di Amaia Pérez Orozco
Eje de precariedad y economía feminista
Astrid Agenjo Calderón
Observatorio GEP&DO y Universidad Pablo de Olavide
Questo testo è tratto dal capitolo «Economia femminista» incluso in Astrid Agenjo Calderón, Ricardo Molero Simarro, Alba Bullejos Jiménez e Coral Martínez Erades (coords.) (2016), Verso un’economia più giusta. Manuale delle correnti economiche eterodosse, Economistas sin Fronteras, pp. 51-97. Include riferimenti bibliografici, risorse educative e un elenco di spazi di ricerca/apprendimento/ creazione collettiva, che vi invitiamo a consultare per ulteriori informazioni. In questo testo, per alleggerire la formulazione, abbiamo scelto di non includere le citazioni bibliografiche
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Negli ultimi anni abbiamo sentito sempre più parlare di economia femminista e di altri concetti correlati: cura, sostenibilità della vita, impatti di genere della crisi … Questo dossier contribuisce a questo arricchimento. Ma cosa intendiamo quando parliamo di economia femminista? Non stiamo parlando di una corrente specifica del femminismo. Costruiamo economia femminista quando, dai diversi femminismi, pensiamo e facciamo economia.
L’economia femminista (di seguito, EF) è una teoria economica ed è anche azione. È una teoria che ci aiuta a capire il mondo; sviluppa i propri concetti, quadri analitici e metodologia, con cui cerca di comprendere i processi economici che sostengono la vita e le disuguaglianze di genere che li attraversano. Ed è anche pratica, un modo diverso di organizzare il lavoro e i processi di soddisfazione dei bisogni che risponde a criteri femministi. Quando osserviamo la vita quotidiana delle donne popolari e contadine che resistono al modello di sviluppo egemonico in molte parti del sud del mondo, vediamo che stanno creando un’economia diversa, un’economia femminista. Anche nello Stato spagnolo ci sono molte persone che cercano di costruire un’economia femminista legata all’economia sociale e solidale, alla sovranità alimentare, alle reti di mutuo aiuto.
Non possiamo pensare alla teoria e all’azione separatamente: la teoria economica femminista osserva un sistema economico che si basa sulla disuguaglianza di genere e la nutre. A fronte di questo, lancia proposte per spostarsi verso un’economia diversa, dove esiste un modo per produrre, scambiare, consumare e prendersi cura che sfida i rapporti di dominio e pone la vita al centro. Allo stesso tempo, costruendo altri modi di fare economia (o mettendo in luce quelli che esistono), la nostra teoria cambia necessariamente. In questa breve introduzione, ci concentriamo sulla proposta teorica dell’EF. Ti invitiamo a unirti a noi in questo viaggio, tenendo sempre presente che, dopo le parole, ci sono pratiche e viceversa.
1) Un modo diverso di vedere l’economia
L’EF non è un singolo corpus di idee, ma una diversità di approcci che vanno oltre il parlare della situazione specifica delle donne e / o della loro diversa posizione rispetto agli uomini nell’economia, o del proporre politiche che moderino gli impatti negativi sul genere del funzionamento del sistema economico. Suppongono un interrogativo fondamentale della disciplina. Ciò è proposto da un incrocio eterogeneo tra varie scuole economiche eterodosse (marxismo, post/keynesismo, istituzionalismo…) e diverse correnti femministe (liberale, radicale, marxista, ecofemminista, decoloniale…). Esiste una pluralità di approcci che coesistono e reagiscono, garantendo grande ricchezza e versatilità ai dibattiti. Questa capacità di dialogo ha storicamente permesso ai femminismi in generale, e in particolare alla EF, di problematizzare e decostruire le opinioni/prospettive per riconfigurarle (a partire) da pensieri complessi e inclusivi.
