Acqua e agricoltura

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di Daniela Conti – Comitato acqua Bacino del Reno

 

Non va poi dimenticato che la già pesante situazione attuale nel giro di pochi decenni sarà ulteriormente aggravata, secondo le previsioni dell’IPCC (International Panel on Climate Change, la commissione internazionale di esperti che studia i cambiamenti del clima), dagli effetti che i cambiamenti climatici avranno sull’intero ciclo idrologico. Il rischio di desertificazione interessa già oggi il 30% delle terre emerse, in Italia il 27% della superficie coltivata, e si prevede che, in assenza di seri interventi sull’accumulo di gas serra, la situazione peggiorerà progressivamente. Questi dati evidenziano la necessità di approfondire il ragionamento sull’acqua nello specifico dell’agricoltura, sforzandoci di inquadrarlo anche nel contesto generale del rapporto uomo/natura.

Il preteso “sviluppo” del modello occidentale ha portato, negli ultimi due secoli, tutti i cicli naturali a una soglia critica di rottura. E non poteva essere altrimenti, dato che persegue da sempre un’idea di crescita infinita e puramente quantitativa e che si fonda, fin dalle sue origini, su una scissione profonda, che pone l’uomo al di fuori e al di sopra dei cicli naturali, dai quali invece dipende e coi quali, oggi più che mai, interferisce. Attraverso l’imperante ideologia liberista del mercato, oggi questo processo sta arrivando alle sue estreme conseguenze, cercando di forzare l’ultima soglia: l’appropriazione monopolistica delle risorse fondamentali per la sopravvivenza della nostra stessa specie. Così si concepiscono vasti scenari di guerra per garantirsi le ultime riserve di petrolio (negando, insieme, gli sconvolgimenti climatici e i diritti dei popoli), forme sempre più spinte di mercificazione dell’acqua, il controllo privatistico delle fonti alimentari, la modifica ingegneristica e il monopolio – tramite i diritti di proprietà intellettuale – delle risorse genetiche del pianeta.

Allora, perché il “nuovo mondo possibile” possa essere fondato sul rispetto di quella rete di relazioni complesse fra tutti gli abitanti del pianeta – umani e non – dalla quale dipende la vita sulla Terra, diventa fondamentale riconnettere tutti gli spezzoni di ragionamento su acqua, terra (agricoltura, biodiversità, biotecnologie) e aria (gas serra, fonti energetiche, trasporti) in un quadro unico, che colga la radice comune dei problemi e sappia individuare prospettive di trasformazione e riequilibrio. L’agricoltura – nella totalità delle sue valenze rispetto al rapporto uomo/natura – è un nodo cruciale per arginare la progressiva invasione delle risorse vitali e, al tempo stesso, promuovere nuovi valori. In questa battaglia per il diritto umano innanzitutto alla vita – ma anche alla salute intesa come “buona vita” – ciò che si produce sulla terra, e il come lo si produce, assume un’importanza centrale. E un buon uso dell’acqua è un requisito fondamentale perché possa realizzarsi “un’altra agricoltura”.

La mancanza di politiche tese alla valorizzazione e al risparmio della risorsa idrica porta nei centri urbani ad abusi e sprechi, cui corrisponde in maniera speculare il cattivo uso dell’acqua in agricoltura. Le carenze di manutenzione, ad esempio, causano in Italia una media del 40% di perdite negli acquedotti irrigui. Nella stessa direzione va l’assenza di piani seri per il recupero qualitativo e il riciclo delle acque irrigue, quasi sempre contaminate da metalli pesanti, azoto e fosforo. Il forte prelievo da falde profonde (in Italia il 48% dei consumi irrigui) comporta gravi problemi di inquinamento, subsidenza dei territori, salinizzazione delle falde e dei suoli nelle zone costiere. Le scelte agricole dell’UE, legate ai mercati internazionali e ingabbiate nelle regole dettate dalla PAC e dall’OMC, tendono a privilegiare colture fortemente idroesigenti, fino ad arrivare all’assurdo che le colture cerealicole irrigate ricevono dall’UE sovvenzioni maggiori delle stesse colture non irrigate. Le pratiche agricole basate sulla coltivazione intensiva impoveriscono il suolo, con tutte le conseguenze che ne derivano: erosione; blocco della naturale ricostituzione delle riserve idriche; perdita di fertilità dei terreni, con conseguente impiego di enormi quantità di fertilizzanti e pesticidi chimici, da cui l’inquinamento delle acque dolci (superficiali e di falda) e marine (mucillagini ed eutrofizzazione). Molti problemi delle risorse idriche sono connessi al tipo di colture e alle pratiche agricole che esse comportano: la produttività degli ibridi introdotti con la “Rivoluzione Verde” avviene al prezzo di elevati input energetici esterni e di un notevole consumo d’acqua, dell’uso massiccio di macchine a combustibili fossili e di prodotti agrochimici. Tali elementi hanno già creato e continuano ad alimentare, da un lato, la dipendenza degli agricoltori dalle multinazionali dell’agribusiness e, dall’altro, gravi problemi per la biodiversità e per la salute generale dei territori e delle loro popolazioni. E la situazione rischia di peggiorare se – come sembra – l’UE deciderà di cancellare la moratoria e di varare una direttiva che ammette una contaminazione da OGM dello 0,3-0,7% nelle sementi, aprendo così la strada, oltre che al totale monopolio delle corporation, a un irreversibile inquinamento genetico.

Dall’agricoltura biologica vengono chiare indicazioni sul valore di una diversa pratica agricola, per la difesa della qualità ambientale e della sovranità alimentare. Il recupero di tecniche tradizionali, come la rotazione delle colture, che arricchiscono il terreno; l’uso di varietà locali, spesso dotate di resistenze genetiche a parassiti e stress ambientali, e poco idroesigenti; l’autoproduzione delle sementi, possono essere scelte chiave nel ristabilire un rapporto equilibrato con l’ambiente e nel riportare il controllo delle produzioni agricole e della loro qualità nelle mani delle popolazioni, sottraendolo alle multinazionali.

Lotte per l’acqua e lotte per la terra possono saldarsi nella riappropriazione, da parte dei cittadini, del diritto a governare il territorio in cui vivono. Occorre che il principio della sovranità alimentare e il diritto alla buona vita si affermino come valori generali, nel regolare le relazioni tra paesi e tra popolazioni. E occorre trovare le forme per tradurli, a livello locale, in controllo del territorio da parte di chi ci vive e ci lavora, collaborando alla soluzione dei problemi e alla progettazione degli interventi in un’ottica di relazioni solidali – tra umani, e tra gli umani e tutte le altre componenti dell’ambiente naturale.

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