Il Nafta e la sollevazione zapatista in Chiapas

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di Elvira Corona

Agli inizi degli anni novanta, nonostante innumerevoli difficoltà, le dittature che insanguinarono buona parte dei paesi a sud del Messico, lasciarono il campo a governi democratici, venuti alla luce dopo “elezioni libere”. Il Fronte di Liberazione Nazionale (FLNFM) salvadoreño, considerato il più forte movimento guerrigliero del Centroamerica, consegnò le armi e trasformò i suoi comandanti in candidati. L’unità Rivoluzionaria Nazionale Guatemalteca (URNG) intavolò trattative di pace e persino i militanti di Sendero Luminoso in Perù decisero di sciogliere il movimento, pur senza aver ottenuto in questo caso, una democratizzazione del paese. Da allora in avanti si iniziò a pensare che solo attraverso i metodi di lotta democratica, si sarebbero potuti ottenere risultati concreti ai problemi che da secoli colpivano l’America Latina. Poi, all’alba di Capodanno del 1994, l’Esercito zapatista di liberazione nazionale si impose all’attenzione del mondo, occupando San Cristobal de las Casas, città del Chiapas con 90.000 abitanti, attrazione turistica internazionale e capitale morale degli Indios del Sud-est messicano. Contemporaneamente, altri centri abitati della zona, come Ocosingo e Las Margaritas, subirono la stessa “invasione”, dimostrando che i nuovi seguaci di Emiliano Zapata erano molti e ben organizzati. Quanto al peso politico del gesto, il Messico si ritrovò a fronteggiare un fenomeno inedito per portata e capacità di comunicazione, che mandò in corto circuito non solo il governo, ma gli stessi partiti di opposizione. Ma come si giunse, nell’unico paese dell’America Latina immune da colpi di Stato militari e da conseguenti movimenti guerriglieri, a un evento come questo? La risposta sta soprattutto nella scelta della data. Il 1° Gennaio 1994 infatti entrò in vigore il Trattato di Libero Commercio tra Usa, Canada e Messico, meglio conosciuto come NAFTA (North American Trade Agreement), il trattato di libero scambio delle merci che ha creato il più grande mercato comune del mondo per estensione e numero di potenziali clienti. Il trattato – secondo i suoi oppositori – avrebbe condannato a morte i contadini del Sud, in maggioranza Indios discendenti dei Maya. Contadini che coltivano la terra con mezzi arcaici e considerano il mais una divinità perché provvede a sfamarli da millenni. Il mais, che con l’accettazione delle spietate regole del NAFTA, cominciò ad essere importato dalle immense aziende agricole industrializzate del Kansas e dell’Oklahoma, dove produrlo costa molto meno che in Messico. Ora che sono passati vent’anni da quando il North American Free Trade Agreement è entrato in vigore, se da un lato l’interscambio commerciale – soprattutto nella sua fase iniziale – è cresciuto secondo le previsioni, dall’altro rimangono però molte perplessità nei confronti della cosiddetta dimensione sociale del NAFTA, un aspetto affrontato solo superficialmente dai tre Paesi membri nelle fasi di negoziazione dell’accordo. Ratificato nel Dicembre 1993 a Washington ed entrato in vigore all’inizio del 1994, il NAFTA prevede l’eliminazione delle tariffe di importazione e le riduzioni sui controlli doganali tra i Paesi contraenti, in modo progressivo. Una volta entrato in vigore, il NAFTA ha dato origine al più grande mercato del mondo, con 370 milioni di abitanti e un volume di affari commerciali, nonostante le disparità economiche tra i tre Paesi, che supera i 6000 miliardi di dollari USA all’anno con un reddito globale di 6,2 trilioni di dollari.

