SCHEDA 11: La rigenerazione urbana territoriale

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Trenta anni di deregolamentazione urbanistica

La deregolamentazione di tutte le normative in campo urbanistico, perseguita con tenacia negli ultimi 30 anni, ha portato i Comuni e le città ad una situazione insostenibile.

Gli anni ottanta rappresentano da questo punto di vista un vero e proprio spartiacque. In quegli anni, i risultati del censimento mostrano un paese stabilizzato dal punto di vista demografico, con la conclusione delle grandi migrazioni dei decenni precedenti che avevano portato forti espansioni di tutte le grandi città italiane.

E’ del 1985 il primo condono edilizio che alimenta la devastazione del territorio e dell’ambiente, mentre è del 1992 la legge “Botta-Ferrarini”, che consente la deroga urbanistica negli interventi di realizzazione di nuovi quartieri. Nel frattempo (1989) la legge “Tognoli” apre le porte ad un’altra deroga urbanistica, questa volta per realizzare parcheggi urbani interrati nei centri storici.

E’ sempre di quegli anni la novità sulle modalità d’intervento sulle città e i territori: si inaugura la stagione delle formazioni dei consorzi d’impresa che, senza sottostare a gare trasparenti, si dividono i grandi investimenti pubblici per le opere, da sottoporre a regime attuativo semplificato.

Se lo scoppio di “tangentopoli” sembra imprimere una frenata in questa direzione -è del 1994 l’approvazione della rigorosa legge “Merloni” sugli appalti- ben presto i grandi interessi costruttivi riprendono la strada consueta e la legge “Merloni” verrà modificata più volte da governi di diverso colore.

Da qui allo “scudo fiscale” approvato nel 2001 dal governo Berlusconi (70 miliardi rientrati ed investiti quasi tutti nel settore edilizio e immobiliare, i cui impieghi raggiungono in quel periodo il 60% di tutti gli impieghi nel manifatturiero) e alla “Legge Obiettivo” sulle grandi opere che possono essere realizzate con procedure semplificate (ad oggi sono 504 le opere che hanno usufruito di questo regime particolare) il passo è breve. E, nel frattempo, i condoni sono diventati tre ed il paese si trova di fronte allo “Sblocca Italia”, ovvero un gigantesco programma di deregolamentazione normativa, che oltre a consegnare interi territori alle mire delle multinazionali impiantistiche ed energetiche, in campo urbanistico e paesaggistico prepara un’ulteriore colata di cemento in deroga a qualsiasi norma di tutela.

Una piccola norma, tanto cemento diffuso

E’ Franco Bassanini (oggi presidente di Cassa Depositi e Prestiti) che nelle sue vesti di ministro

della Funzione Pubblica, nel 2001 fa approvare nel codice degli appalti una modifica rispetto al precedente: non viene cioè più mantenuto l’obbligo del vincolo di destinazione d’uso degli oneri di urbanizzazione, che, da questo momento, possono essere utilizzati anche per la spesa corrente dei Comuni. In pratica, anche solo per garantire l’ordinario funzionamento dell’ente locale, gli amministratori sono invogliati a consegnare porzioni di territorio alla speculazione immobiliare, arrivando al paradosso che, mentre fino a qualche anno prima erano i costruttori a fare la questua negli uffici comunali per ottenere cambi di destinazione d’uso dei terreni, oggi sono i sindaci a inseguire i costruttori per poter firmare convenzioni che consentano di mettere in bilancio i relativi oneri.

I risultati sulle città

Nel 2013, l’Ispra, Istituto superiore di studi per l’ambiente ha dimostrato come, a fronte di un consumo di suolo medio europeo del 3,2% sul totale della superficie, in Italia tale valore è pari al 7,3%, più del doppio. La cancellazione delle regole ha prodotto un’esplosione edificatoria gigantesca, una frammentazione edilizia cui la mano pubblica deve fornire comunque servizi e garantire il soddisfacimento di bisogni primari, dalla mobilità all’istruzione, all’assistenza sanitaria.

Per fare un esempio eclatante, Roma nel ventennio 1994-2014 è passata da 31.000 ettari a 55.000 ettari di superficie edificata, con una popolazione pressoché invariata di 2,6 milioni di abitanti.

Oggi tutte le città pagano con un indebitamento crescente le politiche urbanistiche che hanno dominato l’Italia negli ultimi decenni.

Come uscirne

Oggi il territorio è uno dei luoghi di precipitazione della crisi ed è quindi sul suo utilizzo che si gioca una parte importante dello scontro sociale in atto. Oltre alla mobilitazione per ottenere nuove normative che vadano nella direzione dello stop al consumo di suolo, dell’abrogazione di leggi devastanti sulle grandi opere e della reintroduzione della pianificazione urbanistica pubblica e partecipativa, è nei Comuni che si possono articolare iniziative che, oltre a tutelare un bene prezioso, la cui distruzione comporta gli aspetti drammatici dell’irreversibilità, sappiano imprimere una diversa direzione anche in termini di nuova economia sociale territoriale.

Di seguito un elenco delle possibilità: stop al consumo di suolo/gestione partecipativa dei piani urbanistici territoriali/messa in sicurezza, manutenzione e rigenerazione del patrimonio edilizio pubblico e privato; riduzione degli sprechi degli edifici, energetici ed idrici; rivalutazione degli spazi pubblici, del verde urbano, dei servizi di quartiere; razionalizzazione della mobilità urbana e del ciclo dei rifiuti; implementazione delle infrastrutture digitali innovative; salvaguardia dei centri storici e la loro rivitalizzazione.

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