Crisi economica
I Paesi dell’euro si troveranno a un drammatico bivio al vertice Ue di domani: da un lato una cooperazione sempre più stretta tra i 16 Paesi, fino a un possibile governo comune dell’economia; dall’altro il rischio di un collasso per l’unione monetaria. Dietro le quinte, da diverse settimane una diplomazia informale sta stringendo le maglie per superare la fase più acuta della crisi globale. Negli ultimi giorni il cancelliere tedesco Angela Merkel ha decisamente preso le redini politiche europee e intende assicurare la tenuta della zona euro.
La debolezza dei Paesi dell’Est non è infatti l’unica preoccupazione in Europa. Nè la più importante. Alcuni indicatori economici europei, quelli che guardano più in avanti, danno segni di stabilizzazione, ma un clima di sfiducia persistente rende fragile la posizione di Grecia e Irlanda: si teme che si dimostrino incapaci di pagare le cedole del debito pubblico o di finanziarsi senza ristrutturare il debito passato. In queste ore sono sotto osservazione soprattutto la posizione della Grecia e alcune scelte discutibili del Governo di Atene. Se dovesse cedere uno solo degli anelli della catena dell’euro, per quanto periferico, il contagio sarebbe difficile da arrestare.
L’interesse a evitare il default di un Paese membro è ora evidente anche al Governo tedesco, un tempo preoccupato dagli oneri finanziari di un salvataggio. Come principale creditore netto nei flussi di capitale interni alla Ue, la Germania – e il suo sistema bancario – sarebbe la principale vittima di un default dei Paesi debitori. L’onere sarebbe molto maggiore di quello di un salvataggio preventivo e potrebbe indurre in default perfino Berlino.
Mercoledì il portavoce della Merkel ha detto chiaramente che la Germania «difenderà in ogni modo la coesione dell’euro e della Ue». Una serie di default metterebbe a rischio infatti non solo l’euro, ma la stabilità economica e politica del continente. L’impegno di Berlino rappresenta una svolta forse decisiva per disinnescare un aggravamento della crisi globale grazie alla consapevolezza, carente fino a pochi giorni fa, dell’interdipendenza economica europea e del comune destino politico. Manca tuttavia nella zona euro un quadro istituzionale definito che consenta di intervenire direttamente nelle scelte dei Governi.
Il vertice Ue di questo fine settimana potrebbe essere l’unico ambito disponibile. Per influenzarne gli esiti, i Governi di Germania e Francia, talvolta insieme a Gran Bretagna e Italia, hanno dato forma a un direttorio di fatto, che deve compensare il vuoto lasciato dalla Commissione. Riunioni del gruppo si tengono ormai settimanalmente, organizzate da un segretariato informale di cui viene negata perfino l’esistenza. L’iniziativa dei grandi Paesi è stata criticata pubblicamente dai più piccoli: Finlandia, Belgio, Svezia e Portogallo nelle ultime ore. Ma l’indeterminatezza politica e normativa europea impone sia decisioni rapide, sia una notevole elasticità istituzionale.
Gli spread sui tassi d’interesse di Grecia, Irlanda e Austria stanno aumentando pericolosamente da mesi. L’Irlanda soffre per la grave recessione che pesa su un disavanzo difficile da finanziare. L’Austria patisce le conseguenze dei legami con l’Est Europa. La Grecia è colpita da entrambi i problemi: ha scarsa determinazione nel correggere gli squilibri della pessima situazione debitoria e una pericolosa esposizione bancaria sui Balcani.
Le difficoltà dell’Est Europa vengono considerate controllabili, essendo le dimensioni delle economie abbastanza ridotte. Applicando l’art 308 del Trattato, la Commissione è in grado di ricorrere all’assistenza per Paesi con difficoltà di bilancia dei pagamenti, come è già avvenuto nei casi di Ungheria e Lettonia attraverso l’emissione di obbligazioni ad hoc. La stessa Bce ha già aiutato Polonia e Ungheria con repo arrangements e messo a disposizione swap arrangements per i Paesi candidati a entrare nell’euro. Mentre è ancora in sospeso la richiesta dei paesi dell’Est di poter accedere al finanziamento della Bce riscontando i titoli denominati in valuta nazionale.
