Tobin Tax ascesa e caduta di un’imposta figlia delle crisi

Condividi:

Loading

Fonte: Corriere della Sera di Domenica 8 novembre

La storia
Tobin tax, ascesa e caduta di un’imposta figlia delle crisi
Un esperimento condotto negli Anni Ottanta in Svezia , poi abbandonato, provocò un crollo dei volumi e la tassa venne aggirata dagli operatori

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO — Ai politici che devono vincere le elezioni — prima o poi tutti — le proposte con un nemico nel mirino piacciono. Il primo ministro britannico Gordon Brown che si dice favorevole a una tassa internazionale sulle transazioni finanziarie può sorprendere: sarebbe un’imposta che colpisce la City, che ribalterebbe anni di politiche pro-mercato seguite da Downing Street e che nel Regno Unito è spesso stata considerata impraticabile. Brown ha però disperatamente bisogno di consenso, l’anno prossimo rischia di guidare il New Labour al disastro elettorale: l’idea può trovare il consenso di elettori inferociti con le banche dopo la crisi finanziaria. La stessa tassa, d’altra parte, l’ha sostenuta fino a settembre Peer Steinbrück, l’ex ministro socialdemocratico delle Finanze tedesco in quei giorni in altrettanto disperata campagna elettorale (senza successo). E’ che questa imposta sui movimenti finanziari — non sui profitti ma semplicemente sulle operazioni effettuate —, spesso chiamata «Tobin Tax», con la crisi finanziaria è tornata prepotente nel dibattito. Oggi fa presa perché sembra una punizione per i banchieri e i finanzieri avidi che con le loro manovre hanno messo in guai seri l’economia mondiale.

L’ORIGINE – James Tobin, il Premio Nobel per l’Economia che per primo la propose nel 1972, in realtà la finalizzava alla necessità di proteggere i Paesi poveri dalle speculazioni sulle valute. Dopo che il presidente americano Richard Nixon dichiarò, il 15 agosto 1971, la non convertibilità del dollaro in oro, Tobin suggerì un nuovo sistema internazionale che comprendeva la tassa — prima pensò all’1%, poi la preferì tra lo 0,1 e lo 0,5% — con l’obiettivo di disincentivare la speculazione che entrava e usciva velocemente dalle valute dei Paesi deboli quando questi erano in crisi e li destabilizzava. Avanzata la proposta, non se ne fece praticamente nulla. Un esperimento condotto negli Anni Ottanta in Svezia — con imposte elevate su azioni, obbligazioni e derivati — fu abbandonato nel 1991 perché aveva provocato un crollo dei volumi trattati ed era stata aggirata dagli operatori.

NUOVO INTERESSE – Una nuova ondata di interesse sulla Tobin Tax arrivò però sul finire degli Anni Novanta, dopo le crisi finanziarie in Asia, Russia, Sudamerica. Nel 1997, il direttore di Le Monde Diplomatique, Ignacio Ramonet, lanciò l’idea di creare un movimento a favore della tassa che avrebbe dovuto «disarmare i mercati»: nacque il movimento «Attac». Il dibattito sui meriti e i demeriti della proposta si accese ma nel 2001, Tobin, un anno prima di morire, in un’intervista al settimanale tedesco Der Spiegel si dissociò da questo movimento che ha «sequestrato il mio nome», disse. Anche in quel caso l’idea non si sollevò da terra. Questa volta, in teoria, la misura potrebbe essere adottata. Ma non sarà facile. Come ha detto Brown, la Gran Bretagna non ne farà nulla se non assieme ai partner principali: il fatto è che l’Unione europea forse potrebbe essere convinta, ma dagli Stati Uniti espressioni politiche favorevoli non si sono ancora registrate, anzi. E, se non ci fosse un consenso globale, la tassa avrebbe solo l’effetto di spostare le transazioni da una piazza costosa a una meno costosa. Inoltre, molti economisti la ritengono più dannosa che altro in quanto diminuirebbe la liquidità dei mercati, li renderebbe più volatili, favorirebbe le grandi banche, rafforzerebbe l’idea che le transazioni low-cost sono negative. Soprattutto non farebbe nulla per contrastare il troppo debito in circolazione, l’incapacità di valutare i rischi e le dimensioni eccessive delle banche: cioè non toccherebbe le ragioni di base della crisi. A molti sembra solo un modo di cercare l’applauso.

Danilo Taino
08 novembre 2009

L’ex ministro Forte
«Non funziona è solo polvere negli occhi»
Basterebbe applicare le regole esistenti. La Tobin Tax è solo polvere negli ingranaggi del mercato».

MILANO — «Basterebbe applicare le regole esistenti. La Tobin Tax è solo polvere negli ingranaggi del mercato». Francesco Forte stigmatizza l’idea lanciata da Gordon Brown al G20 di St. Andrews di una tassa globale sulle transazioni finanziarie. L’economista, ex ministro delle Finanze, ricorda che l’imposta «Tobin l’ha teorizzata, ma non si è mai andati al di là della teoria». E il motivo, secondo Forte è duplice: «Non avrebbe effetti significativi e turberebbe gli scambi internazionali». In più «i sistemi di scambio elettronico renderebbero dal punto di vista operativo molto complicata la sua applicazione». Insomma, l’idea di tassare le transazioni finanziarie globali non è praticabile secondo l’economista, per il quale «non è vero che la Tobin Tax renderebbe le banche o gli operatori finanziari più responsabili. Per questo basterebbe far rispettare le regole di Basilea 2 e applicarle anche agli operatori finanziari non bancari». «Per me — aggiunge — la proposta di Brown è solo una misura dirigista universale che non ha nulla a che fare con il buon funzionamento del mercato. E’ figlia della crisi, perché è nelle fasi di difficoltà che emergono le spinte dirigistiche e protezionistiche. Più che normalizzare le transazioni, mi sembra piuttosto un modo per ostacolare gli scambi finanziari».

