di Daniel Tanuro
Dopo aver affermato a più riprese che da Cancun non bisognava attendersi nulla, i media dicono ora che il vertice climatico è stato un successo perché i governi si sono finalmente decisi ad agire affinché il riscaldamento climatico non superi i due gradi, vedi 1,5° Celsius dall’era preindustriale. Questo obiettivo teorico figura effettivamente nei documenti approvati dal vertice… ma, in pratica, i piani climatici elaborati dai diversi paesi implicano un aumento della temperatura da 3 a 4° C , entro la fine del secolo! In realtà dunque a Cancun non è stata presa alcuna decisione in grado di colmare l’abisso che esiste tra intenzioni e fatti concreti. Le decisioni vere sono rinviate al vertice di Durban, tra un anno. Fino ad allora, il protocollo di Kyoto e le sue timide garanzie sono ibernate più che mai ed i paesi capitalisti sviluppati si vedono garantita tutta una serie di mezzi per sfuggire a riduzioni drastiche delle loro emissioni. Al di la dei bilanci all’insegna dell’autocompiacimento, la minaccia per i poveri si precisa sempre di più.
L’obiettivo di un aumento massimo di 2°C figurava già nel testo negoziato a Copenaghen tra gli Stati Uniti ed i grandi paesi “emergenti”, Cina compresa. Ma mancava la precisazione “rispetto al periodo preindustriale”. Inoltre, e soprattutto, questo cosiddetto accordo, concluso dietro le quinte, non è stato ratificato dall’assemblea generale delle Nazioni Unite. La Bolivia, Cuba, il Venezuela, il Tuvalu e il Sudan si erano opposti e per più ragioni: 1°) per protestare contro la procedura seguita; 2°) per denunciare la mancanza di impegno da parte dei paesi sviluppati (palese nella loro intenzione di voler utilizzare la protezione delle foreste del Sud come alternativa alla riduzione delle emissioni al Nord); 3°) per esigere che il capitalismo assuma realmente il suo debito ecologico di fronte ai paesi poveri (invece di utilizzare la crisi climatica come pretesto per una politica neocoloniale di appropriazione delle risorse naturali). Vedremo come queste ragioni siano rimaste sostanzialmente valide nell’ambito del vertice di Cancun che, in gran parte, non ha fatto altro che trasformare il testo di Copenaghen in un accordo delle Nazioni Unite. Nel frattempo, il fronte del rifiuto si è ristretto. Cuba e il Venezuela sono rientrati nei ranghi, solamente la Bolivia ha mantenuto un’ opposizione di principio… La presidenza messicana lo ha cancellato decretando che la regola dell’unanimità non accordava il diritto di veto ad un solo paese….
L’abisso tra le intenzioni ed i fatti
A proposito dell’obiettivo generale, Cancun va un po’ più lontano rispetto a Copenaghen. Di fatto, pur pronunciandosi per un aumento massimo di 2°C, il testo adottato riconosce la necessità di giungere rapidamente ad “un rafforzamento dell’obiettivo globale a lungo termine, sulla base di una migliore conoscenza scientifica e anche in relazione all’aumento medio della temperatura globale di 1,5°C” (1). E’ la prima volta che l’ONU si pronuncia sulla “soglia di pericolosità” del riscaldamento, e l’inquietudine crescente del GIEC (Gruppo d’esperti intergovernativo sull’evoluzione del clima) trova finalmente eco nella comunità internazionale (su iniziativa dei piccoli Stati insulari cento paesi si sono pronunciati per un massimo di 1,5°C). Si tratta di un avvenimento estremamente importante, anche se continua ad esserci un abisso tra le belle intenzioni e i fatti.
A seguito del “accordo” di Copenaghen, circa 140 nazioni hanno elaborato un piano climatico e lo hanno trasmesso al segretariato della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite. Sulla base di questi documenti, e a condizione che tutti i paesi vi si attengano, la temperatura aumenterebbe di 3 – 4°C entro la fine del secolo – uno scarto quasi altrettanto grande, in meno di un secolo, di quello che ci separa dall’ultima glaciazione, più di 12’000 anni fa! Uno scarto che avrebbe sicuramente conseguenze sociali ed ecologiche catastrofiche….
