Non solo ‘razza’. Genere e classe nel risentimento italiano verso chi ha la pelle nera

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Namdi

di Sabrina Marchetti

“W il Duce. Onore a Luca Traini. Uccidiamoli tutti sti negri”

Questa la scritta, corredata da svastica e croce celtica, apparsa nei bagni di una biblioteca dell’Università Ca’ Foscari di Venezia il giorno 6 marzo 20181. La scritta si riferisce a uno degli ultimi episodi di attacco cruento da parte di italiani verso persone di origine africana. Il razzismo verso persone di pelle nera in Italia non è cosa nuova2 e mostra un intero repertorio di immagini, convinzioni, rappresentazioni e stereotipi che accompagnano il carattere violento del rapporto fra persone bianche e nere, nelle sue forme quotidiane, ma specialmente nei casi estremi di aggressioni cruente. Dopo gli spari di Macerata, con Luca Traini che ha ferito 6 persone, e ancor più dopo l’omicidio di Idy Diene a Firenze da parte di Roberto Pirrone, chiunque fosse ancorato all’immagine degli ‘italiani brava gente’ dovrà definitivamente ricredersi.

È il caso di soffermarsi sul significato di questi gesti e tentare di interpretarli all’interno di un fenomeno più vasto che, a mio parere, caratterizza l’atteggiamento verso le persone di origine africana, ragazzi/e richiedenti asilo, lavoratori e lavoratrici, accomunati da un colore di pelle ‘fuori luogo’3. Tuttavia, non solo processi di razzizzazione, ma anche elementi discriminatori basati su differenze di classe e genere entrano nella spiegazione che voglio proporre di un atteggiamento di odio e ostilità basato sul ‘risentimento’, in linea di continuità con una mentalità fascista e colonialista che sopravvive nel nostro paese.

Negli ultimi anni, il dibattito europeo sul razzismo e sulla discriminazione contro gli immigrati si è concentrato sulla nozione di ‘ressentiment’. Ad essa fa riferimento Wendy Brown nella sua concezione delle identità come qualcosa che si fonda su di un passato di sofferenza e ingiustizia. L’attaccamento a queste esperienze «promuove una pratica di vendetta non solo psicologica ma anche politica, una pratica che reitera l’esistenza di un’identità il cui passato-presente è di un’ingiustizia assolutamente non redimibile»4. Annamaria Rivera (2009), in particolare, ha legato la xenofobia diffusa oggi in Italia a una sorta di recupero dell’identità fascista degli italiani e a un desiderio di rifarsi per la passata povertà e l’esperienza come migranti. 

In quest’ottica, mi sembra si possano leggere le dichiarazioni che vedono le aggressioni sopra citate come motivate da una colpevolizzazione degli stranieri per il proprio fallimento personale. Sarebbe il caso di Pirrone che, come dicono i giornali, “ha raccontato di volersi suicidare a causa di problemi economici e familiari e di aver sparato ‘a caso’ contro Diene mentre era in uno stato confusionale”5. La persona straniera, in particolare di pelle nera, viene vista come un elemento di disturbo, perturbatore della quiete. Diventa un capro espiatorio per chi cerca qualcuno a cui attribuire le colpe di una disperazione che non è solo personale, ma anche più generale, effetto di una crisi economica e sociale di portata più vasta.

In questo senso, è ancora più significativa la sparatoria di Traini a Macerata, in cui il ferimento di 6 persone è stato accompagnato da proclami di chiaro stampo neofascista. La vicenda va compresa nel contesto socio-economico in cui si inserisce: la provincia di Macerata è stata fortemente impoverita dal fallimento nel 2016 della Banca delle Marche e, nello stesso anno, dalle scosse di terremoto, a cui si aggiungono la chiusura di fabbriche e la conseguente crisi dell’impiego.In questo contesto, le persone di pelle nera “che chiedono qualche spicciolo davanti al supermercato danno fastidio. La piccola e media borghesia, il ceto medio marchigiano, quello con tassi di propensione al risparmio più alti della media italiana, nonostante il benessere ha paura di perdere tutto, perché non ha più la prospettiva di una crescita”, spiega la sociologa Stefania Animento6. E continua: “non sopporta quelle mani tese e quei ‘ciao capo’ davanti al supermercato. Suonano come una presa in giro, la scoperta che anni e anni di lavoro, in fondo, non hanno fatto sparire la paura di non arrivare a fine mese e non hanno regalato il privilegio di fregarsene di come va il mondo”7.