Federico De Rosa08 novembre 2009

3) IL VERTICE IN SCOZIA
Brown ora tassare la finanza
Lo stop del G20. Tremonti: la speculazione va fermata prima. Draghi: restare vigili e prudenti

Gordon BrownDAL NOSTRO INVIATO ST.ANDREWS (Scozia) – È finita con la decisa bocciatura da parte degli Usa ed un «no comment» generale, ma la proposta del premier britannico Gordon Brown al G20 dei ministri finanziari e dei governatori, fatta all’avvio del dibattito, è stata la notizia della giornata. «Una tassa sulle transazioni finanziarie» per far fronte ad eventuali futuri salvataggi delle banche da adottare «con urgenza», aveva chiesto Brown sollecitando un «accordo globale». «Non siamo pronti ad appoggiarla» ha però tagliato corto il segretario al Tesoro americano Tim Geithner stroncando così ogni possibilità d’intesa su questo terreno. «Non ne abbiamo discusso» ha glissato il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet mentre il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, nella sua veste di presidente del Financial stability board, se l’è cavata con un «no comment».

BLOCCARE LA SPECULAZIONE – Prudente anche il commento del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, poco propenso a valutare con interesse una proposta che evoca la vecchia «Tobin tax» e che «circola perlomeno da vent’anni», come ha detto rimandando valutazioni più specifiche ad una eventuale discussione del tema in sede europea. «La speculazione è meglio bloccarla prima che tassarla dopo» ha comunque osservato nella rapida conferenza stampa al termine del vertice. E sulla situazione dei mercati che al primo avvio dei segnali di ripresa dell’economia sono tornati a manifestare, a tratti, segni di euforia, Draghi ha sollecitato la necessità di «restare cauti e vigilare». «I mercati si stanno riprendendo, perché la situazione economica sta migliorando, in alcuni casi in fretta, più lentamente in altri. Bisogna vigilare perché non vogliamo che l’esperienza vissuta possa ripetersi» ha detto il governatore nel corso della conferenza stampa tenuta come presidente del Fsb, l’organismo internazionale che a St Andrews ha fatto il punto dei progressi nell’attuazione delle nuove regole finanziarie.

I BONUS AI MANAGER – Sui limiti ai bonus ai manager bancari innanzitutto per i quali l’Fsb preparerà «da qui a marzo» una «rassegna» sui paesi che si sono già mossi: «Dal vertice di Pittsburgh Italia, Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Canada hanno già iniziato a metterli in pratica» ha osservato Draghi che ha anche precisato come il settore bancario non sia adatto alle sorprese e occorra quindi usare cautela nel ritirare gli aiuti concessi durante la crisi. «Ci sono due tipi di banche, quelle che possono ormai camminare sulle proprie gambe e altre che dipendono ancora dal sostegno pubblico», ha spiegato. E del resto la prudenza nell’imboccare l’exit strategy è stata confermata anche dal comunicato del vertice scozzese. La situazione dell’economia, seppure in miglioramento, resta incerta: la ripresa è infatti «ineguale» e gravata «dai timori per la disoccupazione». I ministri finanziari e i governatori dei venti paesi più ricchi del mondo però, ed è questa la novità del dibattito al vertice di St. Andrews, si sono messi d’accordo per definire i piani di sostegno alla crescita e di uscita dalla crisi a partire da gennaio 2010. «Abbiamo preparato il materiale per decisioni che saranno prese l’anno prossimo», scadenze comprese, ha sintetizzato Tremonti. Disaccordo invece tra i ministri sul tema dei finanziamenti ai cambiamenti di clima in vista del vertice di Copenaghen.

Stefania Tamburello

4) Notizie correlate

LA TOBIN TAX CHE COS’È- La Tobin Tax prende il nome dal premio Nobel per l’economia James Tobin ( foto ) che la propose nel 1972. E’ una tassa che prevede di colpire con un’aliquota ridotta (dallo 0,05% fino a un massimo dell’1%), tutte le transazioni effettuate sui mercati valutari con l’obiettivo di stabilizzarli penalizzando la speculazione a breve termine. Il gettito, secondo Tobin, avrebbe creato delle risorse aggiuntive da destinare alla comunità internazionale. COME FUNZIONA- La Tobin Tax, in origine, consiste in una piccola imposta applicata al valore di ogni transazione che implichi la conversione da una valuta all’altra.
IL CASO BRASILE – Per scoraggiare la speculazione, che quest’anno ha provocato una rivalutazione del 30% della valuta locale, il real, con conseguente perdita di competitività, alla fine di ottobre il governo del Brasile ha introdotto una tassa del 2%, denominata Iof, sui flussi di capitali esteri. L’imposta si applica ai capitali destinati al mercato azionario e obbligazionario, mentre sono esenti gli investimenti diretti esteri.

Se sei arrivato fin qui, vuol dire che ti interessa ciò che Attac Italia propone. La nostra associazione è totalmente autofinanziata e si basa sulle energie volontarie delle attiviste e degli attivisti. Puoi sostenerci aderendo online e cliccando qui . Un tuo click ci permetterà di continuare la nostra attività. Grazie"