Nel 2009 la quantità globale di gas a effetto serra annualmente nell’atmosfera era di poco superiore a 48 miliardi di tonnellate. Al ritmo attuale di aumento, e tenendo conto della recessione, si prospettano nel 2020 56 miliardi di tonnellate. Per avere una possibilità su due di non superare l’1,5 o i 2°C di aumento, le emissioni dovrebbero raggiungere il massimo al più tardi nel 2015 e poi diminuire e passare rispettivamente sotto il limiti di 40 o 44 miliardi di tonnellate prima del 2020 – cioè una riduzione dai 12 – 16 miliardi di tonnellate. Il piano climatico dei governi oscilla invece solo tra i 3 e i 4,3 miliardi di tonnellate. E’ dunque indispensabile una diminuzione supplementare che va da dagli 8 ai 13 miliardi di tonnellate…(2)Questo sforzo dovrebbe essere realizzato dai paesi sviluppati per più ragioni: 1°) Perché sono i principali responsabili del riscaldamento climatico. 2°) Perché – ma chi ne è a conoscenza? – i piani climatici dei paesi in via di sviluppo sono conformi alle indicazioni del GIEC (uno scarto dal 15 al 30% rispetto al piano base di riferimento), mentre quelli dei paesi sviluppati non corrispondono neppure alla parte bassa dalla forbice indicata dagli esperti (siamo al 20%, mentre il GIEC raccomanda una riduzione netta dal 25 al 40%) (3).
Tre metodi per aggirare le decisioni
A questo punto del nostro ragionamento, va ricordato che l’obiettivo di tonnellate di riduzione delle emissioni di 8 – 13 miliardi deve essere analizzato tenendo conto del fatto che il Protocollo di Kyoto offre ai paesi sviluppati tre possibilità di aggirare le prescrizioni stabili, permettendo loro di rimpiazzare riduzioni reali delle loro emissioni con riduzioni fittizie:
la prima forma di aggiramento è legata al fatto che la negoziazione del Protocollo ha dato il via ad una distribuzione molto generosa dei diritti di emissione. Come è noto, alcuni paesi dell’Est hanno ricevuto diritti calcolati in base alla quantità di gas a effetto serra emesso dall’URSS prima della sua caduta economica. Di conseguenza, la Russia, l’Ucraina e la Bielorussia dispongono oggi di enormi quantità di diritti non utilizzati che possono rivendere sul mercato del carbone. Le eccedenze corrisponderebbero in totale a 2 miliardi di tonnellate di gas a effetto serra. Alla fine del primo periodo di impegno di Kyoto, nel 2012, bisognerà decidere se queste eccedenze potranno ancora essere scambiate oppure no;
la seconda possibilità di aggiramento degli accordi concerne l’assorbimento del carbone da parte del suolo e delle foreste. Secondo il protocollo di Kyoto, i paesi sviluppati possono contabilizzare come riduzione delle emissioni il maggior assorbimento di gas che deriva da un cambiamento dell’utilizzo del suolo o da un aumento della superficie delle foreste (da notare che gli esuberi di carbone causati da un utilizzo meno buono del suolo o da una deforestazione non devono essere calcolati come emissioni!). Si stima che i paesi ricchi dispongano così di una riserva che corrisponde a 0,5 miliardi di tonnellate di gas a effetto serra;
la terza possibilità è costituita dalla facoltà dei paesi sviluppati di compensare le loro emissioni con misure destinate a ridurre i rifiuti – o ad accrescere l’assorbimento – di gas a effetto serra nei paesi del Sud o in transizione. E’ quello che viene chiamato “meccanismi di progetto” il più conosciuto e importante dei quali è il famoso Meccanismo di sviluppo pulito (MSP). Il rischio maggiore è che, da una parte, la compensazione sia solo teorica (alcuni specialisti stimano che sia il caso una volta su due, in particolare nella compensazione per mezzo di progetti forestali), dall’altra che le riduzioni vengano contabilizzate due volte (una volta al paese sviluppato, e una volta al paese che ospita il “meccanismo di progetto”).
