Renzi (e i privati) all’assalto del trasporto pubblico a Milano

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di Marco Schiaffino

Avete presente quei film horror in cui l’assassino sembra essere morto e poi torna invariabilmente in scena? Ecco: il decreto Madia segue esattamente la stessa logica. Dopo una prima riscrittura e dopo la bocciatura della Corte Costituzionale, la “madre di tutte le riforme” voluta da Matteo Renzi è tornata in vita sotto le mentite spoglie del decreto 50/2017 sugli enti locali. Obiettivo nel mirino del governo di Matteo Renzi (sì, il presidente del consiglio risulterebbe essere tale Gentiloni, ma qualcuno ci crede?) è tra gli altri il servizio di trasporto pubblico milanese gestito da ATM.

L’Azienda Trasporti Milanesi, uno dei “fiori all’occhiello” del capoluogo lombardo, è da parecchio tempo nel mirino di Ferrovie dello Stato, che sta cercando disperatamente di “gonfiare” i suoi asset finanziari in vista della quotazione in borsa. Tanto che dalle parti di Palazzo Marino sono circolate sempre più spesso ipotesi di fusioni tra ATM e Ferrovie Nord (al 50% di proprietà della regione e al 50% di FS) che, almeno fino a oggi, avevano lasciato piuttosto tiepida l’amministrazione milanese.

L’occasione per Renzi e i suoi amici di FS per mettere le mani sul trasporto pubblico milanese, però, sembra essere arrivata. Entro il 2019, infatti, il Comune di Milano dovrà decidere se affidare la gestione del servizio “in house” ad ATM o mettere a gara il servizio aprendo alla partecipazione ad altre aziende private tra cui una delle più interessate (guarda un po’) sarebbe proprio Ferrovie dello Stato. Un’occasione ghiotta per i talebani delle privatizzazioni, che permetterebbe di sottrarre un altro pezzo di pubblico ai cittadini per trasformarlo in una gallina dalle uova d’oro per gli azionisti (presenti e futuri) di FS.

Tanto più che il segretario del PD può contare sul fatto di avere il controllo dell’amministrazione meneghina, saldamente nelle mani del PD e di quel Beppe Sala che incarna alla perfezione il prototipo di “sindaco manager” che guarda prima alle regole di mercato e poi alla politica. Sala e Renzi hanno però un problema: l’inusitata anomalia di un servizio di trasporto pubblico che funziona bene. Convincere i milanesi (come è successo a Firenze o in altre città) che la privatizzazione sia una possibile soluzione per mettere fine a disservizi e mala gestione è quindi impossibile. ATM funziona bene e (almeno sulla carta) fa addirittura utili. Che fare quindi?

Semplice: mettere in piedi un bel ricatto che obblighi il Comune di Milano a mettere a gara il servizio. Ed ecco arrivare puntuale il decreto 50/2017 sugli enti locali, che all’articolo 27. Cosa introduce l’articolo 27? Una “riduzione in ciascun anno delle risorse del Fondo da trasferire alle regioni qualora i servizi di trasporto pubblico locale e regionale non risultino affidati con procedure di evidenza pubblica entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento” … “pari al quindici per cento del valore dei corrispettivi dei contratti di servizio non affidati con le predette procedure”. Insomma: chi non privatizza subisce un taglio dei trasferimenti nazionali del 15%, che nel caso di Milano corrisponderebbero a circa 42 milioni di euro.

Il trucchetto avrebbe potuto funzionare alla perfezione. Con il decreto, la giunta milanese ha la scusa per avviare la privatizzazione di ATM guardando in faccia i cittadini e dicendo che “la normativa non consente altre soluzioni”, che la scelta di mantenere la gestione attuale “penalizzerebbe la città e il servizio” e che “non si può fare altrimenti”. Per evitare che la rabbia dei cittadini defraudati si riversi sul governo nazionale assisteremo poi alle solite dichiarazioni vaghe e ambigue che lasciano intendere che il decreto sia una sorta di “atto dovuto” in ottemperanza alle norme europee. Una giustificazione del tutto falsa, naturalmente (per referenze chiedere ai comuni di Parigi o Monaco di Baviera, che non hanno nessuna intenzione di mettere a gara il servizio di trasporto pubblico) ma sempre efficace in un paese in cui a suon di frottole si è già riusciti a convincere milioni di persone che svendere al mercato i servizi pubblici non solo sia una buona idea (sigh) ma sia anche obbligatorio.

A questo giro, però, il trucchetto non funzionerà. Perché i cittadini milanesi sono meno distratti di quanto pensino (o sperino) dalle parti di Palazzo Chigi e Palazzo Marino. L’occasione per capirlo è stata l’assemblea tenutasi a Milano lo scorso 22 giugno, in cui ha mosso i primi passi il Comitato ATM Pubblica. Uno spazio di democrazia partecipativa che raccoglie i movimenti sociali, le associazioni, le forze politiche, i cittadini e le cittadine e (non ultimi) le lavoratrici e i lavoratori del trasporto pubblico. Un soggetto che si è aggregato dal basso e che da subito ha dimostrato di saper mettere a fuoco con lucidità il funzionamento dei processi di attacco ai beni comuni. Nel prossimo appuntamento (4 luglio) il comitato deciderà i primi passi concreti per mettere in campo tutti gli strumenti di opposizione al tentativo di esproprio di un patrimonio collettivo troppo prezioso per essere abbandonato agli appetiti del mercato. Non c’è decreto che tenga: su ATM decide Milano.

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