di Paolo Carsetti (Forum Italiano dei Movimenti per l’acqua)
E’ oramai evidente come l’esito referendario del 2011 sia stato disconosciuto per poi attuare, da tutti i governi succedutisi alla guida del Paese, un piano volto alla sua concreta sterilizzazione. Con ciò, di fatto, si giunge a svilire la volontà popolare espressa dalla maggioranza assoluta del popolo italiano producendo così un pericoloso vulnus democratico.
L’esperienza concreta di questi anni ha messo in evidenza come sia in atto una gravissima crisi democratica, che si manifesta a tutti i livelli, con lo svuotamento dei poteri delle assemblee elettive ed il ridursi dei consigli comunali a luoghi dove si ratificano semplicemente le decisioni prese in altre sedi.
L’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio ha sancito, di fatto, l’assoggettamento al dogma neoliberista della politica economica del nostro Paese e la sua subordinazione agli indirizzi sanciti con la linea dell’austerità a livello europeo.
La crisi economico-finanziaria e la conseguente logica del debito sono diventati gli alibi attraverso i quali imporre, a diversi livelli, poteri tecnici e polizieschi.
I vincoli di bilancio diventano prioritari rispetto alla garanzia dei diritti fondamentali.
Così, ciò che era socialmente inaccettabile, ovvero privatizzazioni dei servizi, vendita del patrimonio pubblico, restringimento degli spazi di democrazia, diviene politicamente inevitabile anche perché interiorizzato da gran parte delle forze politiche che governano sia a livello nazionale che locale.
Si sperimentano pratiche di eccezionalità giuridica che vanno dalla creazione di status emergenziali ai super poteri commissariali, passando per dispositivi di controllo prefettizio.
Per queste ragioni, da diverso tempo, il movimento per l’acqua ha condiviso la necessità di un rilancio della propria iniziativa anche a partire dal tema della democrazia, riconosciuto come uno degli elementi basilari di connessione con gli altri movimenti e soggetti che si battono per il cambiamento.
Più nel dettaglio il Governo Renzi, sin dall’inizio del suo mandato, ha impresso una decisa accelerazione ai processi di privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali attraverso meccanismi che intendono aggirare l’esito del referendum del 2011.
Grazie alle norme contenute nella legge di stabilità 2015 e nel decreto “Sblocca Italia” si favoriscono processi che puntano a raggiungere il medesimo obiettivo che si era preposto il Governo Berlusconi con il decreto Ronchi, incentivando esplicitamente le dismissioni delle azioni dei comuni e favorendo economicamente i soggetti privati e i processi di aggregazione tra aziende.
Il combinato disposto dei due provvedimenti crea un meccanismo per cui, attraverso processi di aggregazione e fusione, i quattro colossi multiutilities attuali – A2A, Iren, Hera e Acea – già collocati in Borsa, potranno inglobare tutte le società di gestione dei servizi idrici, ambientali ed energetici, divenendo i “campioni” nazionali in grado di competere sul mercato globale.
Inoltre, ad aprile alla Camera la maggioranza ha radicalmente stravolto la legge d’iniziativa popolare “Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico”, depositata nel marzo 2014 dall’intergruppo parlamentare per l’acqua bene comune, arrivando a cancellare l’articolo che disciplinava i processi di ripubblicizzazione.
Accanto a ciò, l’attacco all’esito referendario viene anche dal “Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale” e dal “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”, due decreti attuativi della cosiddetta Legge Madia (L. 124/2015).
Appare evidente come questi due provvedimenti puntino ad un rilancio immediato della privatizzazione di tutti i servizi a rete, dall’acqua all’energia, dai rifiuti al trasporto pubblico locale, espropriando gli Enti Locali e le comunità territoriali di ogni facoltà nel determinare l’articolazione territoriale dei servizi e le politiche tariffarie.
In particolare, nel testo unico sui servizi pubblici si esplicita tra le finalità quella di promuovere “la concorrenza, la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione di servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione dei servizi pubblici locali di interesse economico generale”, oltre alla riduzione allo stretto necessario del ruolo del pubblico nella loro gestione e l’incentivazione del ruolo del privato negli stessi.
Inoltre, tale decreto reintroduce nella composizione della tariffa l’“adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, ovvero i profitti garantiti, nell’esatta dicitura che 26 milioni di cittadini hanno democraticamente abrogato con i referendum del 2011.
Questa nuova disciplina, oltre alla questione tariffaria, opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti diretti dei servizi pubblici arrivando a vietare la gestione tramite azienda speciale dei servizi a rete e, quindi, risulta contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata con il referendum, ponendosi in esplicita contraddizione con l’esito referendario e il principio stabilito dalla legge delega che imponeva il rispetto di tale esito, determinando così la violazione degli art. 75 e 76 della Costituzione.
