Il tavolo cultura, formazione e ricerca nasce dall’incontro di lavoratori del mondo della cultura, docenti, studenti medi e universitari, artisti e legati dall’esigenza di capire chi decide nell’ambito dell’istruzione e della produzione artistica. Vogliamo costruire uno spazio aperto alla città che, attraverso una fase di inchiesta, analisi e confronto, giunga ad elaborare soluzioni concrete per una gestione diversa e partecipata della cultura e della formazione per Napoli.
Chi decide?
Decide il mercato. Sull’istruzione pubblica decidono le aziende, i privati e le associazioni di categoria che hanno imposto i principi di mobilità, flessibilità e competitività con numerose riforme. Si è passati dalla cultura come strumento emancipativo dei giovani, alla formazione di una forza lavoro ben addestrata alla precarietà del mercato del lavoro. Mense, alloggi e borse di studio vengono considerate spese inutili in un’ottica aziendalistica. Nella scuola il finanziamento grava sempre più sulle tasche delle famiglie. Nell’università i criteri di valutazione ANVUR sulla ricerca spostano fondi dalle regioni svantaggiate del sud a quelle più ricche.
Artisti e lavoratori della cultura sono sempre più incalzati dai tempi del mercato delle grandi produzioni; i progetti indipendenti hanno sempre meno possibilità di emergere e di crescere, nella musica, nel teatro, nel cinema, nelle arti figurative. Nei percorsi di formazione si è costretti a piegarsi a logiche lavorative e formative di sfruttamento, offensive e ricattatorie nei confronti di un’intera generazione che ormai non ha più niente da perdere.
E tu cosa faresti?
Proviamo a far partire insieme uno spazio di discussione e decisione che sappia invertire la tendenza e che punti a valorizzare l’immenso patrimonio artistico e culturale di Napoli.
La scuola
Stiamo assistendo ormai da anni ad un continuo susseguirsi di riforme, dalla Zecchino-Berlinguer passando per la Gelmini fino ad arrivare alla “Buona Scuola”. Nel corso di quasi 20 anni si sono alternati governi di destra e di sinistra, tutti caratterizzati dallo stesso indirizzo: l’applicazione di un’unica strategia europea.
Facciamo riferimento al processo di Bologna (1999) e alla strategia di Lisbona (2000): questi processi imponongo il sistema dei crediti e la suddivisione degli anni di formazione in due cicli attraverso l’elaborazione di concetti come mobilità, flessibilità e competitività. La strategia di Lisbona in particolare, fa riferimento alla cosiddetta “Europa della conoscenza”, sottolineando come centrale il ruolo della formazione all’interno del sistema economico. Tutti i percorsi formativi diventano dei poli centrali di applicazione delle strategie economiche della realtà europea.
L’università e la scuola pubblica hanno subito un processo di trasformazione tale da stravolgere completamente il proprio assetto interno: la concezione di una cultura vista come strumento emancipativo dei giovani e non come strumento borghese di selezione e subordinazione, ha lasciato il passo ad una “corsa al diploma o alla laurea” in un sistema concorrenziale e competitivo in cui, così come nel mondo del lavoro, l’obiettivo è “arrivare prima dell’altro”, difendere il proprio infinitesimale interesse, scalare la piramide sociale assorbiti da una logica individualistica che isola e divide.
La parola “cultura” ormai è stata sostituita appieno da quella “formazione” che funge da ammortizzatore sociale e che prevede un meccanismo di produttività e un principio di flessibilità che giova solo ed esclusivamente al profitto delle varie imprese.
In questo contesto vanno quindi considerati da un lato tutte le modifiche strutturali, operate a livello europeo, strategiche alla formazione di un soggetto lavorativo quanto più ricattabile e sfruttabile possibile, le cui competenze se non costantemente aggiornate (e, soprattutto, pagate) non forniscono la giusta qualificazione per un lavoro dignitoso (se lo si ottiene); dall’altro, vanno considerate le politiche economiche interne agli istituti e agli atenei che mirano ad una gestione aziendalistica di tutto l’apparato, dai vertici accademici fino alla gestione concreta dei servizi inerenti al diritto allo studio.
Ne sono esempio l’esternalizzazione di mense e alloggi per gli studenti, la chiusura delle biblioteche didattiche, le modalità di (non) erogazione dei fondi per le borse di studio: tutte attività troppo costose per la scuola e l’università da una parte e poco produttive per i privati dall’altra.
Fin dalla formazione primaria vengono, infatti, imposti dei contributi “volontari” che sarebbero destinati ai fondi strutturali delle scuole, ma che se non versati comportano l’esclusione degli studenti dalle attività formative e ricreative (gite scolastiche, laboratori, mense, ecc.).
Possiamo quindi parlare di “formazione permanente” (lifelong learning programme), meccanismo tramite il quale l’Unione Europea si poneva come obiettivo: «diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale».
L’arte e la cultura
A questo si aggiunga l’inaccessibilità a quei luoghi d’arte e di cultura che dovrebbero contribuire ad accrescere e stimolare le menti e che invece diventano delle vere e proprie fortezze in cui il sapere e l’arte sono sempre più scadenti e obbedienti alle leggi di mercato.
La formazione stessa di coloro che dovrebbero produrre arte e cultura ormai è sempre più elitaria, blindata e, lì dove c’è, insufficiente a garantire la possibilità di occupazione.
I lavoratori dello spettacolo sono sempre più incalzati dai tempi del mercato delle grandi produzioni, i progetti indipendenti hanno sempre meno possibilità di emergere e di crescere, nella musica, nel teatro, nel cinema, nelle arti figurative, così come nei percorsi di formazione si è costretti a piegarsi a logiche lavorative e formative di sfruttamento, offensive e ricattatorie nei confronti di un’intera generazione che ormai non ha più niente da perdere.
Come fare tutto questo? Aziendalizzando scuole e università, privatizzando teatri e luoghi di cultura, aumentando le tasse e diminuendo i fondi, incrementando le differenze tra scuole e università di serie A e serie B, spesso dovute alla “sfortuna” di essere locate in periferie o luoghi di deprivazione sociale dove sempre più spesso si sceglie di non investire e marginalizzare.
ulteriori informazioni: http://www.massacriticanapoli.org/tavoli/cultura-formazione-ricerca/