di Vittorio Lovera
Altro Granello listato a lutto.
La Terra ha tremato di nuovo, lasciandoci quale pesante orpello morti e disperazione, macerie, recriminazioni. L’Appenino centrale, zona sismica per eccellenza, è stato scosso violentamente: Lazio, Abruzzo, Umbria, Marche le zone devastate, circa 300 le vittime del terremoto.
Tutta la sincera e leale solidarietà di Attac Italia alle popolazioni colpite. In molti numeri del Granello siamo intervenuti sul tema del degrado ambientale e della prevenzione dei cataclismi. Trascorso il tempo della pietas, occorre mettere in luce le responsabilità che hanno fatto sì che un cataclisma, per quanto intenso, abbia avuto conseguenze ben più gravi di quelle naturali, lasciando sul terreno quasi trecento innocenti.
Edifici, pubblici e privati, ristrutturati da poco con i fondi anti-sismici di svariati precedenti terremoti (Umbria, L’Aquila), caduti letteralmente sbriciolati gridano vendetta. “Non uccide il sisma ma le opere dell’uomo” è il forte j’accuse del Vescovo di Rieti, Monsignor Pompili, nell’omelia funebre tenutasi in un’Amatrice rasa al suolo. Chiesa peraltro non immune da colpe nell’uso delle risorse per la messa in sicurezza dei luoghi di culto, avendo spesso distolto le risorse disponibili per prevenzione anti-sismica con opere di semplice abbellimento.
Un altro importante monito che giunge dall’omelia dell’ecclesiastico reatino mette in guardia “dalle ingenuità muscolari di chi garantisce soluzioni facili”. Chi tra i rappresentanti istituzionali non ha, o per pura e bieca avidità o per colpevole incompetenza, gravi responsabilità rispetto alla continua aggressione dell’ambiente? Come dimenticarci che l’Italia nella classifica mondiale 2015 sulla corruzione pubblica percepita (redatta dall’Ong Trasparency International) risulta 61° sulle 168 nazioni esaminate, penultima tra le 28 nazioni dell’Unione Europea (battiamo per un punticino la Bulgaria)?
Ora come da imperituro copione dopo gli impegni di svolta, lo stanziamento di fondi, il rimbalzo di responsabilità, appena le luci delle telecamere si affievoliranno, ricominceranno le speculazioni, le deroghe, le scorciatoie, gli appalti truccati. Il refrain è sempre lo stesso: via i volontari (indispensabili per la gestione di qualunque emergenza) ora lasciate fare ai veri professionisti…
La ricostruzione è business: come ci hanno vergognosamente ricordato Vespa e il ministro Del Rio ( interprete del Renzi-pensiero) impatta fortemente sul Pil di una Nazione in stagnazione sempre più conclamata per quanto artatamente sottaciuta. Sempre che tali spese possano andare in deroga ai vincoli del patto di stabilità e che la UE conceda finanziamenti e flessibilità… Sì, perché anche la ricostruzione post sisma passa dai vincoli europei, dal rapporto debito/Pil!
C’è futuro solo fuori dal debito:
Da decenni il mantra neoliberista ha inculcato e spinto le Istituzioni verso l’adozione di vincoli economici irrealistici che dall’anno prossimo (entrata in vigore della seconda fase del Fiscal Compact) imporranno all’Italia – per accordi europei – ulteriori tagli alla spesa pubblica, pari a 50 miliardi l’anno per un periodo di vent’anni.
Obiettivo: portare il rapporto Debito/PIL dall’attuale 130 al 60%, portando così, tra fiscal compact e interessi sul debito, a 135 miliardi annui il costo annuo di questa follia.
Una vera follia, soprattutto se la vogliamo ad esempio commisurare alla somma degli stanziamenti per gli interventi per tutte le ricostruzioni (terremoti, inondazioni) a partire dal terremoto del Friuli (1976) ad oggi : tra i 121,6 e i 150 miliardi (le stime sono diverse) in quarant’anni. Con i 135 miliardi stornati dalle assurde regole dell’austerity e dall’anatocismo sugli interessi (conteggio di interessi su interessi) si potrebbe contribuire a mettere in reale sicurezza buona parte delle molte zone sismiche del Paese, passando dalla squallida gestione emergenziale ad una reale e moderna fase di prevenzione ambientale.
Per non dire delle grandi opere inutili; il ponte sullo Stretto di Messina (progettato su una faglia sismica), della Tav Torino-Lione, delle sconsiderate Olimpiadi. L’annullamento del debito illegittimo, rappresenta l’unica strada praticabile per reali politiche di cambiamento, per una riconversione ecologica della Società.
Questo numero del Granello è interamente dedicato alla questione dell’annullamento del debito illegittimo, campagna sulla quale la nostra Associazione si sta impegnando da tempo. Nel corso dell’anno abbiamo contribuito a riattivare il percorso iniziato dal Forum Nuova Finanza Pubblica e Sociale, attraverso un primo momento, tenutosi in Gennaio a Livorno, con tutte le realtà che si stavano occupando di auditoria locale; abbiamo ottenuto nel corso dell’Assemblea Mondiale del Comitato per l’Annullamento del Debito (CADTM) – in rappresentanza collettiva di tutto il movimento italiano di auditoria del debito – l’affiliazione di Attac Italia al network del CADTM, e il 14 settembre faremo a Roma la presentazione ufficiale di questo percorso, con la nascita di CADTM Italia, un centro studi sul tema del debito. Il 19 Luglio, a Genova, abbiamo contribuito alla realizzazione dell’ importantissimo Convegno internazionale “Dal G8 di Genova alla Laudato sì: il Giubileo del Debito” con la sottoscrizione (siamo già oltre le 800 adesioni individuali) della “Carta di Genova, verso l’annullamento del debito illegittimo”, primo atto di un percorso di confronto che sfocerà con un’Assemblea Pubblica nell’autunno per verificare le condizioni per attivare una campagna nazionale; stiamo lavorando in moltissime città per creare una rete di auditoria locale.
