Tunisia. I giovani in rivolta e le classi lavoratrici non si fermeranno a metà cammino

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Intervista di Dominique Lerouge* a Fathi Chamkhi, dirigente del Fronte popolare, deputato e attivista di RAID (che rappresenta ATTAC e CADTM in Tunisia)

Quali sono le ragioni immediate delle mobilitazioni di questo periodo?

L’8 gennaio 2018 e nei giorni successivi, è iniziato un nuovo incendio sociale. Si tratta della risposta alle misure contenute nella legge finanziaria 2018 e che colpiscono direttamente le classi popolari.  Esse prevedono infatti:  

– delle entrate fiscali supplementari pari a 1282 milioni di dinari (3 dinari=2 euro) alle quali si aggiunge una nuova imposta del 1% sui salari   

– una riduzione di 1060 milioni di dinari delle spese dello Stato.

L’insieme delle entrate supplementari attese rappresenteranno circa il 7% del budget dello Stato. Le informazioni relative all’impatto e alle conseguenze concrete di questa legge finanziaria sono circolate in dicembre. In gennaio sono state confermate da un aumento dei prezzi dell’elettricità e del gas, del carburante, dei prodotti di base, del trasporto scolastico. E sono stati questi aumenti immediati che hanno messo la miccia alle polveri! Dopo una settimana di contestazioni e di scontri molto violenti con le forze dell’ordine, una calma apparente e precaria regna di nuovo sull’insieme del paese. 

Qual è la strategia del governo per tentare di imporre la sua politica?

Con queste misure il governo di Youssef Chahed (YC) sa di avanzare su un terreno minato! Non soltanto per la loro impopolarità ma anche per il gran numero e l’ampiezza delle critiche che si sono scagliate da tutte le parti contro questo governo e il suo bilancio molto deludente.

Le critiche non arrivano soltanto dall’opposizione bensì anche dall’interno della coalizione al potere, come nel caso del Nidaa Tounes, lo stesso partito di YC. Il governo di alleanza nazionale o di “unità nazionale” è formato dai due partiti vincitori delle elezioni del 2014: il partito Nidaa Tounes e il partito islamico Ennahdha. Per questo il governo di YC ha provveduto a ripartire l’applicazione delle sue misure durante tutto l’anno in corso, per limitare i rischi di una nuova esplosione sociale. Esso ha fatto anche molti sforzi di comunicazione per tentare di giustificarle. YC e i suoi ministri fanno spesso riferimento al bilancio negativo ereditato dai governi precedenti e evocano anche i sacrifici che dovrebbero essere fatti per uscire dalla crisi per ottenere un rilancio economico che tarda a venire. YC e i suoi ministri non trovano niente di meglio per rassicurare i/le Tunisini/e davanti allo spettacolare peggioramento delle loro condizioni di vita che di predire la fine prossima dei loro sacrifici, che il 2018 sarà l’ultimo anno di crisi e che il 2019 vedrà la Tunisia uscire dal tunnel e riprendere la crescita.

Si tratta di una strategia con delle possibilità di riuscita? 

Secondo me è una fatica inutile. La gravità e la persistenza della crisi economica, l’ampiezza del disastro sociale e soprattutto la lunga lista di promesse non mantenute di “domani migliori” hanno ormai avuto ragione della pazienza dei/delle Tunisini/e e lasciato posto a sentimenti di amarezza e collera. Il malcontento sociale è costantemente alimentato dalle crescenti difficoltà economiche e sociali, soprattutto dall’aumento della disoccupazione e dalla perdita quasi generale del potere d’acquisto.

In effetti, YC così come tutti i suoi numerosi predecessori, sa di non avere saldamente in mano le redini del paese. In agosto 2016, nel suo discorso davanti al Parlamento durante il voto di fiducia al suo governo, YC aveva citato i principali indicatori economici e sociali del paese. In un discorso che voleva essere quello della sincerità e della franchezza, egli aveva dipinto un quadro nero: crisi delle finanze pubbliche, corruzione che corrode tutto il sistema dello Stato, debito estero che ha raggiunto livelli altissimi e rappresenta un fardello insostenibile per le casse dello Stato, un’enorme domanda sociale aggravata dalla disoccupazione endemica e da una povertà diffusa in crescita costante, il disastro dei servizi pubblici, ecc.. 