La realizzazione del North American Free Trade Agreement è passata attraverso situazioni e momenti caratterizzati da fragilità, incertezza e diffusi timori: in particolare per gli effetti negativi che l’enorme movimento di capitali avrebbe potuto avere sull’occupazione. Negli Stati Uniti, la sua gestazione ha avuto un corso difficile: discussa e preparata durante la presidenza repubblicana di Bush, è stata lasciata in eredità alla presidenza democratica di Clinton. Nel 1993, al momento di portare a termine il progetto, il neo-eletto presidente sapeva di dover incorrere in una serie di scontri con le diverse parti sociali e soprattutto con i sindacati. È stata questa situazione a spingere il presidente Clinton a negoziare separatamente degli accordi paralleli al NAFTA, uno concernente la protezione ambientale NAAEC (North American Agreement on Environmental Cooperation, Accordo nordamericano sulla cooperazione ambientale) e l’altro la tutela della manodopera NAALC (North American Agreement on Labor Cooperation, Accordo nordamericano sul Lavoro). La prospettiva della creazione di una zona di libero scambio ha preoccupato anche gli ambientalisti, sia per le conseguenze che il commercio senza frontiere avrebbe potuto avere sull’ambiente, sia perché le esistenti legislazioni erano ritenute insufficienti per salvaguardare l’ambito ecologico nordamericano. In particolare, era diffuso il timore che l’apertura delle frontiere messicane facilitasse il trasferimento di attività produttive verso quel Paese, le cui leggi a tutela dell’ambiente erano sicuramente meno restrittive di quelle statunitensi e canadesi e mancava delle risorse per garantirne il rispetto. Tali preoccupazioni derivano dall’esperienza delle maquiladoras, che ha visto accumularsi in Messico, lungo il confine con gli Stati Uniti, un numero abnorme di impianti industriali statunitensi, con effetti devastanti sul piano ambientale per tutta l’area di confine tra i due Paesi. Diversa è invece l’analisi dell’accordo parallelo sul lavoro, nel NAALC e nello stesso NAFTA è mancata la volontà di istituire un rapporto politico tra gli accordi di liberalizzazione commerciale e la dimensione sociale dei rapporti di lavoro. A questo proposito è fondamentale ricordare che gli Stati Uniti hanno sottoscritto un accordo che in altre occasioni avrebbero respinto: il NAALC non prevede infatti che il mancato rispetto di alcuni diritti fondamentali dei lavoratori, come la libertà di associazione e la contrattazione collettiva, sia una pratica commerciale scorretta e soggetta a possibili ritorsioni. Questa omissione ha permesso di assistere, nelle zone a basso costo del lavoro interne al NAFTA, cioè in Messico, a una attrazione di flussi di investimenti determinati proprio dai livelli minimi di protezione sociale presenti in quelle aree. Si è creata così nell’area NAFTA una sorta di competizione “al ribasso”, (unfair distorted competition) con il trasferimento di impieghi e di produzione da zone avanzate, Stati Uniti-Canada, a zone meno protette e caratterizzate da costi minori, Messico. L’esistenza di tale fenomeno, in termini di concorrenza sleale, ha sicuramente avvantaggiato economicamente il Messico, che per non scoraggiare il flusso di investimenti stranieri, non ha fatto nulla per elevare i propri standard di tutela del lavoro. Al contrario, i Paesi più ricchi, in questo caso, gli USA e il Canada, che non possono abbassare i propri standard per arrestare il calo dell’occupazione, hanno visto le proprie imprese prendere la strada del Messico. Indipendentemente dagli effetti dell’accordo, rimane infatti evidente che l’interdipendenza tra Stati Uniti e Messico avviene tra Paesi con differenti livelli di sviluppo economico: essi vantavano una relazione di debito-credito tra le più alte al mondo, un altissimo tasso di investimenti esteri diretti, la più grande coproduzione di impianti di assemblaggio (le maquiladoras) e il confine con il tasso più alto di migrazione legale e illegale. Per queste e per ragioni più profonde legate alla visione diametralmente opposta rispetto alle relazioni economiche e più in generale alla visione del mondo, l’Esercito zapatista di liberazione nazionale si era fortemente opposto alla firma dell’accordo: l’intensa campagna anti-NAFTA promossa dall’EZLN, ha permesso di attirare l’attenzione e la solidarietà mondiale sul tema dei diritti delle minoranze indigene, già snobbate dalle politiche nazionali e non tutelate dalle conseguenze negative dell’integrazione economica di matrice neoliberista di cui il NAFTA è uno degli accordi più rappresentativi.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia di febbraio “NO TTIP”, scaricabile qui.

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