Una diga d’acqua contro le privatizzazioni che aggirano l’esito referendario- n.16, novembre dicembre 2014

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di Paolo Carsetti (Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua)

Oramai è chiaro che il Governo Renzi ha definito una strategia ben precisa per il “rilancio” del nostro paese: un attacco generalizzato ai diritti e alla democrazia.

Da una parte, tramite il decreto Poletti, il Job Act e la relativa riforma dell’art. 18, si prova a cancellare qualsiasi forma di garanzia e diritto nel mondo del lavoro. Dall’altra, attraverso il combinato disposto del decreto Sblocca Italia e legge di stabilità, si ritorna a percorrere la vecchia strada delle privatizzazioni dell’acqua e dei servizi pubblici locali.

In generale, quindi, si può affermare come ci si trovi di fronte ad una regressione circa le scelte fondamentali che attengono le politiche economiche e sociali, impregnate di una medesima matrice rispetto alla cessione di sovranità al mercato, ai profitti e ai grandi monopoli privati, che rischia di riportarci all’inizio del secolo scorso.

Si proverà, quindi, in questo breve scritto a ricostruire le tappe di tale processo.

Come già era successo nel 2009, quando la crisi si era da poco manifestata in tutta la sua gravità, anche oggi s’invoca a gran voce l’apertura di nuove fette di mercato alle lobbies economiche e finanziarie che puntano all’accaparramento di tutti i beni comuni.

Nel 2011, però, la straordinaria campagna referendaria e la schiacciante vittoria del 12 e 13 giugno hanno spazzato via il tentativo del Governo Berlusconi di privatizzare definitivamente l’acqua e i servizi pubblici locali. Ciò a dimostrare che le italiane e gli italiani, a maggioranza assoluta, non intendono cedere al mercato e ai profitti beni fondamentali alla vita e che garantiscono l’esistenza di una comunità.

Nonostante l’esito inequivocabile di quella consultazione, in questi mesi il Governo Renzi ha messo in campo una rinnovata strategia, più subdola e fine, che mira a raggiungere lo stesso obiettivo di mercificazione e privatizzazione dei beni comuni.

Ad inizio novembre, a colpi di fiducia, è stato convertito in legge il decreto “Sblocca Italia” che segnala un deciso cambio di fase nelle politiche governative costruendo un piano complessivo di aggressione ai beni comuni tramite il rilancio delle grandi opere, misure per favorire la dismissione del patrimonio pubblico, l’incenerimento dei rifiuti, nuove perforazioni per la ricerca di idrocarburi e la costruzione di gasdotti, oltre a semplificare e deregolamentare le bonifiche.

La continuità con il passato si apprezza in particolate nel fatto che questo provvedimento punta di nuovo alla privatizzazione del servizio idrico. Infatti, si modifica profondamente la disciplina riguardante la gestione dell’acqua arrivando ad imporre un unico gestore in ciascun ambito territoriale e individuando, sostanzialmente, nelle grandi aziende e multiutilities, di cui diverse già quotate in borsa, i poli aggregativi.

Si svelano, così, le reali intenzioni del Governo, ovvero la diretta consegna dell’acqua e degli altri servizi pubblici locali agli interessi dei grandi capitali finanziari. La strategia governativa, pur ammantandosi della propaganda di riduzione degli sprechi e dei costi della politica mediante lo slogan “riduzione delle aziende da 8.000 a 1.000”, non garantirà certamente l’interesse collettivo ma solo quello economico e di massimizzazione dei profitti delle grandi aziende multiutilities che già gestiscono acqua, rifiuti e trasporto pubblico locale.

Il «salto di qualità», però, il Governo lo compie con la legge di stabilità tramite la quale si favoriscono esplicitamente le privatizzazioni, incentivando la cessione di quote di partecipazione nelle aziende che garantiscono servizi pubblici da parte degli Enti Locali, e più in generale le operazioni di fusione. Si arriva a costruire un vero e proprio ricatto nei confronti dei comuni visto che si consente loro di usare fuori dai vincoli del patto di stabilità i proventi dalla dismissione delle quote azionarie, giungendo così a relegarli esclusivamente ad un ruolo di “controllo” esterno o con quote di assoluta minoranza.

Il combinato disposto dei due provvedimenti costruisce, quindi, un meccanismo per cui, attraverso processi di aggregazione e fusione, i quattro colossi multiutilities attuali – A2A, Iren, Hera e Acea – già collocati in Borsa, potranno inglobare tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici, divenendo i “campioni” nazionali in grado di competere sul mercato globale.

In questo nuovo scenario diversi sono i soggetti interessati a investire nei servizi pubblici locali, ma il regista sembra unico, ovveroCassa Depositi e Prestiti, attraverso finanziamenti diretti, con i propri fondi come il Fondo Strategico Italiano (500 milioni a disposizione per favorire le fusioni territoriali) e F21 già attivo nei servizi idrici, nella distribuzione del gas, energie rinnovabili, rifiuti, in autostrade, aeroporti e telecomunicazioni. Il tutto con interessanti joint venture con capitali stranieri, a partire dal colosso cinese State Grid Corporation of China, che ha acquisito il 35% di Cdp Reti, società controllata da Cassa Depositi e Prestiti.

Tale piano, assieme alle riforme istituzionali e a quelle del mondo del lavoro, svela l’attacco generalizzato ai diritti e alla democrazia.

Infatti, si contraddice esplicitamente la volontà popolare espressa con i referendum del 2011, si limitano gli Enti Locali nella possibilità di gestire servizi pubblici essenziali e li si svuota di ogni sovranità rispetto alla loro funzione fondamentale di presidi di democrazia di prossimità accentuando ancor di più la loro involuzione autoritaria.

La battaglia per il diritto all’acqua che il il movimento per l’acqua porta avanti da quasi 10 anni, si inserisce esattamente in questo contesto. E’ sempre più evidente che oggi si rischia di essere costretti ad una posizione difensiva, dovuta ad un nuovo, profondo e determinato attacco.

Risulta, quindi, fondamentale riattivare l’interlocuzione, dove possibile, con gli Enti Locali che continuano a perdere la loro autonomia decisionale ed economica, attraverso i vincoli del patto di stabilità e la riorganizzazione conseguente alla legge Del Rio sulle Provincie e città metropolitane.

Inoltre, bisogna ripartire dalla ricchezza di quello che il movimento per l’acqua ha saputo mettere in campo negli ultimi tre anni, per rilanciare una prospettiva nazionale per il diritto all’acqua e per la difesa dei beni comuni.

Più in generale per opporsi a questa strategia governativa diviene determinante costruire un’alleanza sociale per i beni comuni che, a partire dalla valorizzazione delle singole lotte, dia vita ad una mobilitazione sociale diffusa e ampia.

In queste ultime settimane, diversi sono i segnali di una rinnovata capacità di reazione: dalla partecipatissima manifestazione nazionale della CGIL del 25 Ottobre, alla straordinaria mobilitazione, costruita da un’ampia coalizione sociale, che ha visto scendere in piazza decine di migliaia di persone per lo sciopero sociale del 14 novembre.

Il tempo dell’acqua e dei beni comuni è ora, alla nostra passione e intelligenza saperlo cogliere!

Tratto dal Granello di Sabbia di Novembre – Dicembre 2014: “Riconversione ecologica”, scaricabile QUI

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