Il senso del ‘comune’ nasce dal sociale, di Marina Savoia, il granello di sabbia n.19, maggio 2015

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di Marina Savoia, dal granello di sabbia n.19, maggio 2015  

Ci sono iniziative locali di resistenza e di contrasto, circoscritte ad ambiti territoriali anche molto piccoli e incentrate su questioni anche molto limitate, che hanno in sé, per forma e contenuto, la correttezza di una politica sociale, attenta alle persone e alle risorse comuni. Non si può dire altrettanto di molte azioni di lotta di più ampio respiro che, alla ricerca di una mobilitazione di massa e di impegno politico per un cambiamento di sistema, investono il locale più per coinvolgere la base in un progetto politico già de nito che per considerarla risorsa e punto di partenza (e di arrivo) per costruire il cambiamento. Anche se le piccole azioni locali portano spesso a risultati poco significativi e comunque sembrano esaurire la loro spinta nell’ambito ristretto di un localismo a volte angusto, è proprio da qui, dalla necessità concreta di difendere un territorio, un bosco o un vecchio edificio pubblico, che può riavviarsi il processo democratico gravemente compromesso dalla delega, per convenienza, per interesse o disinteresse, oltre che dall’iniqua distribuzione della ricchezza, del lavoro e del potere.

 Il gruppo di lavoro Attac di Genova ha esaminato l’azione, tuttora in corso, di una associazione che localmente, in dialogo e in rete con altre realtà e con contesti diversi (per esempio con l’Università), si è mossa per la difesa del proprio territorio, un quartiere sottoposto a degrado e oggetto di scelte istituzionali a favore del privato e in contrasto con l’interesse popolare. Il gruppo di Attac ha incontrato gli attivisti, ha iniziato con loro uno scambio proficuo e ha avviato, al proprio interno, una riflessione sulla democrazia di prossimità, sulle modalità partecipative, sulle motivazioni politiche, sociali, culturali che sono alla base di tale azione. 

L’associazione, partita di nome e di fatto dalla necessità di evitare la demolizione di un ponte storico nella periferia di Genova, ha rapidamente ampliato il proprio scopo, dalla difesa delle memorie storiche e degli spazi di aggregazione del quartiere, alla salvaguardia dell’intera Valle Bisagno che si sviluppa alle spalle del centro storico genovese interessando anche diversi piccoli Comuni, fino alla definizione del territorio come “bene comune” e alla rivendicazione del diritto dei cittadini di “partecipare” alle decisioni in merito. Gli “Amici di Pontecarrega” si sono mossi con modalità cooperative, dialogando e confrontandosi, socializzando competenze e informazione, esercitando il diritto dei cittadini di fare proposte e di intervenire nelle scelte sull’utilizzo dello spazio urbano. 

L’associazione ha incontrato due ordini di difficoltà: si è dovuta misurare, da un lato, con la tendenziale autoreferenzialità e ambiguità delle istituzioni e, dall’altro, con la generale passività di una cittadinanza assuefatta alla logica del “mercato” e per lo più priva di memoria e di prospettive. E questo ci dice quanto il cambiamento debba essere anche e soprattutto culturale. 

Alla domanda su quale sia stato il risultato più rilevante sin qui ottenuto, gli “Amici di Pontecarrega” ci hanno risposto che il loro percorso di cittadinanza attiva soprattutto li ha fatti crescere personalmente e politicamente. Hanno fatto una scelta politica basata sull’ascolto e sul confronto e hanno proposto progetti e soluzioni migliorative più che radicalmente alternative, ma hanno anche maturato la consapevolezza che la posta in gioco è assai più ampia della problematica locale, perché riguarda il rapporto fra cittadini e Istituzioni e il principio stesso di sovranità popolare. In effetti gli “Amici di ponte Carrega” non solo avanzano proposte fondate e concrete per la riqualificazione del loro quartiere e suggeriscono con ciò che un’alternativa allo sfruttamento e alla mercificazione degli spazi e dei beni comuni è possibile, ma chiedendo di partecipare democraticamente, per esempio, alle trattative fra amministrazione locale e privati in merito alla destinazione degli spazi urbani, si trovano di fatto a sostenere che spetta ai cittadini indicare le priorità e dare le linee d’indirizzo per l’utilizzo del territorio. Con iniziative come questa, la dimensione locale anziché esser un limite, diventa il fondamento di una nuova politica e il luogo particolare e diffuso in cui si costruisce il “senso del comune”, come percezione sociale di ciò che è importante per i soggetti e per la vita di relazione. Da qui può, dunque, ripartire un processo democratico che porti alla generale, globale, riappropriazione di ciò che va ride nito come “bene comune” e gestito con modalità partecipative per essere tutelato ed essere accessibile e fruibile per tutti. 

L’incontro e il dialogo di Attac con gli “Amici di Pontecarrega” ha il senso della cooperazione e dell’aiuto reciproco a comprendere la complessità della crisi politica e sociale e a connettere, nell’agire e nel pensare politico, le problematiche locali a quelle generali e viceversa, affinché aumenti la consapevolezza e la possibilità di un cambiamento necessario per le persone e per la collettività.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 30 di Settembre-Ottobre 2017: “Democrazia Partecipativa” 

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