Dalla Libia all’Ucraina passando per la Grecia

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di Roberto Musacchio

Il braccio di ferro durissimo tra l’attuale governance europea e la nuova Grecia di Alexis Tsipras ha già avuto il merito di scoperchiare tutta l’inadeguatezza, o peggio la sciagurataggine, delle leadership del vecchio continente. Solo pensare di poter arrivare ad uno splash down con la Grecia, ad una separazione con un Paese strategico del Mediterraneo, in piena crisi libica, cioè una pura follia, dimostra che questa Europa non ha, e non vuole avere, un senso storico della propria esistenza.
Questo non vuol dire che l’Europa non si muova anche con, dissennata, consapevolezza. Ciò che voglio affermare è che in tutti questi decenni l’Europa si è trovata a confrontarsi con conflitti aperti, spesso anche per un ruolo diretto agito da lei stessa, senza una visione strategica, un’idea di percorso storico che non fosse quello delle convenienze, prevalentemente per altro di alcune sue parti.

Vale questo ragionamento per la ex Yugoslavia, come per tutto il Medio oriente, così come con l’Ucraina e la Libia, cioè gli scenari caldissimi dell’oggi. La ricostruzione della “politica estera” dell’Unione Europea è un vero atto di accusa per i danni arrecati e la miopia dei cosiddetti vantaggi acquisiti. La UE è stata parte attiva dei processi di destabilizzazione del “vecchio ordine” ma senza avere una propria visione del futuro che non fosse quella di lucrare qualche vantaggio.
Emblematico è il modo di rapportarsi a chi questa opera di destabilizzazione l’ha promossa e guidata, come gli USA, e a chi vi ha provato a ritrovare un proprio ruolo di grande potenza, come la Russia di Putin. Un rapporto di subalternità, naturalmente in modo diretto con gli Stati Uniti ma, in fondo, anche verso l’altro grande erede di quella che fu l’epoca della Guerra Fredda. “Protagonista” principe di questa sostanziale debacle è stata la Germania, che sembra rincorrere anch’essa una idea del passato e cioè quella di un’Europa sostanzialmente tedesca. Accompagnandosi in questo deja vu con altri ”eterni ritorni” come quelli delle velleità mediterranee e africane della Francia e gli storici piccoli opportunismi italici.
Naturalmente da questo modo di agire l’Europa attuale ha tratto qualche piccolo vantaggio, come ad esempio l’espansione dell’area di influenza tedesca nelle zone dell’ex blocco sovietico. O un rinnovato protagonismo francese in Africa. Ma questi spazi lucrati appaiono ben piccola, e meschina, cosa a fronte del nuovo caos che si è determinato. Tanto più oggi che la dottrina USA della guerra preventiva e permanente mostra tutto il suo fallimento, lasciando spazio ad una condizione che, non a caso e giustamente, Papa Francesco ha descritto come quella di una “Terza Guerra Mondiale a puntate”.
Per altro, in questa terza guerra mondiale a puntate, l’Europa è tenuta assieme più dal sostegno dai grandi poteri globali – che vogliono traghettarla al nuovo capitalismo finanziarizzato mondiale, a costo di distruggerla -, che dall’avere una propria identità e visione strategica. E infatti in questi anni la subalternità alle visioni strategiche altrui è stata evidentissime, tanto che anche le “estensioni” dei propri confini sono state quasi precedute dall’estensione di quelli della Nato. Senza che ciò non lasciasse per altro crescere una conflittualità, latente ma sempre più evidente, proprio tra gli USA e il Paese guida di questa idea di Europa e cioè la Germania. Tensione evidente anche nella vicenda ucraina.
D’altra parte, nel Medio Oriente, l’Europa ha accompagnato, dividendosi, le guerre americane. “Concedendosi” qualche improvvido exploit in proprio, come quelli francesi in Mali che ricadono poi sulla stessa Libia teatro di altri exploit francesi e italiani. L’aver condiviso la responsabilità della destrutturazione di un’area così strategicamente vicina all’Europa, e rispetto alla quale l’Europa aveva responsabilità storiche fortissime, legate all’epoca coloniale e poi perpetuate nelle forme neo e neo-neo, è un vero atto di accusa verso classi dirigenti che si sono dimostrate prive di ogni vocazione storica.
E infatti non c’è una sola idea di riassetto strategico messa in campo. Nemmeno l’ex Yugoslavia è stata ricomposta. Probabilmente si è arrivati alla crisi conclusiva degli assetti del Medio Oriente, storicamente costruiti a tavolino, e al riemergere di quelli storici antichi, nelle forme “moderne” e a volte “orribili”, senza alcuna prospettiva messa in campo dall’Europa. Che, per altro, nulla ha fatto per contribuire ad un nuovo ordine che ritrovasse una propria logica storica affrontando le questioni palestinese e curda.
Analoga è la situazione in Ucraina, dove si è pensato probabilmente di seguire il copione yugoslavo o quello dei paesi dell’est senza una lettura di una vicenda storica complessa e difficilissima come quella ucraina. Basta pensare al rapporto avuto da quella terra con l’URSS per rendersi conto di problematiche drammatiche e terribili che hanno attraversato il corpo vivo di quella realtà. Anche qui l’Europa ha seguito la strada dell’opportunismo, provando a lucrare sugli eventi e finendo in mezzo al gioco “grande” tra USA e Russia. Lasciando per altro sul campo pezzi di principi importanti, come quelli messi in mora dall’apertura data a forze ucraine di dichiarata matrice fascista.
Per altro un opportunismo reso evidente dal doppio profilo tedesco, con la Germania vicina agli USA, ma al tempo stesso legata alla Russia da partnership strategiche in campo energetico, per altro con l’impiego diretto di elementi chiave della propria leadership come Schroeder. Certo questa doppia faccia tedesca “frena” anche l’excalation del conflitto. Ma l’immagine del duo Merkel–Hollande, per altro simbolo di un ormai scassatissimo asse che non governa più l’Europa, appariva precisamente l’emblema della debolezza e dell’opportunismo con cui la classe dirigente di cui entrambi fanno parte ha “guidato” le sorti di quella che è una realtà in costruzione che chiederebbe ben altro spessore storico.
Infatti se dobbiamo avere qualche margine di ottimismo per un ruolo del tutto diverso che questa Europa dovrebbe avere, quello del mediatore disarmato di cui parla Balibar ad esempio, dobbiamo guardare a ciò che di vivo si muove. Innanzitutto alla straordinaria vittoria della Grecia di Tsipras, che può preludere a quella della Spagna di Iglesias, essendo Tsipras e Iglesias gli esempi di una nuova classe dirigente giovane per età e per speranze di cambiamento. E poi la piazza di Parigi con un popolo, europeo e meticcio, che risponde al terrore con il noi non abbiamo paura. Ecco, se non avremo paura, potrà nascere una nuova Europa.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia “Fermate il mondo: voglio scendere!” di marzo/aprile 2015, scaricabile qui.

 

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