Più ambizioni, meno impegno
Secondo lo studio del Climate Action Tracker richiamato in precedenza, queste tre possibilità permetterebbero ai paesi sviluppati di raggiungere gli obiettivi dei loro piani climatici senza adottare misure supplementare fino al 2020 e senza ridurre le loro emissioni reali. Ed allora delle due una: o si eliminano le possibilità di aggirare le disposizioni concordate oppure si deve prendere atto dello scarto tra quello che è necessario e quello che è stato deciso. In questo senso il Nord del mondo deve fare sforzi di recupero non a livello degli 8 – 13 miliardi di tonnellate, ma almeno di 10,5 – 15,5 miliardi di tonnellate. Su questo aspetto cruciale, Cancun è rimasto in una situazione più che ambigua: da una parte il vertice “fa pressione sui paesi sviluppati affinché aumentino la loro volontà di ridurre le emissioni” per essere nei parametri dal 25 al 40% di riduzioni nel 2020, così come richiesto dal GIEC. Dall’altra, suggerisce concretizzare questa maggiore volontà “prendendo in considerazione le implicazioni quantitative delle attività forestali e dei cambiamenti di sfruttamento del suolo, dello scambio dei diritti, dei meccanismi del progetto e del passaggio dei diritti dal primo al secondo periodo di impegno” . In altre parole: fate finta di fare maggiori sforzi, anche se in realtà ne fate di meno!
Un’ulteriore possibilità di aggirare le disposizioni concordate è rappresentato dalla pipe-line … che permetterebbe di non fare alcuno sforzo. Secondo questo concetto, non solamente le piantagioni di alberi ma anche la semplice protezione delle foreste esistenti potrebbe essere considerata una compensazione delle emissioni dei paesi sviluppati.Su questo aspetto bisogna tener conto di alcune considerazioni. In primo luogo è rivelatore e colpisce il fatto che l’arresto della deforestazione (che concerne solo il Sud) sia, come a Copenaghen, la sola misura concreta evocata per lottare contro i cambiamenti climatici (provocati soprattutto dal capitalismo del Nord).
Inoltre, se è esatto che il blocco della deforestazione nei paesi del Sud permetterebbe di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 15% circa e forse più, sarebbe inaccettabile che ciò creasse crediti di carbone che le grandi imprese del Nord potrebbero acquistare a buon mercato con lo scopo di non pagare più cara la riduzione delle loro emissioni. Su richiesta della Bolivia, i documenti approvati a Cancun non perorano questa soluzione…ma neppure la respingono. Nell’attuale contesto neoliberale, non è forse evidente che una simile posizione equivale di fatto ad un ” via libera”? Poiché le piantagioni di alberi danno diritto a dei crediti, perché non la protezione delle foreste? Il programma REDD (Ridurre le Emissioni da Deforestazione e Degrado) è chiaramente orientato in questo senso. Anticipando l’avvio di numerosi progetti privati di “protezione delle foreste” – che implicano l’espulsione di popoli indigeni – alimentano già un mercato volontario di crediti di carbone (4). Occorre dunque diffidare quando Cancun auspica di “aumentare il livello di ambizione dei meccanismi di mercato, compreso l’utilizzo del suolo, i cambiamenti di sfruttamento dei terreni e le attività forestali” ed “incoraggia tutte le parti a trovare mezzi utili per ridurre la pressione umana sulle foreste…”.
Kyoto ibernato, la Banca Mondiale alle finanze
Mentre ci si impegna in modo chiaro per favorire l’utilizzazione di tutte le scappatoie consentite dall’accordi di Kyoto, oltre che una loro estensione (la risoluzione chiede che nei prossimi anni vengano elaborati nuovi meccanismi di mercato) il vertice evita attentamente di pronunciarsi sull’avvenire del protocollo. Le ambiguità delle decisioni prese sono di un livello veramente notevole. È proprio nel documento relativo a Kyoto che figura la frase: “far pressione sui paesi sviluppati affinché aumentino le loro ambizioni in materia di riduzione delle emissioni”. Questo stesso testo stipula anche che l’anno 1990 deve costituire il punto di riferimento per misurare gli sforzi realizzati ed esprime la speranza che non vi siano interruzioni tra il primo ed il secondo periodo di impegno. I paesi del Sud, che esigono il mantenimento del protocollo come garanzia di una “leadership climatica” del Nord, sembrano in questo modo ottenere un successo. D’altra parte Cancun dà il proprio accordo affinché il gruppo di lavoro sull’impegno futuro dei paesi sviluppati termini i suoi lavori “il più presto possibile”. La risoluzione adottata esalta i “progressi realizzati” in seno a questo gruppo…. formulazione più che ambigua… Prima di tutto poiché il Giappone, il Canada e la Russia hanno detto no ad ogni prolungamento di Kyoto, con la motivazione che i paesi sviluppati provocano solo il 27% delle emissioni. Poi, e soprattutto, perché gli Stati Uniti, principali responsabili dei cambiamenti climatici, le cui emissioni sono aumentate del 30% tra il 1990 e il 2005, non hanno adottato obiettivi di riduzioni entro il 2020…. e non lo faranno in un futuro prossimo. E’ vero che gli USA, non avendo ratificato Kyoto, non si sentono toccati dalla formula sui “progressi realizzati”…. In questo ambito, è significativo che la piccola Bolivia sia additata quando, tutta sola, osa difendere gli interessi dei popoli indigeni, mentre la superpotenza statunitense non riceve rimproveri per la sua politica climatica criminale.
