Gli effetti visibili della crisi attuale ci aiutano a sottolineare alcune criticità di questo sistema di sviluppo. Non vogliamo però farci forte di un “noi ve lo avevamo detto” tutto rivolto al passato, vorremmo invece discutere delle prospettive per il futuro, del perché alcune delle soluzioni adottate ci sembrano perpetuare i meccanismi che hanno portato al deterioramento delle condizioni di molti e alla salvaguardia delle rendite di posizione di pochi.
È in questa ottica che proponiamo una riflessione sulle politiche e sull’assetto istituzionale dell’Unione europea che è stata, è, e probabilmente continuerà ad essere un soggetto rilevante nella promozione di un certo tipo di sviluppo. Le ragioni del mercato hanno pervaso qualsiasi ulteriore ambito di competenza dell’UE, dal lavoro al sociale, dalla difesa all’ambiente, portando una forte regressione sociale e scavando ancora più profondamente quel deficit democratico che caratterizza l’architettura istituzionale comunitaria. La cieca perseveranza dei governi di tutti gli stati membri nel non voler ascoltare le voci di dissenso levatesi intorno al trattato di Lisbona rendono oggi l’UE ancora più debole di fronte al crollo del castello di carte della crisi finanziaria.
È maturo il tempo per una riflessione seria e non reticente sulle prospettive future dell’UE!
Il neoliberismo è stato un progetto di classe camuffato da una retorica sulla libertà individuale e il libero mercato. Ma questa retorica era solo un mezzo per restaurare e consolidare il potere di classe, e in questo senso il progetto neoliberista è stato un successo, tanto che le politiche neoliberiste sono iscritte nel profondo dell’attuale costruzione europea; di un’Unione europea le cui politiche mettono i vari stati membri in una costante gara al ribasso per quanto riguarda diritti e condizioni del lavoro, normative sociali, ambientali e fiscali a tutto vantaggio delle imprese. Un’Europa che spinge sulla privatizzazione e la riduzione dello stato sociale e del ruolo del pubblico in generale. Un’Europa il cui obiettivo è sempre meno l’omogeneizzazione delle condizioni dei suoi cittadini, ma che è invece sempre più orientata a creare una sorta di supermarket in cui le imprese possono scegliere come collocare le loro attività in paesi a diversissime condizioni socio-economiche. Questa Europa non è la soluzione alla crisi, è anzi un elemento che può aggravarla.
L’obbligo del pareggio di bilancio, che grazie ai criteri di Maastricht si trasforma in obbligo di surplus positivo, accrescerà i tagli allo stato sociale e le privatizzazioni.. Un’Europa che rafforza le sue capacità militari, che si fa sempre più fortezza contro i migranti ai suoi confini e securitaria al proprio interno.
Ma dire che questa Europa è parte del problema non vuol dire abbandonare l’idea di uno spazio europeo per ripiegarsi su visioni nazionalistiche e protezionistiche che favoriscono solamente i capitalismi nazionali.
La crisi che viviamo è non solo una crisi finanziaria ma anche una crisi profonda del nostro sistema economico basato sullo sfruttamento per massimizzare i profitti.La finanza non è altro che il paradigma di un sistema in cui l’obiettivo e ricavare sempre più denaro dal denaro
È necessaria una profonda e radicale alternativa di sistema, che soddisfi bisogni sociali che in questi decenni sempre meno hanno trovato risposta e non distrugga l’ambiente.Una tale alternativa non è pensabile soltanto in uno stato nazionale. Lo spazio europeo diventa quindi la condizione indispensabile per pensare ad un alternativa radicale di società.
Di fronte ad un dibattito, sollecitato dalla scadenza delle elezioni europee, tutto in salsa italiana e basato sulle contrapposizioni tra leader, proponiamo il percorso intrapreso da Attac Italia con gli altri Attac d’Europa.
Percorso non facile e che non è giunto a conclusione ma che speriamo possa contribuire ad avvicinarci alla realizzazione di un’Altra Europa.
Un percorso che comincia a delineare i primi indispensabili passi per costruire un’Altra Europa non solo possibile ma, soprattutto, necessaria.
ATTAC ITALIA
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