Difensori del CETA

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di Matteo Bortolon (articolo pubblicato su il manifesto del 28 luglio 2018)

Dopo che membri del governo Conte hanno espresso la loro intenzione di non ratificare il CETA, l’argomento torna curiosamente ad essere di moda.

Il CETA, fratello minore del più celebre TTIP, è un accordo di libero scambio molto criticato da associazioni e gruppi di base per il suo profilo improntato al mercato, cui darebbe una torsione liberista particolarmente forte, facendo arretrare dazi, garanzie e diritti a beneficio di multinazionali e lobbisti. Mentre il TTIP, gigantesco accordo, dovrebbe unire in un unico mercato UE e USA, il CETA è stato stipulato fra Unione e Canada. M5S e Lega avevano avversato prima di arrivare al governo tali tipi di accordi, e adesso qualcuno pare ricordarsene: Luigi Di Maio ha definito “scellerato” l’accordo, sostenendo che in aula la attuale maggioranza lo respingerà.

Per sostenere il trattato sono scesi in campo i pezzi grossi: il Corriere, Il Sole 24-Ore, l’ex ministro Calenda (passato da una magnificazione del CETA alla beatificazione di Marchionne).

Anche la rivista online Linkiesta fa del suo meglio. Già era comparso un articolo, in prossimità della sua approvazione a settembre 2017 un articolo piuttosto netto. A cominciare dal titolo: “La lotta contro il populismo si fa (anche) con il CETA”. Il quale, in modo abbastanza acritico, riprendeva gli argomenti della Commissione sui vantaggi, presi senza troppo discutere come oro colato, ed affermava l’importanza di “creare legami” come antidoto verso il risorsere dei muri e delle divisioni. Una posizione simile a quella del PD, anzi di Renzi e Gentiloni, visto che alcuni parlamentari di area democratica, vicini al mondo dei produttori agricoli, avevano preso le distanze (assieme al governatore Zingaretti). E non è un caso: uno dei due autori del pezzo è Francesco Nicodemo, consigliere della comunicazione di Renzi (e grande frequentatore delle Leopolde), passato da lavorare per il PD a venire stipendiato direttamente da Palazzo Chigi. Un suo libro sulle fake news, si intitola Disinformanzia. Chissà se nel testo si parla della pratica di commentare su una rivista sedicente indipendente un accordo raggiunto dal governo per cui si lavora, senza alcun cenno a tale interesse (sottotitolo: “una guida per battere il populismo”: un successone, proprio).

Dopo le prese di posizione di Di Maio e del leghista Centinaio a nome del ministero dell’Agricoltura, spunta un altro articolo dal titolo mite e dialogante: Contro l’ignoranza dei nostri politici: cosa dice davvero il CETA. L’autore quindi sale in cattedra per insegnare ai politici ignoranti (cioè quelli che sono contro il CETA; gli altri invece sono menti eccezionali, pare di capire) che l’accordo è cosa buona e giusta.

Il pezzo è di David Doninotti che impiega una certa foga a sostenere che “convinzioni da sfatare sono quelle che sostengono che gli accordi di libero scambio favoriscano le multinazionali a danno delle PMI. Non è così!!” (proprio con due punti esclamativi). In effetti l’autore sa di cosa parla. L’articolo non riporta chi sia Doninotti, con comprensibile prudenza: è membro di rilievo della Camera Internazionale di Commercio (ICC), definita dall’autorevole sito Corporate European Observatory “il più grande gruppo di lobbisti al mondo”. Aggiungendo che mentre pretendono di parlare a nome di tutte le imprese, propongono una agenda pesantemente tarata sugli interessi di grandi gruppi e multinazionali. In effetti nel Consiglio direttivo della succursale italiana (la rete padronale cui ICC fa riferimento è estesissima) compaiono persone legate a Menarini, Associazione Bancaria Italiana, Monte dei Paschi, BNL Paribas, ENEL, Fincantieri, Intesa SanPaolo ecc; proprio campioni dell’interesse del piccolissimo artigiano e commerciante. Nel documento di posizione della commissione dedicata a commercio ed investimenti, la ICC esprime sostegno ed appoggio ai mega-accordi regionali di free trade, purché rispettino le norme del WTO. Che un rappresentante del mondo delle aziende (grosse) stigmatizzi i politici che non vogliono approvare quello che lui stesso ha promosso e sponsorizzato senza far cenno al proprio conflitto di interesse non è proprio il massimo della credibilità.

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