di Marco Bersani (*)
Nell’epoca del capitalismo finanziarizzato anche i terremoti non sono tutti uguali. Esistono quelli classici, conosciuti da tutti per esperienza personale diretta o indiretta, e che originano da punti profondi della crosta terrestre, generando scosse devastanti: provocano morti, distruzioni, fratture di continuità sociale, angosce e solitudini. Sono conosciuti e studiati da secoli, anche se ogni volta che ne accade uno, la capacità di prevenzione e di intervento nel nostro Paese sembra tornare all’anno zero.
Esistono invece nuovi terremoti, conosciuti da pochi finché non vengono resi pubblici (solitamente da un’inchiesta giudiziaria), e che originano da punti profondi del sistema bancario e finanziario. La loro causa è abbastanza evidente: l’utilizzo del credito per speculazioni finanziarie, interessi di lobby, cerchi magici e clan. Pur essendo conosciuti da solo un decennio, la capacità di intervento nel nostro Paese in queste situazioni eccelle per tempestività, determinazione e risorse.
Avviene di conseguenza che per intervenire sui terremoti “naturali” non vi è alcun fondo dedicato alla prevenzione -in quanto tutte le risorse sono vincolate al patto di stabilità e al pareggio di bilancio, dogmi del monetarismo dell’UE- e per la ricostruzione, a fronte di una previsione di risorse necessarie (relativa agli ultimi due terremoti nell’Italia centrale) pari a 4,5 miliardi, sono stati stanziati 600 milioni (peraltro, sotto forma di crediti agevolati, ovvero finanziando di nuovo le banche).
Cosa ben diversa avviene nell’intervento sui terremoti finanziari. La rete pubblica messa in campo dal Ministero del Tesoro e prorogata fino al 31 giugno mette in campo 20 miliardi di garanzie pubbliche (leggi: aumento del debito a carico di tutti) sulle emissioni di liquidità di ben 6 banche (ciascuna sotto plurime inchieste giudiziarie) tutte giunte al fallimento grazie alle speculazioni finanziarie operate per decenni senza alcun controllo.
Saranno così salvate dai cittadini -compresi quelli che vivono in tende sotto la neve in Lazio, Marche e Abruzzo- il Monte dei Paschi di Siena, Cariferrara, Banca Marche, Banca Etruria e, dopo l’approvazione ottenuta dall’improvvisamente generosa Unione Europea, anche la Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
Nel frattempo, secondo il rapporto Eurispes 2017, il 14,1% degli italiani definisce molto peggiorata la situazione economica familiare nell’ultimo anno, e il 27,3% indica un lieve peggioramento. Nel 2017 siamo arrivati ad un 48,3% delle famiglie che non riesce ad arrivare alla fine del mese e ad un 44,9% che, per arrivarvi, sono costrette a utilizzare i propri risparmi, mentre il 25,6% delle famiglie ha difficoltà a far fronte alle spese mediche.
Un Paese in netta difficoltà e sempre più indebitato con le banche: il 28,7% delle famiglie ha avuto la necessità di chiedere un prestito bancario nel corso degli ultimi tre anni, e il paradosso è che anche quel 7,8% che, avendolo chiesto, non lo ha ottenuto, contribuirà al salvataggio degli istituti finanziari che gli hanno chiuso la porta in faccia.
Il rimpianto Luciano Gallino diceva che la lotta di classe è tutt’altro che sparita, la stanno semplicemente facendo quelli che stanno in alto. A colpi di debito pubblico, di vincoli finanziari, di parametri monetaristi, di cultura economicista, vogliono rovesciare la democrazia dei diritti nella oligarchia dei privilegi. Ci riusciranno finché tutte e tutti noi non inizieremo a dire con determinazione che le nostre vite valgono più dei loro profitti.
(*) Articolo pubblicato su il manifesto del 4 febbraio 2017