Una guerra coloniale

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di Antonio De Lellis e Rosetta Placido*

*articolo pubblicato su Comune.info 

Foto di Robert Bye su Unsplash

Il “conflitto” israelo-palestinese è un conflitto quotidiano intensificatosi oggi dall’odio e dalla paura, ma non solo. Vi sono tanti fatti, spesso oscurati dai media, così come lo sono la natura e le origini di questa guerra. Questa non è semplicemente una lotta diretta tra due popoli sovrani. Si tratta invece dell’ultima guerra coloniale dell’età moderna, combattuta per stabilire l’egemonia e i diritti assoluti di un popolo sull’altro, come espressi nella legge “Stato nazionale del popolo ebraico” del 2018. Nonostante l’indiscutibile legame dell’ebraismo e del popolo ebraico con la Terra Santa, per i palestinesi questa è una lotta anticoloniale.

Israele è stato istituito come progetto coloniale di coloni europei – qualcosa che nessuno dei suoi primi leader ha negato – con l’indispensabile assistenza dell’imperialismo britannico. Nonostante la rete di miti creata per nascondere questi fatti, essi sono fondamentali per comprendere che i palestinesi avrebbero resistito a qualsiasi gruppo che avesse tentato di strappare loro la terra, qualunque fosse la loro religione o nazionalità. Il fatto che questo gruppo fosse composto da ebrei con un progetto nazionale, un profondo legame con la stessa terra e una storia di persecuzioni ed espropri altrove, culminata nell’Olocausto, ha dato a questa guerra la sua natura particolarmente disperata. E come ha notato Edward Said, la sfortuna particolare dei palestinesi è quella di essere vittime di vittime.

Questo processo di colonialismo di insediamento ha prodotto l’espropriazione di gran parte della popolazione nativa della Palestina e il furto delle loro terre e proprietà. Ciò fu ottenuto attraverso l’espulsione di 750.000 palestinesi durante la fondazione di Israele nel 1948 (oltre il 55 per cento della popolazione araba totale della Palestina all’epoca) e di oltre 250.000 nel 1967. Questa pulizia etnica graduale era essenziale per trasformare un paese a maggioranza araba in uno stato a maggioranza ebraica. Negli ultimi 56 anni, queste stesse pratiche di colonizzazione ed espropriazione hanno proceduto inesorabilmente nella Cisgiordania occupata, a Gerusalemme Est e sulle alture di Golan.

Per più di mezzo secolo gli Stati Uniti hanno guardato con studiata indifferenza all’occupazione militare di questi territori e alla loro graduale annessione e assorbimento in Israele. Ciò contrasta palesemente con la sua risposta vigorosa all’occupazione russa di parte dell’Ucraina per un periodo molto più breve. È difficile dare credito alle affermazioni degli Stati Uniti di sostenere l’autodeterminazione e la libertà dell’Ucraina mentre hanno fornito decenni di sostegno essenziale a Israele per la sua occupazione dei territori arabi. In effetti, il riconoscimento da parte dell’amministrazione Trump delle annessioni illegali di Gerusalemme Est e delle alture di Golan da parte di Israele non è stato annullato dall’amministrazione Biden. Sebbene gli Stati Uniti abbiano fortemente sostenuto Israele in ciascuna delle sue guerre dal 1948 (con l’eccezione della guerra di Suez del 1956), il loro sostegno a questa guerra totale contro Gaza non ha precedenti sotto molti aspetti. Un altro è l’impegno di Biden di importanti mezzi navali, aerei e terrestri statunitensi nella regione, presumibilmente per prevenire un allargamento del conflitto. A ciò si è aggiunta la consegna all’esercito israeliano di 2.000 missili a guida laser Hellfire e 36.000 colpi di cannoni da 30 millimetri per le cannoniere Apache, nonché 1.800 razzi a spalla rompi-bunker M141 (altri 1.200 sono in ordine), con 57.000 proiettili di artiglieria da 155 millimetri ordinati. L’amministrazione Biden chiede al Congresso di stanziare ulteriori 14,3 miliardi di dollari in assistenza, compresi aiuti militari (oltre ai 3,8 miliardi di dollari annuali in sovvenzioni militari), per coprire questi e altri acquisti. Molti, se non la maggior parte, dei civili di Gaza che sono morti finora sono morti sotto una pioggia di bombe, proiettili di artiglieria, razzi e missili forniti dagli Usa.

Come se ne esce? Avviando un percorso per la verità e la riconciliazione che: riconosca la pulizia etnica del 1948 degli israeliani ai danni dei palestinesi; abbatta i muri; distribuisca equamente le risorse idriche tra tutti gli abitanti; garantisca il diritto al ritorno per i palestinesi in diaspora; porti alla fine dell’occupazione dei territori palestinesi e dell’apartheid. Visitando direttamente i territori della Cisgiordania, e osservando la profonda compenetrazione economica tra Israele e Palestina, sebbene in un quadro asimmetrico e diseguale, sembra che la soluzione politica istituzionale, fermo restando il percorso sopra riportato, possa essere quello di un unico stato democratico con eguali diritti per tutti gli abitanti. Scriveva nel 1996 lo scrittore palestinese Edward Said, in uno dei suoi interventi sul futuro: “La scommessa stava nel trovare un modo pacifico di coesistere non come ebrei, musulmani e cristiani ma come cittadini a pari diritto in una stessa terra…”

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