Come la nascita di Attac ci parla del futuro

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di Roberto Mapelli (Associazione Punto Rosso)

La nascita di Attac Italia avvenne di fatto a Genova G8 nel luglio 2001, anche se maturò già in una assemblea bolognese del giugno dello stesso anno. Un battesimo di fuoco, nel vero senso della parola. E di crescita istantanea se è vero com’è vero che Attac Italia gestì da protagonista il venerdì 20 luglio una delle “piazze tematiche” più importanti (piazza Dante) e il sabato 21 luglio addirittura buona parte della testa del corteo.

Ma la sua gestazione si realizzò in moltissime iniziative nei due anni precedenti. Per esempio per quanto mi riguarda, come Associazione Culturale Punto Rosso, organizzammo sia il grande convegno del 1999 a Milano in prossimità della mobilitazione di Seattle, sia la prima “Settimana con Le Monde Diplomatique” a Bologna, che vide partecipare i maggiori esponenti della “casa madre” di Attac France, tra cui Ignacio Ramonet e Bernard Cassen.

Ma lascerei ad altri la ricostruzione specifica degli avvenimenti, anche perché la mia memoria inizia a difettare.

Mi preme invece in questa breve nota concentrarmi su un punto. La nascita e la composizione iniziale di Attac Italia fu un esempio virtuoso e prodromico di quello che è stato il cosiddetto movimento no-global come movimento dei movimenti.

Infatti, nella convinzione di costituire anche in Italia un’associazione sulla base della buonissima idea ispiratrice (la Tobin Tax) della associazione originale francese, confluirono in un lavoro comune e paritario un discreto numero di giovani molto entusiasti e preparati e una serie di persone con esperienze politiche molto radicate in altri contesti, come altre associazioni politico-culturali (per me Punto Rosso), sindacati di base o la Cgil, giornali o riviste (Carta o il Manifesto e altre) e ancora studiosi che si apprestavano a voler diventare anche direttamente attivisti.

Attac Italia quindi nasceva oltre che contemporaneamente, anche in simbiosi, con il movimento dei movimenti (definizione non casuale) mimandone da subito la composizione e la caratteristica fondamentale: costituire un’organizzazione che si vincolasse anche nell’appartenenza, senza abbandonarne delle altre, ma con l’ambizione di funzionare in un modo nuovo, capace non solo di aggregare, ma di concretizzare anche “dentro” e non solo “fuori”, la formazione della decisione collettiva secondo le dimensioni teoriche e pratiche della democrazia partecipativa.

Si trattava di arare un terreno nuovo con la consapevolezza (non sempre però chiarissima e completa) di avere a disposizione strumenti di lavoro spesso vecchi e insufficienti. Avendo anche una idea di fondo di questa democrazia partecipativa piuttosto acerba e senz’altro troppo semplicistica. Nella consapevolezza però certa che non si trattasse di “studiarla” o di affinarla a tavolino, ma di “sperimentarla”, come si dice, “nel vivo della lotta”. E il terreno della battaglia e le fisionomie sempre più precise degli amici e soprattutto dei nemici, in quel millennio appena iniziato, si stavano assolutamente delineando con una potenza e una chiarezza del tutte inaspettate.

Ci fu quindi una confluenza assai rara tra il trovarsi in un frangente “favorevole” a una esplosione di grandi dimensioni di conflitto sociale e culturale e una sufficiente coscienza politica di tale condizione tanto da assumersi la responsabilità di voler essere parte attiva del tentativo di organizzare e “dirigere” tale esplosione di movimento verso la costruzione di nuove istituzioni della società e della stessa forma della politica.

Un caso abbastanza raro nella storia, che però quasi sempre, quando si è dato, indipendentemente dall’esito favorevole o meno dello scontro, ha creato elementi di discontinuità, ma di crescita in chi si batte per la trasformazione radicale della realtà, per “un altro mondo possibile”.

Il movimento dei movimenti ha avuto questa caratteristica di fondo e per questo è stato per un lungo periodo solido e di dimensione mondiale, nonostante la reazione potente e assolutamente inedita del “nemico” dopo l’evento unico dell’11 settembre.

Attac Italia, nella sua dimensione specifica, ha rappresentato meglio di tutti, questa caratteristica del movimento dei movimenti in una singola “cellula” dello stesso, e tutta la sua storia è piena in modo paradigmatico dei nodi centrali di quello sviluppo poderoso e virtuoso e anche dei motivi critici sostanziali della sua debolezza e dei suoi fallimenti.

Per questo vale la pena di farla e ricostruirla, ma soprattutto di “lavorarla” per trasformarla in un materiale utile nella nuova fase della globalizzazione e della lotta per la sua democratizzazione.

Photo credits: archivio fotografico del Comitato acqua pubblica Torino

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 47 di luglio-agosto 2021:  “20 anni di lotta e di speranza

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