E’ stato approvato mercoledì scorso alla Camera dei Deputati il provvedimento che istituisce, fino all’approvazione di una nuova legge di riordino della gestione del servizio idrico integrato, una moratoria sui processi di affidamento del servizio a soggetti privati e a società miste pubblico-privato, compresi quelli attualmente in corso.
Un importantissimo provvedimento, che segna una prima vittoria da parte dei movimenti per l’acqua, che ne avevano chiesto l’approvazione sin dalla manifestazione nazionale del 10 marzo scorso a Palermo.
E che segna un primo chiaro “stop” a quanti, nelle Regioni e nei territori, avevano trasversalmente tentato di accelerare i processi di privatizzazione, nel tentativo di far trovare di fronte al fatto compiuto la grande onda della campagna per la ripubblicizzazione dell’acqua, avviata dai movimenti con la raccolta firme per la legge d’iniziativa popolare che sta attraversando ogni angolo del paese.
Dalla Sicilia che a colpi di commissario ha tentato di fermare le lotte delle popolazioni, delegittimando gli stessi enti locali; alla Lombardia che con la nuova legge regionale -impugnata dal Governo, ma resa operativa nei territori- ha istituito l’obbligo della messa a gara del servizio idrico; alla Toscana, dove viaggia a grandi passi la costruzione di un’unica holding regionale; così come in tutte le altre regioni, i liberisti di centrodestra e di centrosinistra hanno cercato di rispondere alla forte consapevolezza sociale e alla diffusa capacità di mobilitazione che i movimenti in questi anni hanno saputo mettere in campo, con le lotte nei territori, la realizzazione del Forum dei Movimenti per l’Acqua e il lancio della legge d’iniziativa popolare.
Ma il mercato si può fermare e la politica può riprendere il suo primato sull’economia : questo dice il provvedimento di moratoria, questo dicono le lotte dei movimenti.
E solo dal riconoscimento dei beni comuni -a partire dall’acqua- come elemento fondativo del contratto sociale può riprendere la costruzione di una democrazia e di una politica dal basso, fuori da quell’orizzonte della solitudine competitiva, cui l’impersonalità del mercato vorrebbe relegare le esistenze di tutte/i noi.
La moratoria sull’acqua è un primo passo, che dà ancor più forza alle ragioni dei movimenti per l’acqua, che in questi mesi hanno riempito il paese con un’enorme esperienza di autoeducazione popolare orientata all’azione, attraverso la campagna per la legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua : abbiamo superato le 300.000 firme e contiamo in quest’ultimo mese di raccoglierne ancora diverse decine di migliaia.
Per riaffermare definitivamente come l’acqua sia un bene comune e un diritto umano universale, un bene finito da tutelare per questa e per le future generazioni. Da sottrarre al mercato e alle leggi della concorrenza e da restituire alla gestione pubblica e partecipativa delle comunità locali.
E’ una battaglia di civiltà, di cui la moratoria di oggi non costituisce che una prima tappa; l’approdo finale dovrà essere l’approvazione della legge d’iniziativa popolare che propugna l’uscita di tutte le SpA, a qualsiasi titolo, dalla gestione del servizio idrico; la costruzione di aziende speciali consortili per la gestione pubblica dello stesso; l’istituzione di forme di partecipazione dei lavoratori e dei cittadini alle scelte fondamentali di tutti gli atti di gestione.
E, visto che si avvicinano i tempi per la presentazione del Dpef (Documento di programmazione economico-finanziaria), ai seguaci presenti nel Governo dell’ideologia delle grandi opere pubbliche, diciamo subito quale sarebbe l’unica grande opera pubblica di cui avrebbe bisogno il Paese : un grande piano di riassetto idrogeologico del territorio e il riammodernamento di tutte le reti idriche e gli acquedotti sul territorio nazionale.
Servono i soldi? Certamente.
Basta toglierli allo sperpero dello scellerato progetto TAV e alle spese militari.
Normali scelte di buon senso.
Per non dover fare la danza della pioggia ad ogni approssimarsi della stagione estiva.
Per non dover dichiarare “il paese è malato”, quando si scopre, alle elezioni, che due terzi dei voti sono evaporati.
Marco Bersani
Attac Italia