Cina, finanza e democrazia

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Foto CC: QuantFoto

di Antonio De Lellis, Attac Italia

Cosa hanno in comune la Cina, la finanza e la democrazia? La comprensione di questo legame può dirci molto su come funziona il mondo oggi e da diversi decenni. La Cina è attraversata dalle manifestazioni in diverse città che chiedono le dimissioni del presidente Xi a causa della rigida politica “zero covid” di Pechino. Le proteste stanno pesando sull’umore dei mercati finanziari. Le vendite colpiscono azionario e materie prime e la scarsa avversione per il rischio fa salire i titoli governativi.

Lagarde dice che i rialzi dipenderanno dalla persistenza degli choc e che l’incremento dell’inflazione è di là dal fermarsi. Il dato sull’inflazione in UE di ottobre, +10,6%, non è il picco e tutto dipenderà dalle aspettative salariali. Insomma se saliranno i salari questo verrà visto negativamente, se i popoli reagiranno alle autarchie questo verrà visto male dai mercati e così via.

La finanza non vuole sommovimenti e se la democrazia è ballerina o tumultuosa non è gradita ed è osteggiata. E’ un fatto straordinario che le proteste in Cina buchino la censura mediatica, ma questa volta forse fa comodo all’occidente farsi bucare. evidenziare che in Cina ci sono problemi di ordine pubblico sta a dimostrare che la democrazia in quel paese è una opzione non di sistema.

Se le proteste, dal nostro punto di vista, sono un termometro di come sia possibile esprimere il dissenso e misuri la democrazia, allora potremmo ragionare sul fatto che le proteste in quel paese, così importanti per le sorti dell’umanità, siano una cosa positiva, ma non per i mercati, che vedono rosso, in tutti i sensi. La finanza, governa il mondo più di quanto si possa immaginare, condiziona, previene, controlla tutti i regimi del mondo anche quelli meno democratici o quasi del tutto autoritari.

La finanza gode dello status quo, freme per qualunque battito d’ali che crea in noi una suggestione di democrazia. Questo è il mondo: se la finanza stabilisce che il rischio democrazia in Cina è tale, le acque si agitano. E se le acque si agitano le forze della finanza faranno di tutto per calmierare i mercati anche se le proteste verranno sedate con la violenza. La finanza non ha un’anima né un cuore e questo è il centro del potere mondiale. Le proteste in Iran ed in altre parti del mondo sono un termometro di come non tutto è in vendita e non tutto può essere decifrato dagli analisti di Wall Street.

Esiste una opzione che i mercati non hanno considerato: l’insorgenza e l’irruzione nella scena mondiale di rigurgiti di coscienza, di giustizia sociale, di democrazia allo stato embrionale. Abbiamo bisogno di insorgenze, che sono sempre frutto di un dolore sociale e collettivo che forse in Italia è ancora relegato a strati marginali della popolazione. Sul mondo incombe un altro spauracchio causato dalla finanza: il debito globale al 350% del Pil. La domanda se la pongono in tanti al mondo: se il debito globale è aumentato del 25% dopo la crisi di Lehman brothers, andiamo incontro a tempi ancora più duri per aziende vulnerabili e per governi indebitati? La risposta è sì.

Se a questo aggiungiamo cambiamenti climatici e guerre in tutti i continenti, si comprende come sia arrivato il momento di un radicalismo inclusivo che sfoci in una insorgenza e irruzione nelle istituzioni. Questa posizione presta il fianco a delle critiche, ma se neanche l’odierno scenario globale fatto di un cambiamento d’epoca è in grado di smuovere le acque, annullando i pulviscoli del passato per rifondare una economia di pace che accolga le istanze di sopravvivenza glocale, allora la deriva autoritaria e violenta avanzerà ancor di più.

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