Come nel “W il Duce” della scritta nei bagni universitari a Venezia, si attinge a un repertorio passato per dare sfogo a una rabbia che è piuttosto basata sul conflitto di classe attuale: la paura delle nuove classi medie di perdere i privilegi acquisiti, e di conseguenza una visione dell’altro, dello straniero, come colui che minaccia quell’apparente benessere economico che nello shopping della domenica cerca la sua conferma. I ragazzi africani che elemosinano nel parcheggio del supermercato perturbano innegabilmente questa illusione, come uno squarcio nel telo che fa da sfondo al Truman Show. La loro pena sarà quella di essere colpevolizzati per quei mali (droghe, criminalità, povertà, ecc.) che sono in realtà della società tutta, e per questo essere aggrediti – se non uccisi.

E le donne? Colpisce come questi fatti di cronaca riguardino generalmente uomini aggrediti da altri uomini8. Le donne compaiono solitamente nel ruolo di testimoni, come nel caso di Rokhaya Mbengue, moglie di Idy Diene, oppure ancora più significativamente nel caso di Chiniery, la fidanzata di Emmanuel il quale, per aver reagito alle offese da lei ricevute, è stato picchiato e ucciso a Fermo9. Donne nere quindi che rimangono sullo sfondo, al più come fidanzate e mogli da proteggere. Una soggettività, quella delle donne nere in Italia, che raramente emerge se non in associazione a visioni vittimistiche e stigmatizzanti legate alla prostituzione, ai rischi del viaggio attraverso il Mediterraneo, o allo sfruttamento sessuale nel settore agricolo. Anche per effetto di una rappresentazione basata su tutto ciò, le donne nere in Italia sono tendenzialmente escluse dal settore lavorativo che dà più impiego alle straniere, quello del lavoro di cura. Raramente acquistano visibilità per le altre attività o professioni di cui sono protagoniste.

È importante chiedersi allora se la violenza contro persone nere in Italia, vista oggi solo come effetto di una razzizzazione delle persone africane, non sia anche da porre in relazione a elementi legati alla classe e al genere, vale a dire al tentativo da parte di ‘maschi bianchi’ di riconquistare le proprie sicurezze e privilegi tramite la violenza verso uomini africani. Nel far ciò, il recupero di un repertorio di simboli e convinzioni radicate nell’eredità culturale fascista, lungi da essere solo una riproposizione nostalgica, diviene strumento per una violenza verbale, fisica e simbolica quanto mai attuale.

Note:

[1] La risposta degli/lle studenti è stata forte, con una di loro in particolare Leaticia Ouedraogo, studentessa afro-italiana, che ha indirizzato una lettera online alla persona anonima che ha lasciato la scritta nel bagno.

[2] L’omicidio di Fermo è l’ultimo atto del profondo razzismo italiano, Igiaba Scego, Internazionale, 07.07.2016

[3] Nirmal Puwar, Space invaders: Race, gender and bodies out of place, Berg, 2004.

[4] Wendy Brown, “Injury, identity, politics”. In Avery Gordon e Christopher Newfield (a cura di), Mapping Multiculturalism, University of Minnesota Press, 1996, p. 73.

[5] Un paese in cui i neri vengono uccisi per strada, Annalisa Camilli, Internazionale, 07.03.2018.

[6] I fantasmi di Macerata due mesi dopo l’attentato razzista, Annalisa Camilli, Internazionale, 05.04.2018

[7] Idem.

[8] Unica eccezione è quella di Jennifer Otioto, nigeriana di 29 anni, una delle persone ferite da Traini a Macerata.

[9] In fuga da Boko Haram, insultato e picchiato: Emmanuel è morto, Redattore Sociale, 06.07.2016

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 34 di Maggio – Giugno 2018: “L’epoca del rancore. Nuove destre e nuovi razzismi

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