La mercificazione dell’acqua

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di Lorenza Zamboni – Attacqua

 

L’acqua e i beni comuni un’occasione per un modello sociale alternativo

L’acqua adatta all’uso umano è un bene sempre più scarso. Le riserve idriche sono state sottoposte a prelievi incuranti dei ritmi di ripristino, l’ambiente, concepito solo come magazzino da cui prendere e contenitore in cui buttare, è in stato di degrado avanzato. A tutto ciò si aggiunge un elevato tasso di crescita della popolazione mondiale. Se non affermiamo ora che l’acqua è patrimonio di tutti da gestire con criteri di solidarietà l’acuirsi dei conflitti, l’aumento della disparità sociale e fra le popolazioni sarà lo scenario futuro più certo.

Il modello di sviluppo iniziato con la rivoluzione industriale segnava la sua crisi già dalla meta del secolo scorso con il verificarsi dei primi casi di inquinamento massiccio di acqua e aria e suolo e di fenomeni di larga scala come il riscaldamento del pianeta, l’assottigliamento dello strato di ozono e le piogge acide. Lo sviluppo economico dei paesi occidentali e più in generale la concentrazioni di capitali è stata resa possibile a spese delle risorse naturali e dei paesi in cui si trovavano, è il caso dell’America Latina, e a carico di ambiente e società (le cosiddette esternalità), si pensi ad una attività che scarica inquinanti in un fiume, essa può compromettere la biodiversità acquatica e gli ecosistemi connessi, provocando la perdita di patrimonio naturale per tutti, ma può anche riversare i costi su di un abitato di valle che deve utilizzare una depurazione più spinta per potabilizzare l’acqua. I risvolti economici e politici di un approccio che non tiene in conto ambiente e risorse può risultare più evidente se si considera che i sistemi di contabilità nazionale, utilizzati per valutare la stabilità e la crescita di un economia nazionale e quindi anche il suo peso politico, non da misura dell’impoverimento provocato dall’uso dei capitali naturali e dal degrado ambientale.

La politica ambientale si è sviluppata a cominciare dagli anni ’70 (1972 Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente a Stoccolma) fino alla conferenza di Rio del 1992 ha raggiunto il suo apice. Le elaborazioni nate dalle riflessioni in tema ambientale hanno portato alla formulazione di nuovi modelli di sviluppo mettendo in discussione il sistema economico e i rapporti di forza fra Stati. Il modello consumista e produttivista ne usciva distrutto, i paesi occidentali risultavano debitori nei confronti di quelli in via di sviluppo, la rapina delle grandi multinazionali veniva smascherata. La nuova chiave di lettura presentava un potere rivoluzionario devastante.

La pronta reazione a tutto ciò si è manifestata negli anni ’90 con un forte irrigidimento delle economia e delle politiche economiche: il neoliberismo, una oggettiva enorme difficoltà a mutare il sistema e la totale impreparazione della popolazione gli hanno lasciato buon gioco. Anche l’Unione Europea che più aveva teso ai principi di Rio è stata piegata alle logiche del WTO.

Per questo affermiamo che è proprio dalla tutela dei beni essenziali alla vita che va pensata una rivoluzione culturale che porti alla formulazione di nuove politiche economiche e di gestione della “cosa pubblica”, di una agricoltura che fondi le sue regole sui processi naturali invece che sulla sovrapproduzione, sulla chimica e sull’ingegneria genetica, di relazioni fra stati improntate alla tutela delle risorse comuni. Non esiste nessun nuovo mondo possibile se non si riporta l’uomo e il suo agire all’equilibrio con gli altri esseri viventi.

Se vogliamo lavorare alla costruzione di un mondo nuovo non possiamo prescindere dalla realtà di un mondo con limiti fisici costituito da acqua, terra, aria e vivente e dalle leggi che lo regolano.

L’acqua, i prodotti della terra e la biodiversità sono beni indispensabili per il mantenimento della vita sulla terra, ad essi è legato il diritto alla vita degli ogni individuo, da essi bisogna partire per la ridefinizione dell’economica, per costruire una cultura della solidarietà fra i popoli, per riaffermare la supremazia degli organi elettivi e della pubblica amministrazione nella gestione delle risorse naturali a tutela dei diritti fondamentali degli uomini e della sicurezza delle comunità. L’acqua tocca tutti i temi: economici, politici, culturali e ambientali.

Partendo dalla considerazione che la mercificazione dell’acqua e la privatizzazione dei servizi di gestione non danno risposta ai bisogni ambientali e sociali, si può affrontare in termini non ideologici il processo di privatizzazione dei servizi idrici. Infatti, la ricerca dei profitti aziendali e la necessità di soddisfare gli azionisti sono inconciliabili con la concezione dell’acqua quale bene comune dell’umanità.

Lo svuotamento della funzione politica

Sia che la privatizzazione avvenga tramite concessione di un servizio pubblico ad imprese private o con la trasformazione di aziende pubbliche in enti di diritto privato il risultato è identico: la regolazione del servizio nei suoi aspetti di pianificazione degli investimenti per manutenzione e infrastrutture, di determinazione delle tariffe, di scelte relative a come usare le risorse idriche e quali utenti privilegiare sono vincolate alla realizzazione di profitti.