Di fronte a questa situazione di crisi globale, YC aveva promesso di mettere in atto risposte adeguate a livello politico, economico e sociale per raddrizzare la barra, ristabilire gli equilibri finanziari e riprendere a crescere. Oggigiorno tutti sono d’accordo nel dire che il governo di YC ha fallito completamente nella sua missione di salvataggio, anche se tenta disperatamente di attaccarsi al minimo segno per nascondere il suo evidente fallimento.

Spinto dal FMI (Fondo Monetario Internazionale) con cui ha concluso un accordo di riforme su tre anni, YC tenta il tutto per tutto e proclama: “Sono costretto a prendere delle misure dolorose”, “i sacrifici sono necessari”, “la situazione del paese è grave quindi dobbiamo accelerare il ritmo delle riforme” ecc..

Il Governo Chahed  ha ancora un avvenire?

La contestazione sociale ha messo a dura prova un governo che perde velocità,  abbandonato dai suoi alleati politici davanti al suo fallimento rispetto alla situazione drammatica del paese. Il governo YC  sembra avere i giorni contati. I pochi sostenitori che gli restano fedeli sono il partito islamico Ennahdha e, incredibilmente, la potentissima centrale sindacale UGTT, il cui segretario generale non trova di meglio da dire se non che la Tunisia ne ha abbastanza dei continui cambi di governo.

Qual è la situazione dell’economia tunisina?

La situazione economica e sociale della Tunisia è grave. Di fatto essa sta attraversando la sua più lunga crisi economica, una crisi iniziata nel 2008 e aggravatasi dopo la rivoluzione del 2011 con la crisi delle finanze pubbliche. Il governo ha evidentemente sempre più difficoltà nel mobilitare le risorse finanziarie per il suo budget.  E questo nonostante la forte e continua diminuzione delle spese sociali. 

Il ricorso crescente all’indebitamento, passato dal 40,5% nel 2010 al 71,4% attuale mentre il debito pubblico è passato da 25,6 a 76,2 miliardi di dinari, ha permesso fino ad ora di camuffare la grave crisi delle finanze pubbliche. Nel 2010 la parte di prestiti nel budget dello Stato era del 17%, nel 2017 è arrivata al 30%. La crisi del debito è un dato di fatto. Ormai lo Stato non può più contare sui prestiti per riempire la voragine fra le risorse proprie e le necessità di finanziamento. 

Il governo attuale, o quello che lo sostituirà, sarà sempre più tentato, sotto la pressione del FMI, a prendere delle misure antisociali. Di fronte a questo, le classi popolari e la gioventù che hanno più volte dimostrato la loro grande capacità di mobilitazione, non si lasceranno ingannare.

Dobbiamo dunque aspettarci una continuazione della resistenza delle classi lavoratrici e della gioventù?

Per far fronte alle molteplici e continue aggressioni da parte di un regime capitalistico decadente, le classi lavoratrici tunisine e la gioventù hanno provato di tutto o quasi. Dalla rassegnazione all’oppressione politica all’insurrezione rivoluzionaria, si è passati alle elezioni democratiche e alla manipolazione da parte delle forze retrograde e contro-rivoluzionarie. Ma lungi dall’indebolire la loro determinazione e la loro combattività, queste esperienze sono benefiche per il loro impatto sull’educazione politica e sulla presa di coscienza. Nulla oggi sembra indicare che la gioventù in rivolta e le classi lavoratrici si fermeranno a metà del percorso. Le prossime settimane e i mesi a venire sono pieni di promesse positive.

* Dominique Lerouge è militante del Nuovo partito anticapitalista (NPA, Francia) e della IV Internazionale

L’intervista in lingua originale è disponibile sul sito di CADTM seguendo questo link.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 32 di Gennaio-Febbraio 2018: “Debito globale: come uscirne?

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