Enti locali: crisi della rappresentanza e democrazia di prossimità, di Pino Cosentino, il granello di sabbia n.18, marzo-aprile 2015

Condividi:

Loading

DemocraziaPartecipativa FB 580x486

di Pino Cosentino, dal granello di sabbia n.18, marzo-aprile 2015  

La Costituzione del 1948, benché fondi un sistema politico rigorosamente “rappresentativo”, apre molte porte per la partecipazione dei cittadini e delle cittadine alle decisioni politiche. Il pensiero corre subito agli articoli 71 e 75 (Proposte di Legge di iniziativa popolare e referendum abrogativi). Ma è ancor più significativo l’art. 49, che permette ai cittadini/e organizzati in partiti di determinare la politica nazionale.

La Costituzione vede nei partiti il motore del sistema, poiché l’azione politica è in essenza azione collettiva. La crisi dei partiti ha trascinato con sé la credibilità e il prestigio della rappresentanza, mentre, anche nella produzione legislativa, si moltiplicano i richiami retorici alla partecipazione. Che ormai esiste come iniziativa individuale e/o di piccoli gruppi, mentre i grandi partiti nazionali sono assimilati alle istituzioni.

Il livello più favorevole alla partecipazione è sicuramente quello comunale. I Comuni sono però sottoposti a un processo di centralizzazione di fatto, soprattutto a causa del patto di stabilità interno (dal 1999), sebbene formalmente la riforma costituzionale del 2001 li equipari allo Stato come enti costitutivi della Repubblica. Nemmeno la riforma “federalista” del 2009 ribaltava la tendenza all’azzeramento dei margini di autonomia dei Comuni. Tendenza rafforzata dalla costruzione europea, a proposito della quale ricordiamo la famosa lettera della BCE al governo italiano (agosto 2011).

Non sono valse finora a invertire la rotta le affermazioni sempre più impegnative a favore della partecipazione dei cittadini/e che si trovano nelle leggi succedutesi negli ultimi anni. Sicché le prescrizioni del Testo Unico degli Enti locali s. m. i. (dlgs 267/2000), che obbligano i Comuni a inserire in Statuto una serie di norme a favore della partecipazione, non sono valse ad avviare processi partecipativi generalizzati.

Attualmente i Comuni sono obbligati a inserire in Statuto tre strumenti a disposizione dei cittadini: l’istanza, la petizione e la proposta di delibera di iniziativa popolare. Inoltre è fortemente consigliato il referendum, presente infatti anch’esso negli statuti comunali. Solitamente è previsto quello consultivo, con un duplice sbarramento: un elevato numero di firme da raccogliere in poco tempo; un quorum alto come nel referendum abrogativo nazionale.

Ma ogni Comune può introdurre e, ancor meglio, praticare, molte forme di partecipazione o precorritrici della partecipazione. Queste seconde appartengono al campo della democrazia deliberativa. Esse sono modalità utili per coinvolgere i cittadini/e in attività di confronto e approfondimento tra loro stessi, da una parte, tra loro e l’amministrazione locale dall’altra. Sono esempi di democrazia deliberativa “La parola ai cittadini” e il “Consiglio Comunale aperto”. Il “Dibattito pubblico” è usato in occasione di grandi opere o simili, e in questo caso i partecipanti sono integrati da esperti e rappresentanti delle parti interessate. Ancora più interessanti il “Panel di cittadini” e il “Consiglio civico”, che prevedono l’estrazione a sorte dei partecipanti, raggiungendo così quello strato di popolazione silente la cui attivazione è la vera scommessa della democrazia partecipativa. Sono invece esempi di partecipazione vera, cioè decisionale, i vari tipi di referendum (questi a condizione di essere preparati adeguatamente, in modo da permettere scelte consapevoli) e il bilancio partecipativo.

Concludendo: la democrazia partecipativa come pratica normale di gestione degli affari pubblici è costituita da un insieme di ingredienti che dovrebbero diventare abitudinari. Presuppone e produce comunità e appartenenza. Sarà il risultato di un lento lavorio, ma anche di bruschi salti, perché rappresenta, rispetto al sistema politico attuale, un’inversione di paradigma, un rovesciamento del rapporto tra rappresentanza e popolo che a sua volta implica un mutamento profondo della struttura sociale. In questo processo è centrale il legame tra territorio e popolazione, quindi tra popolazione e l’istituzione “Comune”, che va protetto e insieme trasformato profondamente.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 30 di Settembre-Ottobre 2017: “Democrazia Partecipativa” 

Se sei arrivato fin qui, vuol dire che ti interessa ciò che Attac Italia propone. La nostra associazione è totalmente autofinanziata e si basa sulle energie volontarie delle attiviste e degli attivisti. Puoi sostenerci aderendo online e cliccando qui . Un tuo click ci permetterà di continuare la nostra attività. Grazie"