Il pubblico, seppur partecipe in queste nuove società, non può che comportarsi da imprenditore e attuare scelte di gestione improntate ai principi liberistici ossia legate ai mercati finanziari per assicurare il rendimento delle quote azionarie, nel caso di società in borsa, per fornire garanzie di interessi sicuri, nel caso di capitali privati in prestito per il finanziamento di nuove opere e l’adeguamento di quelle vecchie.

Con la privatizzazione dei servizi di gestione dell’acqua la politica rinuncia definitivamente ad occuparsi del diritto di ogni cittadino a poter accedere all’acqua di buona qualità nella quantità sufficiente alla vita senza distinzioni di reddito e di luogo, rinuncia alla tutela del bene della collettività e alla responsabilità di gestire le risorse e l’ambiente garantendo il diritto delle generazioni future.

Dobbiamo chiederci allora a nome di cosa e per conto di chi operano, le rappresentanze politiche democraticamente elette e gli organi di governo quando rinunciano alla amministrazione dei beni pubblici, alla garanzia e alla tutela dei diritti dei cittadini

Cosa sta avvenendo in Italia:

La privatizzazione è entrata nel settore delle risorse idriche con la Legge Galli (n 36) nel 1994. La spinta alla formazione della legge sono stati sia l’obbiettivo di razionalizzare l’uso della risorsa che di mettere in relazione l’approvvigionamento con la depurazione che, ultimo in ordine ma non in importanza, di ottenere il pieno recupero dei costi. Nella realtà questa legge e i successivi provvedimenti hanno dato il via al massiccio ingresso di capitali privati nella gestione dell’acqua, hanno aperto le porte alla finaziarizzazione dell’acqua e, pur affermando la supremazia del pubblico in materia di acque, l’hanno svuotato degli strumenti necessari per il controllo dell’uso delle risorse, per la protezione del territorio, per la verifica della qualità del servizio e l’attuazione di politiche di protezione sociale e risparmio idrico.

Ecco in sintesi i mali del processo in atto:

- la coperture dei costi dovrà avvenire attraverso le tariffe. Ciò contrasta con il criterio di risparmio della risorsa. La tariffa è a metro cubo, più acqua il gestore è in grado di fornire maggiori saranno i profitti, gli investimenti in riduzione delle perdite e riduzione dei consumi non sono remunerativi. L’aumento tariffario già riscontrato negli ATO (Ambito territoriale ottimale) operanti grava sulle fasce sociali più deboli che dovranno ridurre i consumi anche sotto le soglie di quantitativi indispensabili, concedendo agli altri di sprecare l’acqua.

- controlli di qualità delle acque e le conoscenze tecniche saranno demandati ai gestori, agli enti pubblici non rimarranno strumenti di controllo dell’operato del gestore. La separazione forzata del momento di indirizzo politico da quello tecnico-gestionale creerà un incapacità decisionale da parte del pubblico, con un conseguente sviluppo di dipendenza dal gestore. Il controllato controlla il controllore.

- Il rapporto fra pubblico e gestore è qualificato di natura contrattuale e privatistica. L’applicazione di misure preventive non è prevista, scattano sanzioni civilistiche solo in caso di inadempienza di un disciplinare stipulato all’atto dell’affidamento che potrà durare fino a 30 anni. Anche nel caso di un disciplinare dettagliatissimo, sarà onere pubblico dimostrare il suo mancato rispetto. L’unica facoltà lasciata al pubblico è il riscatto che però deve avvenire con versamento di un indennità di riscatto pari al profitto non conseguito dal gestore.

- nessun criterio di efficienza e sicurezza per gli utenti viene prefissato, sono le regioni a determinarlo, le sperequazioni sul territorio nazionale possono diventare elevatissime.

Una delle voci per rendere più remunerativo il capitale è la riduzione dei costi del lavoro. Il taglio di posti di lavoro fissi per il lavoro temporaneo e in prestito potrà essere il metodo maggiormente usato per diminuire la voce di spesa.

I cittadini vengono chiusi nel ruolo di utenti-consumatori, le loro richieste si devono fermare al rispetto dei requisiti di qualità e quantità dell’acqua in ragione del prezzo. In questo modo non viene riconosciuto che tutti i cittadini, consumatori o no, sono “portatori di interesse” nelle scelte relative alla gestione dell’acqua ed hanno il diritto ad un uso delle risorse rispettoso e volto al risparmio.

L’attuale taglio operato dal governo ai finanziamenti destinati agli enti locali sta spingendo anche i Comuni più reticenti ad accelerare il processo di privatizzazione, ragionando con la logica dell’adesso e qui.