L’EF ha almeno tre obiettivi principali. In primo luogo, cerca di identificare i pregiudizi androcentrici delle teorie economiche, che impediscono di avere una comprensione integrale dell’economia e dei processi di inclusione/esclusione che lì si verificano, in particolare quelli dovuti al genere. Da lì, mira a ottenere strumenti concettuali e metodologici per invertire questi pregiudizi e applicare una prospettiva femminista alla comprensione dei fenomeni economici, spostando l’asse analitico dai mercati ai processi che sostengono la vita. Con tutto ciò, si propone di riflettere sugli attuali processi e politiche economiche, recuperando le sfere invisibili dell’economia e chiedendosi come esse interagisaono con la disuguaglianza tra donne e uomini.
L’EF rompe con l’economia convenzionale (l’economia ortodossa o neoclassica) sotto molteplici aspetti. A livello epistemologico, mette in discussione gli occhiali androcentrici con i quali l’economia neoclassica osserva tutto e la sua struttura di pensiero dicotomica e androcentrica, che esclude sistematicamente il femminile. Denuncia, inoltre, che l’oggetto dello studio dell’economia è ridotto agli aspetti commerciali, relegando all’invisibilità la natura, i bisogni del corpo e le relazioni umane, inclusa la riproduzione del potere (basato sulla classe , genere, razza, ecc.). A livello metodologico, critica il primato della matematica e della logica ipotetico-deduttiva. Lo sforzo di costruire modelli matematici per spiegare i processi sociali non solo lascia fuori un numero infinito di elementi fondamentali, ma consente anche di nascondere il ruolo che i giudizi di valore svolgono nel contesto sociale e nella ideologia propria del soggetto. Anche la pedagogia ortodossa, con il suo insegnamento di economia unidirezionale e al singolare, è criticata. E infine, c’è un interrogativo politico, che svela le implicazioni della strategia capitalista che sostiene questa corrente di pensiero. L’economia ortodossa non è innocente, ma utile per mantenere lo status quo e la disuguaglianza di genere.
Quale prospettiva alternativa costruisce l’EF da queste critiche? Vediamo i suoi principali contributi.
2) Contributi concettuali e metodologici
L’EF è definita per assumere un impegno esplicito per la comprensione e il superamento delle disuguaglianze di genere in campo economico, partendo da un’idea chiave: non possiamo comprendere (nè eliminare) queste disuguaglianze se non incorporiamo i lavori non remunerati. Si differenzia dall’economia di genere, che è una sub-corrente ortodossa caratterizzata dal tentativo di sradicare i pregiudizi androcentrici senza cambiare il discorso neoclassico e di cercare di porre fine alla disuguaglianza senza mettere in discussione il capitalismo. Questo approccio, che definiamo “aggiungere donne e mescolare”, si distingue dall’EF in tre cose: continua a limitare l’analisi alle dimensioni monetarie dell’economia; si preoccupa per il genere, ma lo considera una costruzione ideologica, che ha un impatto sull’economia, ma non fa parte dell’economia stessa; e aspira a compiere buona scienza, non macchiata dalla politica. Di contro, l’EF afferma che l’economia è più che i mercati, che il genere è importante e che la conoscenza è politica. Queste tre affermazioni sono i suoi tre elementi che la definiscono, che uniscono la pluralità delle prospettive.
2.1. L’economia è più che i mercati
L’EF afferma che l’economia rappresenta tutti i processi di generazione e distribuzione delle risorse che consentono di soddisfare le esigenze delle persone e di generare benessere, indipendentemente dal fatto che attraversino o meno i mercati. Il lavoro corrisponde a tutte le attività umane che sostengono la vita, non solo quelle svolte in cambio di reddito. A questo punto, l’EF si differenzia da numerose correnti eterodosse che, come l’economia ortodossa, usano la frontiera commerciale per definire l’economia e riducono la nozione di lavoro a lavoro salariato.
