Una piattaforma strategica a 360 gradi capace di facilitare il commercio di crediti di carbonio e aiutare a rallentare il cambiamento climatico. È questo il progetto ambizioso che il Kenya si prepara a lanciare verso la metà del nuovo anno, con prospettive e dimensioni senza precedenti in Africa, e destinato a dare il là ad altri Paesi del continente.
L’iniziativa prenderà di mira il diossido di carbonio, uno dei principali gas responsabili dei cambiamenti climatici. Un credito di carbonio, secondo quanto stabilito dal protocollo di Kyoto (1997) è equivalente a una tonnellata di diossido di carbonio o, in alcuni mercati, ad altri gas paragonabili al diossido. I funzionari del governo kenyota, nel tentativo di dare nuovo slancio alla propria economia, sperano che lo scambio di crediti di carbonio possa aprire la strada agli investimenti nel campo delle energie rinnovabili e della riforestazione nel loro Paese: il “serbatoio” di crediti di carbonio kenyota è rappresentato dalla sua foresta più ampia, quella di Mau, il cui potenziale per le casse dello Stato è di quasi due miliardi di dollari all’anno per i prossimi 15 anni. Un tesoro ancora non sfruttato, che dovrà essere certificato dalle Nazioni Unite.
L’Africa ha oltre 120 progetti nell’ambito del mercato del carbonio, in esecuzione o in fase di elaborazione, e in settori che vanno dall’energia eolica ai regimi forestali, eppure, rivela una valutazione pubblicata dal programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep) nella primavera del 2010, in confronto al resto del mondo il continente è in ritardo pur potendo vantare un vasto potenziale di energia pulita e verde. Le economie più sviluppate del continente, Egitto e Sud Africa, la fanno da padrone, con 32 e 13 piani ciascuno. Kenya e Uganda si sono già distinti nell’ultimo quadriennio, con un incremento di progetti dal 2007 al 2010 di circa sette volte. Zambia, Madagascar, Mali, Camerun ne possono contare solo uno o due e la Guinea Equatoriale è tra i Paesi che non ne hanno alcuno. Ognuno si muove in modo autonomo, senza coordinamento, a dimostrazione del fallimento totale dei negoziati governativi multilaterali o per gruppi di interesse (vedi Paesi accomunati da foreste equatoriali) in materia ambientale.
Sul fronte dei privati, di pari passo, in modo scoordinato ed episodico industrie inquinanti delle nazioni più sviluppate si fanno carico della implementazione di progetti “puliti” in Paesi più poveri, ma si tratta ancora di un processo allo stadio embrionale. In entrambi i casi, va detto che gli analisti sono discordi sull’efficacia della strategia per la tutela degli ecosistemi, ma la validità del business non è in dubbio: dal 2005, anno dell’entrata in vigore del protocollo di Kyoto, la compravendita mondiale di crediti di carbonio ha raggiunto 300 miliardi di dollari. Gli offset europei, cioè le compensazioni pagate (sotto forma di progetti ambientali in Paesi in via di sviluppo) da quelle industrie che hanno superato il tetto di emissioni previsto dall’Ue, ha fatto registrare quota 300 milioni di dollari nel marzo 2010.
Il sistema dell’offsetting non è ancora regolamentato: sta all’iniziativa delle singole realtà industriali, su base volontaria, cercare e individuare sul mercato mondiale i Paesi più “accoglienti”. Per le aziende italiane, la via del finanziamento di progetti di forestazione o riforestazione oltre confine sembra offrire maggiori possibilità rispetto a uno sbocco nazionale: farraginosità burocratiche (solo l’8% della superficie boschiva italiana è certificata), intensa urbanizzazione e abusivismo edilizio sono ostacoli superabili solo sul lungo periodo e con un coordinamento governativo. Pecche da cui il continente nero è ancora immune: e c’è chi, fra colossi petroliferi e industrie pesanti, tiene sott’occhio soprattutto il Congo che possiede il bacino forestale più ampio del mondo, dopo l’Amazzonia.
Dall’entrata in vigore del protocollo di Kyoto, la compravendita mondiale di crediti di carbonio ha raggiunto 300 miliardi di dollari
Il “serbatoio” di crediti di carbonio kenyota è rappresentato dalla sua foresta più ampia, quella di Mau. Il potenziale per le casse dello Stato è di quasi due miliardi di dollari all’anno per i prossimi 15 anni.
Fonte: sole24ore 14 dicembre 2010