L’assistenza che è possibile fornire all’Est però paradossalmente non può essere offerta ai Paesi dell’euro. Il Trattato stabilisce che nessun Paese della zona euro può essere salvato dagli altri membri. Si tratta della clausola di no-bailout (art. 103), una colonna dell’architettura istituzionale dell’euro, perché rende stringente l’impegno al rigore fissato dal Patto di stabilità. In caso di rischio di fallimento di Grecia o Irlanda si parla però di ricorso all’articolo 100 del Trattato che prevede che il Consiglio disponga assistenza finanziaria a uno Stato membro colpito da severe difficoltà per «condizioni eccezionali estranee al suo controllo».
L’impasse di fronte al quale tutte le proposte di bailout si fermano è il rischio di salvare Paesi che non mettono in atto politiche economiche coerenti. Non si tratta tanto di un problema di moral hazard, cioè di togliere ai Paesi a rischio l’incentivo a curare se stessi ben sapendo che poi saranno salvati dai partner, ma di preservare la credibilità del salvataggio: se il Paese aiutato continua a sbagliare politiche, finisce per rendere vano e non più credibile ogni altro salvataggio.«Continueremo a dimostrare solidarietà – ha dichiarato giovedì la cancelliera Merkel – ma il vertice di domenica dovrà essere utilizzato per imporre ai Paesi in difficoltà una valutazione onesta della loro situazione». Tutti gli occhi sono puntati sulla Grecia. Mentre l’Irlanda sta reagendo con forti misure di controllo dei conti, seppur tra le proteste di piazza, il Governo greco sta mettendo in atto una politica economica pericolosa di espansione indiscriminata delle spese correnti. Il Governo di Atene è sotto pressione per le prossime elezioni in cui l’opposizione parte avvantaggiata. Manifestazioni di piazza hanno bloccato il Paese a dicembre e il Governo sta rispondendo con politiche populiste. Il deficit fiscale sta crescendo, quello delle partite correnti è pari al 14% del Pil e il governatore greco parla di «seri pericoli».
In tali condizioni, il salvataggio europeo dovrebbe essere accompagnato da vincoli esterni alle scelte del Governo greco. Ma nella zona euro non esiste un quadro politico all’interno del quale una tale responsabilità sovrana può essere sottratta ai Governi nazionali. Il Patto di stabilità è stato depotenziato e non è comunque mai stato efficace nel controllare la qualità delle politiche né la veridicità delle cifre fornite da Atene, sulle quali crescono dubbi a cui ha dato voce la stessa Merkel. Nonostante i richiami di Trichet e Almunia il Governo prevede tuttora una crescita dell’1,1% nel 2009 contro lo 0,2% stimato da Bruxelles.
Il presidente della Bundesbank, Axel Weber, ha preannunciato «un aiuto condizionato» ai Paesi in difficoltà: «non ci saranno assegni in bianco». Ma in Europa il ruolo di condizionamento delle politiche nazionali non potrà che spettare a un organismo politico. La Francia vorrebbe che fosse l’Euro-consiglio, cioè i capi di governo dei Paesi dell’euro, mentre la Germania finora aveva privilegiato la Commissione. Tra le condizioni a Grecia e Irlanda si ipotizzano controlli più attivi sulle leggi di bilancio, sulle riforme e sulle politiche salariali, nonché impegni ad armonizzare il fisco evitando pratiche dannose per i Paesi vicini. Si tratterebbe di passi cruciali verso il governo economico della zona euro. Il coordinamento crescerà negli anni futuri quando tassi d’interesse in rialzo renderanno problematico finanziare il debito di molti paesi, Italia inclusa.
Fino a che Atene e Dublino non daranno garanzie di assecondare le condizioni, la promessa di salvataggio resterà in dubbio, gli oneri finanziari per tutti i Paesi a rischio resteranno elevati e la crisi resterà una minaccia incombente su tutta l’area. Ecco dunque il bivio da cui eravamo partiti: da un lato più integrazione politica tra i Paesi dell’euro, dall’altro il rischio di fallimento dei Paesi più fragili e, a catena, anche di quelli più saldi. Già domani alla fine del vertice europeo si saprà più chiaramente verso quale delle due strade ci stiamo incamminando.
[ndr] momento l’Europa esce da Bruxelles senza un piano complessivo per superare la crisi dei paesi dell’Est che minaccia la stabilità dell’intero continente.
“No a un piano complessivo per aiutare i paesi dell’Est. Questa la posizione del cancelliere tedesco Angela Merkel espressa al vertice. Secondo la Merkel «non si possono confrontare» le situazioni di paesi come la Polonia o i Baltici o l’Ungheria, per cui “no” a un piano complessivo, ma l’invito invece ad analizzare ogni situazione caso per caso”
di Carlo Bastasin
Fonte: Sole24ore 28 febbraio 2009