Vademecum sul referendum costituzionale – PARTE 3

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di Nino Lisi

LA RIFORMA COSTITUZIONALE. VALUTAZIONI
3. QUESTIONI DI METODO E LEGTTIMITA’

Esaminati nelle mie precedenti note (a) il merito della riforma costituzionale sulla quale il corpo elettorale è chiamato a pronunciarsi, (b) l’obiettivo che si propone (assicurare la “governabilità), (c) il come intende raggiungerlo (a scapito della rappresentanza e consentendo a chi “vince” le elezioni di governare libero dalla necessità di confrontarsi con le opposizioni), (d) la questione che è in gioco (il modello di democrazia), è utile esaminare alcune questioni di metodo che pongono dubbi sulla stessa legittimità della proposta di riforma.

1. In primo luogo c’è da osservare che la riforma che ci viene proposta, pur agendo soprattutto, anche se non esclusivamente, sulle “condizioni all’intorno” della operatività dell’Esecutivo, modifica il rapporto tra Governo e Parlamento; inoltre interviene su di un gran numero di articoli della Carta, sicché non propone di cambiare solo singoli aspetti dell’impianto costituzionale vigente ma ne modifica in modo rilevante tutto l’ insieme, al punto da determinarne una nuova configurazione. E’ assai dubbio, secondo non pochi costituzionalisti autorevoli, che a ciò autorizzi l’art. 38 della Costituzione, quello che regola le modalità con cui si può procedere a riformarne il testo, che sarebbe invece concepito in vista solo di modifiche su singoli punti e non della configurazione complessiva. 

2. Rifacendosi a quanto avvenne in sede di Assemblea Costituente, molti costituzionalisti ritengono del tutto improprio il ruolo, invero determinante, giocato dal Governo nel promuovere la legge di riforma e nell’orientare i lavori parlamentari. Ciò non è compito dell’Esecutivo, si afferma, che anzi dovrebbe tenersene lontano come sostenne ed ottenne allora e raccomandò per il futuro Pietro Calamandrei.

3. La composizione della Camera dei Deputati che ha approvato la legge di riforma è fortemente alterata da un abnorme premio di maggioranza attribuito in forza di una legge elettorale che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 1 del 2014 ha dichiarato incostituzionale. Si pone perciò l’interrogativo se le riforme costituzionali, quanto meno sotto il profilo della opportunità politica se non sotto quello della legittimità giuridica – come pure sostengono alcuni costituzionalisti -, possano essere adottate in forza di maggioranze precostituite.

4. Dalla sentenza ora richiamata sarebbe derivata conseguenzialmente la illegittimità delle Camere se la Corte Costituzionale, nella stessa sentenza, richiamandosi al <principio di continuità dello Stato>, non avesse dichiarato che il Parlamento potesse continuare ad operare e legiferare. In proposito vi sono due tesi. Il costituzionalista Alessandro Pace sostiene, in forza degli stessi esempi addotti dalla Corte per rifarsi al principio di continuità. che la legittimazione così dichiarata dalla Corte avrebbe dovuto essere limitata nel tempo e che quindi il Parlamento non avrebbe dovuto restare in carica oltre un periodo più o meno breve. Altri costituzionalisti sostengono che comunque un Parlamento legittimato in forza del principio di continuità dello Stato e non dal voto popolare non sia idoneo a porre mano alla riforma della Costituzione. Non è solo il Governo dunque che non avrebbe dovuto prendere l’iniziativa che ha preso, ma anche questo Parlamento avrebbe dovuto non farlo.

5. In fine si deve prendere in considerazione un’altra circostanza. di eccezionale delicatezza e gravità: il Presidente Napolitano, che aveva già predisposto il suo trasferimento dal Quirinale alla sua abitazione privata, acconsentì ad un secondo mandato a due condizioni: che il nuovo mandato non durasse sette anni e che durante il suo corso si ponesse mano alla riforma della Costituzione. La seconda condizione non può non destare serie perplessità, non solo in relazione alla condizione in cui si trovava il Parlamento che si sapeva eletto con una legge all’esame della Corte Costituzionale per sospettata incostituzionalità, che da lì a non molto fu dichiarata, ma anche perché in tal modo il compito di modificare la Costituzione sono state conferite al Parlamento non dal corpo elettorale, nell’esercizio della sovranità del popolo, bensì da un’imposizione del Presidente della Repubblica che ha il compito di essere “custode” della Costituzione e non quella di imporne la modifica.

In conclusione: sulla legittimità della proposta di riforma della Costituzione vi sono diversi e ben fondati dubbi.

C’è da ritenere che ne fossero (e ne siano) consapevoli gli stessi artefici dell’operazione. Si spiegherebbe così perché il Governo abbia sin dall’inizio dichiarato che comunque, anche se cioè la legge di riforma fosse stata approvata nella seconda votazione da ognuna delle due Camere con la maggioranza dei due terzi, caso in cui l’ultimo comma dell’art. 138 esclude la necessità del referendum, la proposta di riforma sarebbe stata sottoposta al corpo elettorale.

E qui si pone a mio avviso un altro interrogativo. E’ vero che “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art.1, c. 2), ma può il voto popolare essere una sorta di toccasana, con il quale ovviare a qualunque inconveniente pur grave, quali insanabili conflitti di interesse, indagini e sentenze penali, questioni di illegittimità, etc?

Comunque si risponda a questo interrogativo credo che i motivi di palese inopportunità politica ed i sospetti di illegittimità della legge di riforma costituiscano un motivo in più, oltre quelli messi in evidenza nelle mie precedenti note, per respingere la riforma proposta, votando NO il 4 dicembre.

Roma 22 ottobre 2016

 

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 26 di Novembre-Dicembre 2016 Voglio cambiare davvero, quindi voto NO!

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