Fino all’ultima goccia

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di Paolo Carsetti – Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua

Non è un segreto che gestire l’acqua risulta essere un business molto redditizio. In Italia il giro di affari annuo si aggira intorno ai 10 miliardi di euro. Gestire l’acqua vuol dire non avere rischio d’impresa poiché i profitti, anche dopo il referendum del 2011 e a seguito dell’intervento dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), continuano ad essere garantiti caricandoli direttamente sulla tariffa. Gestire il servizio idrico significa gestire un servizio in regime di monopolio poiché l’acqua è monopolio naturale. Pertanto può essere pubblico o privato ma non sussiste possibilità di concorrenza nel mercato. Pertanto, parlare di liberalizzazioni in questo campo è una vera e propria mistificazione. D’altra parte, i fautori del mercato sostengono che rimanendo pubblica la proprietà delle reti, l’acqua non viene privatizzata, e che ciò che viene messo sul mercato è la sua gestione. E’ evidente che il reale proprietario del bene è colui che lo gestisce poiché detiene tutte le informazioni e non colui che ne mantiene la proprietà formale.

Queste sono alcune delle considerazioni intorno alle quali, sin dal 2006, si è mosso il percorso del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua raccogliendo oltre 400 mila firme a sostegno della legge d’iniziativa popolare per l’acqua pubblica e successivamente nel 2010 promuovendo quella vasta coalizione sociale che nel 2011 ha portato alla straordinaria vittoria ai referendum sull’acqua e sui servizi pubblici locali. 

A distanza di otto anni siamo ancora costretti ad un’intensa mobilitazione perché l’esito referendario è stato completamente disatteso e si persevera lungo la strada della mercificazione.

Fino all’ultima goccia. 

Questo sembra essere l’obiettivo del processo di privatizzazione e finanche di finanziarizzazione che, attraverso l’iper-sfruttamento dell’acqua, tende a massimizzare i profitti e la soddisfazione degli azionisti considerando il depauperamento dell’acqua come un effetto collaterale ineluttabile.

Un processo che ha ricevuto un sostegno trasversale all’arco politico istituzionale italiano, ovvero tanto i governi di centro-sinistra che quelli di centro-destra si sono adoperati per favorire e incentivare la cessione al mercato e alla finanza della gestione del servizio idrico.

Infatti, la natura delle grandi aziende multiservizio quotate in Borsa, ossia quelle che sono il “dominus” del sistema di gestione italiano, non è quella di produrre servizi pubblici fondamentali, ma di “creare valore per gli azionisti”, e cioè di distribuire consistenti dividendi ai soci. 

Quest’affermazione si basa su uno studio dei bilanci (dal 2010 al 2016) delle “4 grandi sorelle” – HERA, ACEA, IREN e A2A – effettuato dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua. Nei 7 anni indicati, in termini cumulati, IREN, A2A, HERA e ACEA realizzano utili per 3,257 miliardi di euro e distribuiscono dividendi per 2,983 miliardi di euro ai soci pubblici e privati, pari al 91% degli utili! 

E’ questo il processo di finanziarizzazione che interessa queste aziende, il fatto cioè di operare in modo consistente nel mercato dei capitali e quindi di dover essere molto sensibili al corso azionario, che diventa così la variabile strategica delle scelte delle aziende stesse. A cui si accompagna un processo di de-territorializzazione, per cui gli Enti Locali proprietari, anche per via dell’aumento delle dimensioni aziendali e conseguentemente della perdita di peso dei singoli Comuni, contano sempre meno nelle decisioni aziendali, oltre ad aver perso qualunque sapere rispetto a quello presente all’interno di questi grandi aziende.

Fino all’ultima goccia.

Questo sembra essere il risultato dell’attuale sistema di governo dell’acqua con perdite delle reti di oltre il 41% come media nazionale. Un sistema basato sull’affidamento della gestione a società di capitali e finanziato esclusivamente attraverso la tariffa sulla base del principio “full cost recovery”.