Inoltre, la spinta della legge Galli a pagare i costi con le tariffe, la legge sulle autonomie locali (l. 142/90) che prevede la gestione di servizi pubblici tramite società per azioni, i successivi provvedimenti che impongono la gara e favoriscono le società a maggioranza pubblica quotate in borsa con il mantenimento di infrastrutture e impianti hanno anticipato e favoriranno l’applicazione dei GATS ai servizi idrici. I GATS prevedono infatti che siano esclusi solo i servizi “forniti nell’esercizio dell’autorità governativa, non forniti su base commerciale né in competizione con altri fornitori”.

Consapevolezza del diritto alla vita e partecipazione: i fondamenti per la formazione delle politiche sull’acqua.

La consapevolezza dell’acqua come bene fondante di vita era presente negli antichi che la veneravano. È ancora oggi forte in tutte quelle popolazioni che vivono in condizioni di scarsità.

Intorno all’acqua si sono costituite le comunità che ne hanno fatto un elemento di solidarietà sociale. Ancora oggi nei villaggi dell’Egitto davanti all’ingresso di ogni casa è posto un barile d’acqua disponibile per i passanti, questa usanza deriva dalla consapevolezza che con l’acqua è la vita, rendere disponibile l’acqua è segno di rispetto, di ospitalità, ma soprattutto del riconoscimento della non-proprietà sulle risorse essenziali alla vita.

L’allontanamento dalla terra e dagli elementi naturali come l’acqua, la possibilità dell’accesso individuale direttamente nella casa di ognuno hanno condotto, nell’ultimo secolo, a cancellare l’acqua dalla lista delle risorse indispensabili e a rimuovere la responsabilità collettiva della sua gestione.

Ma ora ci troviamo a dover affrontare un’altra scarsità, non più determinata dalla difficoltà del prelievo ma indotta dalla vera e propria riduzione della disponibilità di risorse di acqua buona.

Davanti a questa nuova scarsità siamo più che mai impreparati avendo perso la conoscenza del valore sacrale e la pratica della cura solidale e comunitaria dei beni essenziali per la tutela del diritto alla vita di ogni individuo.

Nel mondo globale la comunità di riferimento non può essere che la totalità degli uomini.

Ecco allora che l’approccio all’acqua non può prescindere dal concetto di solidarietà e uguaglianza fra gli uomini.

La pratica del principio appena affermato non può essere che la partecipazione attiva delle comunità locali alla formazione delle politiche sull’acqua, nella consapevolezza che si sta gestendo sul proprio territorio un bene appartenente a tutti gli abitanti del pianeta.

La partecipazione è contemporaneamente riappropriazione culturale del proprio legame con l’acqua e l’ambiente naturale inteso come composizione complessa di organismi viventi con acqua – terra- aria, e pratica del diritto di governare le risorse del proprio territorio in un processo che pesi il vantaggio del singolo su quello dell’intera comunità.

I processi di partecipazione in tema di acque devono svilupparsi a livello di comunità locali in riferimento al territorio di insediamento e nella dimensione in cui le risorse idriche si raccolgono e si rinnovano: il bacino idrografico.

La ricostruzione del tessuto sociale, attraverso la richiesta non conflittuale fra individui della tutela del diritto alla “buona” acqua oltre che alla buona vita, è precondizione indispensabile alla gestione dell’acqua e può , per mezzo della partecipazione alle informazioni sulla disponibilità della risorsa, sugli usi ed i loro consumi e sulle possibilità di risparmio, portare ad una modificazione degli stili di vita per giungere alla necessaria transizione da consumatore a cittadino portatore di diritti e responsabile della tutela della propria vita e di quella dei propri simili presenti e delle generazioni future.

Per usare le parole di Marco Manunta, magistrato e autore di “Fuori i mercanti dall’acqua”: “Solo se verrà sentito e condiviso il principio universale che l’acqua, come l’aria, non è un bene da commerciare, solo se diventerà generale il rifiuto della monetizzazione di risorse vitali, si potranno cacciare i mercanti dal tempio”

Prime proposte di azione

Operare con le popolazioni alla formazione di una cultura dell’acqua come valore fondante di vita ed elemento di solidarietà, costruire un percorso di riappropriazione del legame uomo – ambiente naturale come dimensione prima per la costruzione di nuove politiche basate sulla tutela, il risparmio e l’uso solidale delle risorse. (organizzazione di incontri per parlare del tema, avvio di progetti legati al risparmio della risorsa e all’acquisizione di consapevolezza fra origine, uso e destinazione dell’acqua).

Sperimentare forme di partecipazione alla politica dell’acqua, attraverso la costruzione di spazi democratici di intervento delle popolazioni e di un senso collettivo di responsabilità verso il bene. (costituzione di “parlamenti dell’acqua”)

Mantenere un alto livello di controllo dei processi legati all’acqua – i costi complessivi, la formazione delle tariffe, l’allocazione delle risorse, le politiche di gestione del territorio – chiedendo la disponibilità di dati pubblici.

Chiamare le istituzioni alla trasparenza dei processi decisionali e alla responsabilità verso la tutela dei diritti dei cittadini anche attraverso la richiesta di un impegno concreto su definiti documenti di azioni (ad esempio: Carta dell’acqua per gli enti locali, Ordini del giorno promossi dai cittadini).

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