L’EF si impegna a spostare l’asse analitico e politico attorno al quale costruiamo l’economia: dai mercati alla sostenibilità della vita. Nell’analizzare il sistema economico, per l’EF gli agenti da prendere in considerazione sono i mercati, lo Stato, le case e le reti sociali e comunitarie. È necessario capire la loro interazione per comprendere tutti i processi attraverso i quali generiamo e distribuiamo le risorse necessarie per la vita (compresi i processi attraverso i quali ostacoliamo o attacchiamo la vita), comprendendo come le relazioni di potere si ricostruiscono in quei processi. A livello politico, si impegna a migliorare il funzionamento dell’economia in modo che tutte le persone abbiano accesso a una vita degna di essere vissuta.
Nello spostamento dell’asse analitico dai processi di valorizzazione del capitale a quelli di sostenibilità della vita, diventa sempre più rilevante la nozione di (lavoro di) cura. Mettendo la cura al centro, si sottolinea che la vita è vulnerabile (se non si ha cura, non c’è vita) e interdipendente (l’unico modo per prendersi cura è insieme agli/lle altri/e). L’economia non è vista come somma di azioni individuali di soggetti autosufficienti, ma come una rete di interdipendenza. Il compito della teoria economica è capire come funziona questa rete e quali conflitti la attraversano.
2.2. Il genere è importante, e molto
L’EF introduce le relazioni di genere come elemento costitutivo del sistema socioeconomico. La teoria è messa a frutto, riconoscendo che gli agenti economici non sono homos economicus astratti, ma soggetti connotati per genere, razza/etnia, classe sociale, condizione migratoria, orientamento sessuale, identità di genere, ecc. L’EF rivela che il Robinson Crusoe che l’economia neoclassica utilizza nei suoi modelli matematici, sostenendo che è una metafora universale dell’essere umano, è in realtà il simbolo del soggetto privilegiato nel sistema economico dominante: il BBMAE (bianco, borghese, maschio, adulto, eterosessuale) senza diversità funzionale, urbano, occidentale. Questa figura trasforma tutte le altre persone in altre.
L’EF differisce anche dalle correnti eterodosse che ritengono che l’economia sia solo uno scenario di conflitto di classe e dedicano nessuna o minima attenzione alle disuguaglianze di genere. Per l’EF, le relazioni di genere sono economicamente rilevanti. Per capirle, disaggregare i dati per sesso è essenziale, ma non sufficiente. Il genere non è solo una variabile, ma una categoria di analisi, una lente per osservare le dimensioni eteropatriarcali del sistema economico e della teoria economica.
3) La conoscenza è sempre sociale e politica
L’EF afferma che la produzione di conoscenza, come processo sociale, è influenzata dai conflitti sociali e risponde a uno scopo politico. Ciò si vede chiaramente nell’intima connessione tra i cambiamenti nel movimento femminista e la traiettoria della EF (da quando esiste l’economia come disciplina vi è stata critica femminista, sebbene fino alla metà degli anni ’90 non si sia usato il nome EF). Guardando questo viaggio dal Nord globale, possiamo sottolineare che durante la prima ondata di femminismo, i dibattiti ruotavano attorno al diritto delle donne all’occupazione e alle disparità salariali. Durante la seconda ondata, si svolge il cosiddetto dibattito sul lavoro domestico, in cui viene analizzato il lavoro svolto dalle donne nelle famiglie al fine di determinare le basi materiali della loro oppressione e proporre modalità di emancipazione. Nella terza ondata, si realizza lo sviluppo dell’EF come specifico corpo teorico e avanza con forza la critica metodologica e concettuale alle tradizioni esistenti.
Un compito importante per l’EF è ridefinire i criteri che convalidano la conoscenza, dato che non si crede nella oggettività come valore neutrale. Scommette su ciò che definisce l’oggettività rafforzata, che si ottiene riconoscendo la posizione dalla quale si parla, essendone responsabile e identificando l’obiettivo politico perseguito. L’EF, riconoscendosi femminista, non introduce valori dove non ce n’erano, piuttosto li esplicita, e, in tal senso, è più obiettiva di quelle teorie che affermano di essere neutrali. Allo stesso tempo, dà la preferenza alla conoscenza che emana da posizioni subordinate: sono punti di vista preferiti perché parlano di un mondo segnato dal privilegio, ma fuori dal privilegio.
