Roma: Rete per il diritto alla città

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di Simona Savini

Perché una rete per il diritto alla città a Roma? Quali sono i “diritti” perduti nella capitale, e dove e perché si sono smarriti?

E – domanda più difficile – come riprenderseli?

La rete per il diritto alla città nasce a Roma nell’autunno del 2014, da una riflessione comune tra alcuni spazi occupati e autogestiti della capitale. Una riflessione radicata negli spazi, ma non “sugli” spazi. Nasce a pochi mesi dall’insediamento della Giunta Marino, con il Decreto “Salva Roma” oramai divenuto realtà e un piano di rientro dal debito al quale il governo della città deve attenersi, sotto l’occhio vigile del Ministero dell’Economia e della Finanza. Una piccola Troika italiana, ma nessun Varoufakis all’orizzonte. Proprio su questi aspetti inizia a confrontarsi la rete: in una città che deve essere messa a profitto per saldare un debito di miliardi di euro, quale margine rimane, non solo per gli spazi sociali, ma anche per tutti quei beni e servizi che dalle leggi di mercato rischiano di venire soffocati? 

 

Proprio sul terreno della carenza dei servizi, soprattutto nelle periferie, germogliano pericolosi sentimenti razzisti, sotto la bandiera dell’anti-degrado, dove per “degrado” sembrano intendersi tanto i cassonetti pieni quanto gli immigrati.

In questo quadro grigio esplode l’inchiesta “Mafia Capitale”, che mette in luce un giro di milioni di euro tra funzionari del Comune, cooperative sociali e figure chiave della politica romana. Al centro proprio un settore di quei servizi che ormai da anni il Comune di Roma appalta tramite “bandi pubblici”, a dimostrare come le esternalizzazioni e l’“efficienza” non vadano proprio di pari passo.

Dall’inchiesta non scaturisce alcun ripensamento politico sui meccanismi che hanno permesso alla mafia di proliferare a Roma; al contrario, assistiamo ad un ulteriore ritrarsi della politica, chiusa in un consiglio comunale sempre più debole, che avalla un governo della città lasciato in mano alla Corte dei Conti, la nuova divinità onnipresente in ogni ufficio comunale, che guida ogni consigliere e ogni funzionario sotto un unico comandamento: “elimina tutto ciò che non rende”, con tanto di riti sacrificali sull’altare del “Sacro Debito”.

L’ultimo atto dell’agonìa della politica romana arriva con il commissariamento: un pool di prefetti alla guida della città, con il compito di andare dritti come treni verso il “piano di rientro”, senza l’intralcio di passaggi democratici che, per quanto deboli, rischiano comunque di rappresentare un freno. Il pool è aiutato da due degli atti più importanti della Giunta Marino: l’approvazione del bilancio previsionale 2015, che contiene tutte le indicazioni su dismissioni e privatizzazioni, e la delibera 140. Tale delibera per mettere a rendita il patrimonio immobiliare pubblico, tratta allo stesso modo le attività commerciali – che si arricchiscono da anni grazie a chi ha chiuso più di un occhio su affitti inesistenti – e gli spazi sociali autogestiti, che in 20 anni di storia hanno creato servizi, aggregazione, e combattuto il vero “degrado” dell’impoverimento sociale.

Ed è proprio nelle centinaia di esperienze che in questi anni hanno sperimentato nuove forme di gestione degli spazi e dei beni comuni, non solo nei “centri sociali”, ma nel mondo dei “coworking”, delle vertenze ambientali, dei comitati cittadini, e di tante micro-realtà vitali, che si possono trovare interessanti spunti su come superare il vicolo cieco in cui sono finiti gli enti locali, e noi con loro.

Né pubblico né privato: Comune!” Lo abbiamo scritto durante il primo corteo della rete Diritto alla città, in piena esplosione di Mafia Capitale.

Quello slogan è stato poi sviluppato durante tre giorni di occupazione temporanea di vari spazi abbandonati in una delle zone più popolose di Roma. Lo abbiamo fatto partendo dall’analisi di come anche la gestione pubblica di beni e servizi, negli ultimi anni, stia mostrando caratteristiche sempre più simili a quella privata: l’esclusione al posto dell’inclusione, il profitto di pochi al posto del diritto di molti, l’assenza di trasparenza e democrazia. In questa “dicotomia” tra pubblico e privato è necessario inserire una categoria nuova che sappia valorizzare la partecipazione collettiva, che sappia “forzare” anche i termini del diritto, perché il “pubblico” non è più sinonimo di “comune” e il privato non potrà mai esserlo.

Ma con questo obiettivo all’orizzonte è necessario, soprattutto su Roma, invertire una narrazione dominante, fatta di attacco ai lavoratori pubblici, diffidenza verso il prossimo, “sacralizzazione” dell’austerità come unica via percorribile… senza spiegare dove ci porterà questa via. E’ innegabile come la città, sebbene animata da mille vertenze, viva un momento di frammentazione e immobilismo, che vede la maggior parte dei romani chiusi in sé stessi, magari in tanti con le stesse lamentele sulle labbra, ma soli.

Per questo è necessario un grande lavoro di comunicazione e condivisione, che intercetti quella cittadinanza potenzialmente attiva, per costruire una massa critica capace di mettere in discussione il cuore del problema: il debito capitolino e la sua legittimità. Parallelamente occorre “esserci”, in quei territori abbandonati dai servizi, rivendicando diritti cancellati da una gestione privatistica della città, come avviene con gli sportelli contro i distacchi idrici.

E’ un momento in cui la messa in comune di modelli alternativi, che pure ci sono, ha bisogno di una continua “traduzione” e diffusione, attraverso tutti i mezzi di cui possiamo disporre.

Un percorso molto più lungo della fase elettorale che Roma si prepara ad affrontare, e che come Diritto alla città intendiamo attraversare con la mobilitazione contro il DUP (Documento Unico di Programmazione) del commissario Tronca. Un Documento che di “comune” ha solo l’attacco verso i cittadini di Roma: un buon punto di partenza per costruire massa critica!

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 23 di Gennaio-Febbraio 2016 “Verso una Nuova Finanza Pubblica e Sociale: Comune per Comune, riprendiamo quel che ci appartiene!. 

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