La stampa ha parlato molto del “Fondo verde climatico” , inaugurato dal vertice per aiutare i paesi in via di sviluppo a far fronte alle conseguenze del riscaldamento. Sull’argomento proponiamo quattro considerazioni importanti: 1°) l’obiettivo di cento miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020 figurava già nell’”accordo di Copenaghen”; 2°) Cancun non ha chiarito le ambiguità di questa proposta, in particolare per quanto riguarda l’origine dei fondi (privati o pubblici?), la loro natura (donazioni o prestiti?) e il modo in cui verranno elargiti (5); 3°) La risoluzione si accontenta di affermare che “una parte significativa di questo finanziamento si effettuerà con il fondo verde climatico”; 4°) il consiglio esecutivo del fondo sarà costituito solo per il 50% da rappresentanti dei paesi in via di sviluppo, mentre la Banca Mondiale viene designata come amministratore…. Anche se per un periodo transitorio di tre anni, non vi sono dubbi che essa che si impegnerà per dare al fondo un orientamento conforme alla sua politica neoliberale e neocoloniale di appropriazione capitalista delle risorse naturali.
Un nuovo regime climatico
I negoziati climatici riprenderanno nel quadro multilaterale delle Nazioni Unite. Ma Cancun non fa altro che ratificare l’accordo concluso un anno fa tra gli Stati Uniti e i grandi paesi emergenti, con il sostengo dell’Unione Europea e del Giappone. Tutti i problemi ristagnano….Sono semplicemente rimandati alle prossime conferenze tra le parti, primo appuntamento la COP17, che si terrà a Durban nel 2011. Un non avvenimento? No, perché l’accento è ora posto su un nuovo regime climatico. Il sistema di Kyoto – ed era il suo aspetto positivo – attribuiva ai paesi sviluppati gli obiettivi obbligatori di riduzione delle emissioni (abbinati a penalità in caso di non rispetto degli impegni presi) è ora rimpiazzato di fatto da un meccanismo – puramente liberale – di impegni volontari dei grandi inquinatori del Nord e del Sud, sottomessi a verifica internazionale. Il fatto che la Cina abbia accettato una procedura di controllo “non invasiva, non punitiva, e rispettosa della sovranità nazionale” ha reso possibile questa svolta, ed ha consegnato alla coppia sino-statunitense che domina il pianeta, il controllo delle negoziazioni climatiche, relegando la UE al ruolo di comparsa. Nel contempo, il concetto chiave di “responsabilità comune ma differenziata” tende ad attenuarsi, i paesi poveri sono ancor più emarginati e la pressione degli esperti scientifici sui governi si allenta a favore di una sana considerazione delle sacrosante esigenze della redditività e della competitività delle multinazionali.
Unici vincenti, “i mercati” vedono aprirsi dappertutto prospettive succose. Ecco in che cosa consiste il “successo” di Cancun… Per gli sfruttati e le sfruttate del mondo questo vertice non fa che rafforzare la necessità urgente di una mobilitazione sociale contro la distruzione del clima, causata dal produttivismo capitalista e dalla sua bulimia di combustibile fossile.
Che il dramma terribile che l’anno scorso ha colpito in Pakistan venti milioni di donne e di uomini, possa motivare ciascuno/a a rendersi conto della portata della posta in gioco.
1. Le decisioni del vertice sono sul sito della Convenzione quadro http://unfccc.int/2860.php2. Climate Action Tracker, ” Cancun Climate Talks : Keeping Options Open to Close the Gap “, PIK, Ecofys, Climate Analytics, [http://www.climateactiontracker.org/]3. Frank Jotzo, “Comparing the Copenhagen Emission Reduction Targets”, CCEP Working Paper 1.10, Ottobre 2010.4. Le Monde 11/12/2010, “Les forêts tropicales, futur eldorado des marchés ’carbone’ “.5. D. Tanuro, ” L’impossible capitalisme vert “, épilogue sur Copenhague (Ed. La Découverte, 2010).