Un sistema per cui la diminuzione dei consumi si traduce in introiti più bassi per i gestori, rendendo necessarie forme compensatorie. Questo meccanismo si trasforma in un vero e proprio “conflitto di interessi” per il gestore che da un lato è chiamato ad intervenire per incoraggiare i cittadini ad un uso più consapevole della risorsa, e dall’altro registra una perdita economica se questo avviene. Questo “cortocircuito” si complica ulteriormente quando il gestore è una società privata quotata in borsa, quindi rispondente a regole finanziare e societarie.

In poche parole un sistema di gestione votato al profitto che nessuna attenzione può e vuole avere per la conservazione quali-quantitativa del bene acqua, con investimenti del tutto insufficienti per la reale ristrutturazione delle reti. Un approccio da superare completamente dal momento in cui è evidente che la diminuzione della disponibilità di acqua per uso umano sarà una delle più gravi conseguenze del surriscaldamento globale e dei relativi cambiamenti climatici.

E’ necessario, dunque, individuare una strada alternativa per affrontare le questioni che stanno di fronte a noi, dal rilancio di una nuova fase di investimenti pubblici nel servizio idrico al fatto di misurarsi con i cambiamenti in corso, che dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, che l’acqua è risorsa fondamentale per la vita e bene comune per eccellenza, e perciò non consegnabile alle logiche di mercato e di appropriazione privata. Occorre, però, costruire una seria inversione di tendenza rispetto alle scelte degli anni passati e riaffermare una volontà politica di gestione comune della risorsa, la stessa che è stata espressa con l’esito referendario del 2011 e che continua a rimanere un punto ineludibile per tutti.

Un’inversione di rotta che si potrebbe realizzare approvando immediatamente e senza stravolgimenti la proposta di legge “Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque” in discussione alla Camera che, come è noto, è l’aggiornamento della legge di iniziativa popolare presentata dodici anni fa dal movimento per l’acqua.

Infatti, questa legge rappresenta lo strumento più adatto per giungere ad una gestione del servizio idrico integrato interamente pubblica, partecipativa, ambientalmente sostenibile, con tariffe eque per tutti i cittadini, che garantisca davvero i diritti dei lavoratori e gli investimenti sulle infrastrutture, fuori da qualsiasi logica di profitto, oltre alla “incondizionabilità finanziaria” di un diritto fondamentale qual è il diritto all’accesso all’acqua. 

La posta in gioco è alta, e ha infatti scatenato le reazioni scomposte di chi ha interesse a che l’acqua resti sul mercato. Ecco, dunque, spiegato l’accanimento con cui il fronte dei gestori, e non solo, ha costruito una narrazione allarmistica e distorta, rilanciata da alcune forze politiche. 

Va ribadita l’assoluta inattendibilità della tesi per cui la ripubblicizzazione del servizio idrico, nucleo centrale della proposta di legge, comporterebbe un esborso una tantum di circa 23 miliardi di euro. La realtà è che costerebbe al massimo 2 miliardi di euro ma con benefici immediati che farebbero recuperare questa cifra in soli 3 anni. Infatti, basti pensare che in maniera cumulata tutti i soggetti gestori producono annualmente oltre 700 milioni di euro di utili che nell’assetto di gestione effettivamente pubblica previsto dalla legge sarebbero utilizzabili per coprire tale quota nei primi tre anni e successivamente andare ad aumentare la quota degli investimenti.

In ultimo, come non evidenziare le gravi responsabilità circa lo stallo della discussione su tale proposta di legge alla Camera dove risulta bloccata da settimane in Commissione Ambiente a seguito del deposito di oltre 230 emendamenti che hanno palesato le divergenze interne alla maggioranza e confermato come il “partito” dei privatizzatori sia trasversale dal PD a Forza Italia, passando per la Lega. 

Il M5S prova a far brillare la sua prima stella ma nei fatti risulta più ambiguo delle altre forze politiche avendo presentato, attraverso diversi suoi deputati, proposte di modifica che stravolgerebbero l’impianto, svilirebbero i principi e renderebbero inattuabile la ripubblicizzazione dell’acqua.Di fatto disegnando la parabola perfetta di una stella cadente.

Fino all’ultima goccia.

Questo sarà il nostro motto perché spenderemo fino all’ultima goccia di sudore per attuare la volontà popolare e giungere ad una gestione realmente pubblica e partecipativa dell’acqua.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 39 di Marzo – Aprile 2019. “Si scrive acqua, si legge democrazia

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