E, da ultimo, tutta l’Università Estiva di Attac Italia sarà imperniata sul tema dell’annullamento del debito illegittimo.
Sì, perché c’è futuro solo fuori dal debito:
Con il governo dell’ex enfant prodige & rottamatore, abbiamo raggiunto la cifra monstre di 2.200 miliardi di debito: la spesa per interessi va oltre il 5% del Pil, terza voce di spesa dopo Previdenza e Sanità e ciò nonostante il fatto che negli ultimi 20 anni il saldo primario sia stato attivo ben 18 volte. E nonostante che i cittadini abbiano versato ben 700 miliardi in più dei beni e servizi complessivamente loro restituiti.
I beffati sono come sempre i cittadini: se gli enti di prossimità incidono come quota sul debito nazionale solo per il 2,4% del famigerato Prodotto Interno Lordo, i tagli – solo negli ultimi 8 anni – ai conferimenti agli Enti Locali (con i quali si finanziano di fatto tutti i servizi essenziali) ammontano a circa 17.000 miliardi.
L’unica risposta messa in campo a livello comunitario per allontanare lo spettro della stagnazione, è stato il “quantitative easing”. Bene, questa enorme massa di denaro contante fornito dalla Bce agli istituti di credito non è riuscito a centrare nessuno degli obiettivi prefissati per accelerare la crescita: nel secondo semestre del 2016 il PIL dell’area euro è aumentato solo dello 0,3% rispetto al precedente trimestre, con Italia, Francia ed Austria inchiodate al palo.
Le scelte adottate dalle elite politico-economiche dell’Unione Europea e dei governi nazionali per rispondere alla crisi scoppiata dal 2008 in avanti, hanno trasformato una crisi -che a tutti gli effetti è sistemica- in crisi del debito pubblico.
Da allora, il debito pubblico è agitato su scala internazionale, nazionale e locale, come emergenza, allo scopo di far accettare come inevitabili le politiche liberiste di alienazione del patrimonio pubblico, mercificazione dei beni comuni, privatizzazione dei servizi pubblici, sottrazione di diritti e di democrazia. Oggi la trappola del debito pubblico mina direttamente la sovranità dei popoli, la giustizia sociale e l’eguaglianza fra le persone. Anche nel nostro Paese, il debito pubblico è da tempo utilizzato per ridurre i diritti sociali e del lavoro e per consegnare alle oligarchie finanziarie i beni comuni e la ricchezza sociale prodotta.
Rompere la trappola del debito diviene dunque l’obiettivo principale per avviare un altro modello di società, basato sulla sovranità, la solidarietà e la cooperazione tra i popoli, la pace, l’eguaglianza, la giustizia sociale e un modello economico ecologicamente e socialmente orientato.
C’è futuro solo fuori dal Debito:
Stabilito quindi che lo spauracchio del debito serve a trasferire risorse dal lavoro al capitale e a consegnare ai grandi interessi finanziari, attraverso alienazione del patrimonio pubblico e privatizzazioni, tutto ciò che ci appartiene, dobbiamo saper invertire la rotta e richiedere l’annullamento del debito illegittimo.
Come abbiamo saputo fare dal basso per fermare il percorso del TTIP (mantenere alta l’attenzione per eventuali colpi di coda – il 15° round si svolgerà ad ottobre negli States – anche se sapere che il sottosegretario francese, Mathias Fekl, e il vice cancelliere tedesco, Sigmar Gabriel, lo considerano definitivamente su binario morto, isolando ancor di più il falco Calenda, è bella notizia) ora, anche per l’annullamento del debito illegittimo, occorre creare dal basso le giuste forme per diffondere informazione, suscitare mobilitazione e lanciare un percorso di azione- rivendicazione.
C’è futuro solo fuori dal debito:
Denudare la geografia del potere che si nasconde dietro la composizione del debito significa trasformare la visibilità della rete di interessi privati che sfruttano il debito a propri fini, in una leva per rovesciare il rapporto di forza esistente. Ovunque l’audit sia stato portato avanti dal basso ha aperto a processi di mobilitazione sociale volti in primo luogo a rivelaregli interessi particolari che usano il debito per scardinare gli interessi particolari che usano il debito per estrarre rendita dalla società.
Disvelare la geografia del potere che si nasconde dietro al debito e riprenderci ciò che è nostro: è questa la visione che ci guida. E’ solo con la rottura della gabbia del debito che possiamo dare scacco matto alle politiche liberiste, ed è ciò che intendiamo fare nei mesi a venire con tutte e tutti coloro che condividono questi obiettivi: dare seguito al radicale e diffuso bisogno di riappropriazione collettiva e riprenderci tutto quello che ci appartiene.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 25 di Settembre-Ottobre 2016 “Chi è in debito con chi?“