Di fronte a questo scenario il movimento per l’acqua ha messo in campo una diffusa mobilitazione che ha visto l’organizzazione di centinaia di iniziative e che a luglio scorso ha portato a consegnare al Parlamento 230.000 firme a sostegno di una petizione popolare con cui si richiede il ritiro di entrambi i decreti, l’approvazione del testo originario della proposta di legge “Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico” e l’inserimento del diritto all’acqua in Costituzione. Una mobilitazione che è stata in grado di tenere il fiato sul collo del Governo e produrre una continua pressione sui parlamentari dal momento in cui è iniziato l’esame dei due provvedimenti.
Tutto ciò ha costretto la Ministra Madia a fare delle dichiarazioni in cui ha manifestato la disponibilità del Governo a riconsiderare i contenuti del decreto sui servizi pubblici locali e a sottrarre il servizio idrico integrato dal provvedimento. Questo sarebbe un risultato importante, ma rappresenta solo un primo passo verso un reale rispetto dell’esito referendario. Oltre a ciò, infatti, andrebbero eliminate tutte le norme che puntano alla privatizzazione dei servizi locali e che vietano la gestione pubblica tramite aziende speciali.
Per cui la mobilitazione prosegue affinché quanto affermato dalla Ministra non rimanga solo una dichiarazione d’intenti.
In questo quadro s’inseriscono anche le profonde modifiche dell’assetto politico-istituzionale perseguite dall’attuale Governo attraverso la revisione della Costituzione e la definizione della nuova legge elettorale.
In quasi 2 anni e mezzo di vita del Governo Renzi, abbiamo assistito al venir avanti di provvedimenti ispirati da una logica neoliberista e regressiva per cui sono stati attaccati e compressi diritti fondamentali dei lavoratori e dei cittadini. Si è intervenuti pesantemente sul lavoro, di fatto riducendo l’insieme del diritto del lavoro a diritto commerciale ed estendendo l’area del lavoro precario e non regolato. Si è attaccato il ruolo dello Stato sociale, sia riducendo il perimetro dell’intervento pubblico, sia provando a metterne in discussione l’universalismo per affermare modelli di tipo mercatistico e aziendalistico, come si sta facendo con la controriforma della scuola. Si è tornati a considerare l’ambiente come variabile dipendente di una presunta idea di sviluppo tutta costruita su parametri quantitativi arrivando, per questa via, a compiere veri e propri atti di devastazione ambientale e dei territori, di cui le trivellazioni petrolifere non sono che uno degli elementi più eclatanti e inquietanti.
È a partire da qui che il movimento per l’acqua si è impegnato a contrastare queste derive, con la mobilitazione e con la ricerca di nessi con altri movimenti. Non c’è dubbio che questo discorso unitario sta nell’idea che si ha del modello sociale e della democrazia: il primo alternativo alle logiche dell’austerità e a quelle del mercato come unico regolatore della società, la seconda come leva per costruire una partecipazione effettiva dei cittadini e dei lavoratori nelle decisioni che riguardano le scelte e la gestione di fondo degli assetti economici e sociali.
Diviene perciò necessario ampliare ancora di più l’orizzonte delle istanze e delle aspettative comuni ragionando anche su una rivendicazione costituzionale volta a rafforzare tutti i diritti fondamentali in contrapposizione alle logiche dei vincoli di bilancio. In tal senso si potrebbe valutare la possibilità di inserire nella Costituzione una previsione che garantisca “l’incondizionabilità finanziaria” dei diritti fondamentali, restituendo così anche dignità al nostro testo costituzionale.
Lungo questo percorso, s’incrocia la scadenza del referendum confermativo sulla controriforma costituzionale. E ciò per almeno due ragioni di fondo: la prima è che il combinato tra controriforma costituzionale e legge elettorale nasce proprio con l’idea di restringere gli spazi di democrazia in termini funzionali ad affermare le scelte di carattere neoliberista e classista che contraddistinguono l’attuale governo. La seconda è che non è possibile disgiungere i contenuti delle scelte sul terreno economico e sociale da quelle relative alle forme e agli assetti istituzionali. Da questo punto di vista, è evidente che, se non si vuole produrre un discorso che rischia di essere astratto sulla difesa e sull’espansione della democrazia , esso va innervato di contenuti e fatto vivere in relazione alle scelte che intervengono sulle politiche economiche e sociali, su quelle scelte che riguardano la condizione di vita concreta delle persone.
Torna, dunque, ad essere d’attualità uno degli slogan che ha caratterizzato la campagna referendaria del 2010-2011: “si scrive acqua, si legge democrazia”.
Rideclinato in funzione del contesto che stiamo attraversando funziona altrettanto bene, per cui potremo dire a gran voce: si scrive no, si legge democrazia!
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 26 di Novembre-Dicembre 2016 “Voglio cambiare davvero, quindi voto NO!“