Con tutti questi elementi, che prospettiva economica si costruisce? Quale economia vediamo quando osserviamo fingere di macchiarci politicamente e capire come l’etero-patriarcato attraversi un’economia che va al di là dei mercati?
4) Il funzionamento del capitalismo eteropatriarcale
L’EF intende la socioeconomia come un circuito integrato produzione-riproduzione. I mercati e lo Stato costituiscono la sfera monetizzata, dove sussiste il lavoro retribuito (d’ora in poi LR), flussi monetari (crediti, rimesse, ecc.) e scambi commerciali. Le famiglie e le reti costituiscono la sfera non monetizzata, che possiamo chiamare lo spazio della sostenibilità della vita. Qui esistono molte forme di lavoro non retribuito (di seguito, LNR), a cui sono stati dati vari nomi: di riproduzione, cure domestiche, lavoro di cura, di sussistenza, di comunità, ecc. Con tutti questi termini, portiamo alla luce lavori invisibili, storicamente assegnati alle donne, eseguiti in modo gratuito o sottopagato, che sono essenziali per il funzionamento dell’economia e la generazione di benessere.
Rappresenta un campo di studio in cui l’EF è stata pioniera e che a poco a poco altre economie eterodosse stanno prendendo in considerazione.
Mettendo al centro i processi di sostenibilità della vita, l’EF identifica la tensione fondamentale del capitalismo: la contraddizione tra il processo di accumulazione del capitale e i processi di riproduzione della vita. Per la produzione, le condizioni di vita sono una variabile di aggiustamento e la riproduzione della mano d’opera è un costo; per la riproduzione, l’obiettivo sono le condizioni di vita mentre la produzione di beni è un mezzo. C’è una tensione strutturale e irresolubile tra capitale e vita. Nel capitalismo l’accumulazione di capitale è il processo prioritario per definizione.
Il gruppo sociale è messo al servizio dei mercati, quindi non vi è alcuna responsabilità collettiva nel generare condizioni di vita dignitose e la vita del gruppo sociale e del pianeta è sempre minacciata, messa al servizio del potere aziendale: del BBMAE che domina il processo di accumulazione.
In questo senso, l’EF converge con il marxismo, che denuncia il conflitto tra capitale e lavoro salariato, garantendo che il beneficio si trae sfruttando la manodopera. Il femminismo aggiunge che il conflitto è più profondo, con la stessa vita umana (ciò che viene commercializzato è la vita e ciò che è invisibile è il lavoro di cura che la sostiene). E qui si unisce all’economia ecologica, che sostiene che il capitalismo sfrutta e impoverisce/logora gli ecosistemi, mettendo a rischio tutti gli esseri viventi.
La domanda successiva è come riescono, bene o male, ad andare avanti i processi vitali che sono minacciati dai mercati capitalisti. E qui l’EF insiste sul fatto che è nelle case e nelle reti di affinità che si assume questa responsabilità. Quelli di cura sono i lavori che riparano i danni arrecati dai mercati e fanno tutto il necessario perché la vita vada avanti. L’etero-patriarcato femminilizza questi lavori (ovvero li impone alle donne) e li rende invisibili: l’unico modo di vivere in un sistema economico in cui la vita è minacciata e che il conflitto non esploda è “non vedere” il problema. L’etero-patriarcato garantisce l’esistenza di sfere e soggetti sottomessi che risolvono/salvano silenziosamente la vita che il capitalismo attacca.
A livello macro e a livello micro, vediamo che il sistema economico capitalista è etero-patriarcale e che le tensioni di genere che attraversano il sistema economico non sono casuali. La divisione e la valutazione ineguale degli spazi pubblico-produzione/privato-domestico-riproduzione va legata alla divisione sessuale del lavoro che mascolinizza l’uno e femminizza l’altro. Il modello normativo della famiglia nucleare “uomo che porta il pane / donna che svolge il lavoro di cura” è la microstruttura in cui si realizza questa macrostruttura. Tutto ciò ci consente di dare per scontato un “gruzzolo” infinitamente flessibile di lavoro di cura nello sviluppare la politica economica e nel funzionamento del mercato del lavoro.
