso questa importante esperienza. Riduzione delle tariffe, reinvestimento degli utili nel servizio, forme di controllo democratico: questi sono i principali risultati della ripubblicizzazione del servizio idrico sbandierati dal Comune di Parigi, che dovrebbe essere seguito dal ritorno annunciato alla gestione pubblica di altre città anche di colore politico diverso. Mentre la diminuzione delle bollette e l’investimento degli utili sembrano effetti naturali di una gestione pubblica, stimola di più capire l’esperienza di controllo democratico. Questo si riassume fondamentalmente nell’Observatoire Parisien de l’Eau, un’istituzione composta da attori diversi e interamente dedicata all’acqua che permette a ogni cittadino di informarsi e contribuire al dibattito. Accompagna il Comune nella riflessione e nella messa in opera delle politiche in materia di acqua e organizza incontri plenari aperti a tutti; ha natura di consulta nella futura rete parigina di acqua non potabile, sul prezzo e sulla tariffazione dell’acqua; viene informato di tutte le delibere importanti sulle quali esprime un parere prima del loro passaggio davanti all’assemblea della società; riceve i rapporti annuali sul prezzo e sulla qualità dei servizi. Resta però difficile mobilitare un gran numero di parigini intorno a un tema che non è considerato come problematico e il cui aspetto tecnico può allontanare molti quelli che temono di non essere abbastanza competenti. La conseguenza è che la partecipazione è ancora centrata più su organizzazioni di consumatori e ambientaliste che su meccanismi di inclusione dei cittadini. Un coinvolgimento avviene invece con i lavoratori, che esprimono due consiglieri di amministrazione.
Tra le righe emerge che, per le penali che il Comune ha dovuto pagare alle società private della precedente gestione dell’acqua, è intervenuto un finanziamento dell’equivalente francese della Cassa Depositi e Prestiti, svolgendo quella funzione pubblica che rivendichiamo in Italia.
L’esempio di Parigi resta comunque un passo avanti nella rottura degli schemi obbligati della privatizzazione dei servizi pubblici. Ha sicuramente ancora dei limiti ma paradossalmente nel paese dove 27 milioni di persone hanno votato per l’acqua pubblica resta ancora fantascienza.
L’Università europea finisce su un battello nella Senna ancorato a riva, dove viene organizzata una festa notturna in onore alla resistenza, questa volta quella alle basse temperature. Alla fine, si torna soddisfatti a casa. Questi eventi sono formidabili occasioni di incontro. Perché, nella digitale, del ritrovo fisico si sente ancora bisogno. Infatti a un certo punto mi rendo conto di avere intorno solo scandinavi.
Tratto dal Granello di Sabbia di Ottobre 2014: “La Buona ScuolAzienda”, scaricabile QUI