Voto NO. Ma il NO non mi basta

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di Marco Bersani, Attac Italia 

Domenica e lunedì il popolo italiano sarà chiamato a confermare la proposta di modifica costituzionale che prevede la riduzione del numero dei deputati e dei senatori della Repubblica.

I fautori del Sì considerano la loro vittoria un colpo inequivocabile alla “casta” politica, con un risparmio dei costi e un aumento dell’efficienza dei lavori parlamentari.

Facile rispondere portando al paradosso le loro motivazioni: se i parlamentari fossero aboliti e ci fosse un uomo solo al comando, la “casta” non esisterebbe più, il risparmio dei costi della politica sarebbe ancora più importante e l’efficienza (se misurata sui tempi delle decisioni prese) sarebbe ai massimi livelli. Con un solo problema: saremmo in una dittatura.

Per contro, gran parte dello schieramento del NO, forse anche per esigenze tattiche, rischia di collocarsi su motivazioni puramente difensiviste, col rischio che una vittoria del No, ovviamente auspicabile, sarebbe salutata come un salvataggio della democrazia e nessuna riflessione sul perché da tempo essa non sia più tale.

Basti una data ad esemplificare il ragionamento: 12-13 giugno 2011, quando oltre 27 milioni di elettori si recarono alle urne e il 95% di loro (corrispondente alla maggioranza assoluta dell’intero corpo elettorale) decise che l’acqua era un bene comune non privatizzabile e che il servizio idrico doveva essere gestito senza profitti di mercato.

Cosa c’è di più sovrano di un referendum popolare? Si può qualificare, nella sostanza, democrazia quella che non lo rispetta e non lo attua, in ossequio agli interessi delle lobby finanziarie?

Di fatto, l’evidenza più lampante di questi anni è la totale separatezza tra la sfera politico-istituzionale e la concreta vita delle persone, che, dopo anni di espropriazione dei diritti, di privatizzazione dei beni comuni, di vite precarizzate e completamente eterodirette dalle regole del mercato, si ritrovano dentro un simulacro di democrazia, chiamati quasi ogni volta solo a scegliere fra danni, con l’unico auspicio di sceglierne il minore, che poi minore non è mai, perché porta fieno alla cascina del male peggiore.

Qualcuno davvero pensa che questa democrazia rappresentativa sia sufficiente a raccogliere gli insegnamenti della pandemia, che ci chiedono una radicale inversione di rotta sulle scelte economiche, ecologiche e sociali dei prossimi anni, se non vogliamo che la vita sul pianeta sia compromessa e/o suddivisa in vite degne e vite da scarto?

Qualcuno davvero pensa che oggi le scelte fondamentali siano appannaggio delle istituzioni elettive, locali e nazionali, e che quindi basti difenderle per poter dire di vivere dentro una democrazia?

Domenica e lunedì andiamo tutte e tutti a votare NO.

Ma diciamoci subito quando e dove ci vediamo perché lo stato di cose presenti non va difeso, va sovvertito.

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