Credits: Fotomovimiento.org
Nel quadro di questo capitalismo etero-patriarcale, si comprendono le molteplici e profonde forme di discriminazione e disuguaglianza dovute al sesso nel mercato del lavoro, direttamente collegate alla disparità di distribuzione dei LNR e alla loro sottovalutazione. Si capisce come lo Stato sociale è stato costituito sul modello “uomo che mantiene la famiglia / donna che dà assistenza”. Le donne accedono a una cittadinanza di seconda classe, poiché il LNR non dà accesso ai diritti; allo stesso tempo, si dà per scontato che questi lavori si prendono il carico di tutto quello che lo Stato sociale non fa e, in più, sosterranno il suo funzionamento. Questo è stato visto soprattutto con la crisi. E si individuano i pregiudizi di genere delle politiche economiche, che comportano la costante ricostruzione del carattere etero patriarcale del sistema.
Da questa ampia prospettiva, l’EF ripensa il concetto di crisi. Afferma che non si tratta solo di un collasso finanziario che ha messo in scacco l’economia globale dal 2007, ma di una crisi sistemica e di civiltà che ha riguardato per decenni le dimensioni economica, ecologica e sociopolitica. Le misure di austerità attuate con il neoliberismo implicano lo smantellamento del pubblico (trasferimento di risorse dallo Stato al capitale privato e smantellamento degli spazi di controllo sociale sulle decisioni politiche), l’ostruzione (o l’eliminazione) di spazi comunitari di scambio e il rafforzamento del settore privato in una duplice direzione: maggiore potere ai mercati, attraverso la mercificazione e la finanziarizzazione della vita, e più responsabilità alle famiglie (e, in esse, delle donne), per portare avanti la vita con risorse private (tempo, denaro, reti). C’è una svolta verso l’etica reazionaria della cura, che implica che le donne assumano il ruolo di responsabile ultimo o unico per il benessere della famiglia (anche se non fanno tutto allo stesso modo, ma in base alla loro posizione, contrassegnata da classe, razza, stato migratorio ed età).
5) Un’economia femminista imperfetta, viva e pratica
Da questa lettura della realtà economica, l’EF ritiene che non sia possibile raggiungere l’uguaglianza senza capovolgere il sistema economico. Le proposte e le pratiche concrete che da qui nascono sono diverse e con diversi livelli di rottura con le istituzioni in vigore. Ma, in generale, tutte prevedono l’impegno a costruire un’altra economia che faccia pace con il pianeta; che metta al centro le condizioni per una vita che meriti di essere vissuta, comprendendo che questa è una responsabilità condivisa che deve venire dalle mani di (certe) donne ed erodendo le relazioni etero-patriarcali che mantengono il sistema.
L’EF non è una prospettiva unica. Si costruisce a livello globale come teoria e come azione in una moltitudine di spazi diversi: dalle istituzioni legittimate come quelle creatrici di conoscenza e di politica e anche (o, forse, soprattutto) al di fuori di tali istituzioni. La costruiamo noi che usiamo quel nome e quelli/e che non si riconoscono nell’etichetta, ma mettiamo in discussione le perversioni di un’economia ingiusta e disuguale. Costruendola, riproduciamo anche le relazioni di oppressione/ privilegio. Ad esempio, l’EF, in generale, ha un profondo orientamento urbano; gran parte di essa è costruita dal Nord globale e replica uno sguardo colonialista; spesso dà per scontata l’eterosessualità come norma, ecc. Tutto ciò è un invito urgente a continuare a comprendere l’EF come un processo vivente di creazione collettiva, in cui far dialogare le nostre differenze così come agire le nostre alleanze, nella ricerca di altre possibili economie, chiamate con altre parole possibili.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 44 – Numero speciale di Marzo 2020. Dossier dell’associazione Economistas sin Fronteras: “Economia Femminista: Visibilizzare l’invisibile”