Il “governo del cambiamento” mette fuori gioco le politiche realmente innovative capaci di cambiare il futuro.
di Pino Cosentino
Mentre scrivo si discute del DEF con il deficit al 2,4% per tre anni. È un DEF “del popolo”. Nulla di strano, visto che il governo è presieduto dall’avvocato “del popolo” Giuseppe Conte. Il deficit servirà a finanziare i provvedimenti promessi in campagna elettorale e, a quanto si dice, spasmodicamente attesi dagli elettori. “Per la prima volta il deficit servirà a migliorare le condizioni del popolo, non a salvare banche” (Di Maio).
Fatto sta che il popolo continua a essere presente nel dibattito pubblico come oggetto della politica. C’è un solo momento in cui compaia come attore: il momento del voto. Fatta la scelta, il popolo, sovrano per un giorno, rientra come spettatore nel buio della platea e della galleria, mentre il palcoscenico si viene affollando da chi d’ora in avanti animerà e dirigerà la vita pubblica ed eserciterà i poteri dello Stato.
La formazione del governo gialloverde sembra aver tacitato ogni voce critica nei confronti del nostro sistema politico. Il voto popolare sembra oggi unanimemente accettato come indiscutibile fondamento della piena legittimità del governo rappresentativo. Il dibattito verte interamente sui contenuti, è scontato che i due partiti di maggioranza (votati dal popolo, come non si stancano di far notare i Salvini e i Di Maio) abbiano tutto il diritto di decidere, e il Parlamento di ratificare, senza mettere in atto nessuna forma di consultazione popolare…Il cd. “Decreto Genova” è stato elaborato, discusso tra i due partiti, approvato e fatto entrare in vigore senza nessun confronto né con gli sfollati, né con la popolazione genovese in generale, e finanche in contrasto con le autorità locali (Toti e Bucci, rispettivamente Presidente Regione Liguria e Sindaco di Genova).
Analogamente non si sentono messi in discussione né sviluppo, né Pil come sua misura adeguata.Qualunque accenno al modello di sviluppo e alla sua qualità, quand’anche si manifesti, viene accantonato come irrilevante e di scarso interesse, tanto è divenuta pervasiva e dominante l’ossessione feticistica delle cifre. Non è neppure necessario l’intervento di caporedattori o di solerti e abili conduttori, perché si percepisce chiaramente che questi argomenti non sono più a tema, e a nessuno piace apparire un attardato.
Eppure questo governo era partito con una grande novità, addirittura un primato mondiale: “Avere il primo ministro al mondo della Democrazia Diretta è un grandissimo successo non solo per il Movimento 5 Stelle ma per l’Italia”, parola di Davide Casaleggio. Dal ministero guidato da Riccardo Fraccaro (che comprende anche i Rapporti con il Parlamento) non è giunto per il momento nessuna iniziativa, nessun impulso a coinvolgere i cittadini nei processi legislativi, né tantomeno nelle decisioni di natura esecutiva.
Cecina, Universià di Attac, 15 settembre 2018: ricco e interessante il dibattito sulla democrazia. Gianelli e Risso hanno discusso del rapporto tra politica (e democrazia) e mercato, tenendo come punto di riferimento la Costituzione. Qualche tempo fa un dibattito sulla democrazia, in ambito Attac e dintorni, sarebbe stato incentrato sul necessario superamento della democrazia rappresentativa. I ragionamenti sul tema invece, non solo all’Università di Attac, hanno preso un’altra piega. Ora la Terra Promessa è la Costituzione …davvero entusiasmante…ma non è in vigore da 70 anni?
Continuare a tirare in ballo la Costituzione come perno di una strategia democratica alternativa alla dittatura dei mercati è anacronistico e perdente. Allora Togliatti poté coniare la formula “democrazia progressiva”, intendendo che la Costituzione , pur sancendo la vittoria del capitalismo, aveva però messo in moto un processo di democratizzazione che aveva come protagonisti grandi partiti di massa e vaste organizzazioni popolari, la cui crescita nel lungo periodo avrebbe potuto ribaltare la situazione sociale (beninteso – ma lo affermerà pubblicamente solo anni dopo Enrico Berlinguer, suscitando un autentico vespaio – senza mettere in discussione il pluralismo e lo Stato di diritto). Ma oggi? Lo sviluppo del capitalismo, ossia la mercificazione di ogni ambito di vita, ha provocato una mutazione antropologica nella popolazione. Essa ha assorbito la contabilità del dare e dell’avere come paradigma assoluto di razionalità, fuori del quale regnano caos e follia. La sofferenza che nasce dalla repressione della nostra incomprimibile natura umana si somma al crescente disagio economico. Un vero cambiamento oggi non può nascere nella sola sfera politica, è necessaria una profonda rivoluzione culturale che trasformi l’ossessione economica in ricerca della felicità, che non significa ozio, ma operosità rivolta a fini umani.
Segnalo un piccolo contributo che meriterebbe di essere al centro del dibattito pubblico: la proposta dell’Autorità Garante dell’infanzia e dell’adolescenza, Filomena Albano di introdurre la mediazione nelle scuole, per imparare a litigare bene. Questo è il link. Dura solo un minuto e 13 secondi, non è tempo perso.
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Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 36 di Settembre – Ottobre 2018: “Crisi: 10 anni bastano“