di Chiara Filoni
I numeri in Grecia parlano chiaro: il debito pubblico rappresentata oggi il 175% del prodotto interno lordo del paese, mentre nel 2007, immediatamente prima della crisi e delle cosiddette misure di “salvataggio”, non superava 103%. Il Pil è diminuito del 25% in quattro anni. La disoccupazione si attesta a 27% e supera il 50% tra i giovani.
A seguito del memorandum del 2012 imposto dalla Troika alla Grecia, il salario minimo è diminuito del 22% per i lavoratori con più di 25 anni, e del 32% per i restanti. In generale, i salari sono stati ridotti del 38% e le pensioni del 45%. Sono inoltre state imposte riduzioni significative della protezione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici (libertà di associazione e di contrattazione collettiva), senza contare le privatizzazioni e la svendita del patrimonio pubblico; oltre a tutto ciò che ne consegue in termini di recessione e perdita in entrate per lo Stato greco. Queste le barbare misure di austerità imposte da BCE, Commissione Europea ed FMI, (la Troika, per l’appunto), a partire dal 2010, anno del primo memorandum.
Risultato: quasi il 50% della popolazione greca vive con un reddito al di sotto della soglia di povertà (cifra che si attestava al 20% nel 2008). L’accesso a cure mediche, educazione, a un salario giusto, ma spesso anche al riscaldamento, oggi sembra essere un privilegio.
E tutto ciò per cosa? In nome del rimborso di un debito la cui contrazione non ha mai beneficiato la popolazione.
C’è tutto questo dieto la vittoria elettorale di Syriza lo scorso 25 gennaio. Una luce alla fine del tunnel per il popolo greco; la possibilità di un riscatto, di giustizia. E, in termini pratici, come ha puntualizzato Manolis Glezos, partigiano e membro del Parlamento Europeo con Syriza, una speranza per abolire il regime di austerità, strategia imposta non solo dalle élite tedesche e dai paesi creditori, ma anche dall’oligarchia greca. Oltre che una speranza per l’annullamento del debito: una proposta radicale che nessun altro partito al governo di nessun altro paese europeo aveva mai osato esigere prima d’ora.
Il debito pubblico greco, infatti, non solo è insostenibile da un punto di vista economico (l’insostenibilità risiede nell’impossibilità di assumere le obbligazioni che vengono dai contratti di debito), ma sopra ogni altra cosa illegale (perché viola le procedure interne alla Costituzione greca e più in generale le convenzioni internazionali a cui la maggior parte dei paesi del mondo aderisce) e illegittimo (ovvero rispondente ai bisogni di una minoranza, quella dei creditori, e non della maggioranza della popolazione).
L’ammontare totale del debito del paese è di poco più di 300 miliardi di euro, di cui l’80% è detenuto dalla Troika, mentre il restante 20% è legata a delle obbligazioni emesse dallo Stato greco e acquistate dalle banche greche. La parte sostanziale di questo debito proviene dunque dai “salvataggi” operati dall’Unione Europea nel 2010 e 2012, ognuno accompagnato da un memorandum, vera causa delle conseguenze sopra descritte.
Ma andiamo per gradi. Nel 2010, i principali creditori del debito greco sono, nell’ordine: le banche francesi per il 25 %, le banche tedesche per il 20% circa, le banche italiane per il 10% e le banche belghe per il restante 8% circa. Il piano d’aiuto del 2010, con i suoi 110 miliardi di prestito alla Grecia, è stato investito per la maggiore (quasi l’80%) nel salvataggio di queste banche che premevano per liberarsi dei titoli di debito greco (con rating molto bassi a causa dell’impossibilità di pagamento della Grecia). Il piano ha permesso alle banche di salvarsi dal mancato pagamento – quindi da un possibile fallimento – e di essere rimpiazzati in quanto creditori dalla Troika, ovvero dai contribuenti europei! Nota di non poca importanza, nel 2010 il Parlamento greco non si è pronunciato su questa decisione, la quale è pertanto attribuibile interamente alla Troika.
Con il secondo salvataggio nel 2012, che viene etichettato dai media come un salvifico piano di ristrutturazione del debito, si consuma la seconda beffa per lo Stato greco: il piano riguarda infatti esclusivamente i creditori privati (gli stessi sopra elencati), i quali si erano parzialmente sbarazzati dei bond greci, ma avevano ancora bisogno dell’aiuto dei contribuenti. Ed ecco che i creditori ottengono una riduzione del 50-60% sui bond greci. Ancora un piccolo particolare di rilevanza: niente è stato fatto per impedire a banche e altre istituzioni finanziarie di speculare sul debito. Prova di ciò: dopo una diminuzione temporanea dell’ammontare del debito durante il 2012, lo stesso è poi continuato ad aumentare nel 2013, superando la percentuale raggiunta nel 2010-2011.
Proprio in questi giorni, Syriza ha raggiunto un accordo con il resto dell’Eurogruppo: lo sblocco del prestito europeo per altri 4 mesi, in cambio dell’applicazione di misure precise. Stessa storia che si ripete. A margine della promessa ineluttabile di onorare i propri debiti, non importa se utilizzati per arricchire una minoranza, e – perché no – di perseguire sulla strada delle privatizzazioni e della competitività ad ogni costo.
Ma non è per questo che Syriza è stato eletto.
Molti commentatori leggono in questa decisione la necessità di guadagnare del tempo per riflettere su una nuova strategia, dopo il fallito tentativo da parte di Tsipras di trovare uno o più alleati europei. Tutti fin troppo pavidi per poter intendere la parola “solidarietà”, poco intelligenti per capire che quello che sta succedendo alla Grecia può succedere a chiunque altro continui sulla strada cieca dell’austerity e del dogma liberista.
La Grecia può e deve scegliere un’altra strada: quella del rifiuto del pagamento del debito illegittimo e della moratoria sul debito. Per andare in questo senso, lo scorso 17 marzo, la presidentessa del parlamento greco, Zoe Konstantopoulou ha lanciato un audit del debito, e ha chiesto al presidente del CADTM, Eric Toussaint di coordinarlo.
Da tempo, Eric Toussaint suggerisce alla Grecia di fare questo passo; come ha fatto notare (http://cadtm.org/Si-un-gouvernement-Syriza), lo stesso regolamento europeo adottato nel maggio del 2013 prevede che: “Uno Stato membro soggetto a un programma di aggiustamento macroeconomico procede a un audit completo delle proprie finanze pubbliche, allo scopo, tra l’altro, di analizzare le cause che hanno condotto alla formazione di livelli eccessivi di debito e di riscontrare ogni possibile irregolarità [Art.7]”.
Ora, questo è in effetti il caso di Grecia, Cipro e Portogallo. Syriza é quindi in condizioni di applicare alla lettera il regolamento, dal momento che ha deciso di stare alle regole del gioco. Ne è in gioco di sicuro il suo futuro come partito politico alternativo alla leadership neoliberale dominante in Europa. Ma soprattutto il futuro della Grecia.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia “Fermate il mondo: voglio scendere!” di marzo/aprile 2015, scaricabile qui.